TrenOff e gli Instabili Vaganti

Instabili Vaganti, ossia Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola raccontano come e perché hanno deciso di organizzare il primo Fringe Festival di Bologna, a pochi giorni dal via della manifestazione.

Come nasce l’idea e l’esigenza di TrenOff?
Instabili Vaganti: «L’idea nasce diversi anni fa, anche in seguito alle nostre esperienze compiute in alcuni Fringe europei, come quello di Stoccolma e, soprattutto, quello di Edimburgo. Nasce per rispondere a un’esigenza, un’urgenza: garantire la libertà di espressione e nuove possibilità di circuitare per gli artisti. Il sistema di distribuzione in Italia è, infatti, molto chiuso e spesso cristallizzato in alcune dinamiche difficili da comprendere, soprattutto per le giovani Compagnie. A volte è complicato esibirsi in contesti che possono garantirti pubblico e attenzione e, quindi, ancor più complesso emergere anche quando si possieda un lavoro di qualità. Abbiamo voluto far nostro il concetto di “vetrina”, un termine ben presente al Fringe di Edimburgo, dove molti artisti presentano parte del proprio lavoro in strada, nel Royal Mile, per essere visibili al pubblico e portare spettatori nei venue. Chiaramente l’idea originaria era quella di far crescere l’evento, coinvolgendo altri spazi della città, spesso chiusi nel periodo estivo, in modo da poter creare anche a Bologna delle venue dove le Compagnie potessero presentare gli spettacoli in versione integrale – oltre alle preview mostrate nel contesto urbano dell’edificio Treno. Nella prima edizione di Trenoff, nel 2012, avevamo due di questi spazi: il nostro LIV Performing Arts Centre e il Teatro Sant’Andrea, antistante il treno e appositamente allestito per l’occasione. Naturalmente, il freno che ci è stato posto nel replicare l’iniziativa gli anni successivi ha un po’ bloccato tutto e, al momento, ci ritroviamo a dover ricominciare daccapo».

Perché cinque anni tra la prima e la seconda edizione?
I.V.: «Questo lasso di tempo è stato dovuto alla mancanza dei fondi necessari allo svolgimento di un Festival dove gli spettacoli sono ad accesso completamente gratuito e si svolgono in uno spazio pubblico, con tutti gli oneri dovuti a permessi, ordinanze e certificazioni – divenuti quasi insostenibili a causa degli episodi terroristici degli ultimi anni e che hanno portato a una severissima legislazione in materia. La prima edizione, nel 2012, si resse su un piccolo contributo del Comune di Bologna – Bologna Estate, integrato da altri settori del Comune; sulla collaborazione del quartiere che ospitava l’evento; e sul lavoro volontario di noi tutti: dalla direzione artistica agli organizzatori, dagli artisti a tutti coloro i quali prestarono il loro apporto gratuitamente. Nonostante il grande successo di pubblico della prima edizione e la volontà da parte nostra di continuare l’esperienza, seppure con fondi adeguati a realizzarne una seconda, nel 2013 il Bando di Bologna Estate, principale canale di sostegno del Festival, fu modificato con l’inserimento di una clausola di non poca rilevanza: potevano accedere ai fondi solo i progetti che avevano due anni di “anzianità”. Noi, chiaramente, fummo tagliati fuori. La stessa dinamica si è ripetuta negli anni successivi, fino al cambio di amministrazione. Con il nuovo Bando, quest’anno, abbiamo potuto ripresentare il progetto, ottenendo 8.000 Euro, che – come potete immaginare – non sono comunque fondi bastevoli per un Festival di questa portata, soprattutto a causa delle nuove normative antiterrorismo che ci costringono a spendere oltre la metà del budget in misure di sicurezza».

Fare teatro in un quartiere popolare di Bologna, come la zona Barca, cosa significa per le Compagnie e quale impatto ha sui cittadini che lo abitano?
I. V.: «La prima edizione del Festival è stata davvero sorprendente in quanto a partecipazione del pubblico. La gente ha innescato un passaparola telefonico per comunicare cosa stesse accadendo in zona e, in poco tempo, ha riempito l’intera strada, chiusa al traffico. Gli spettatori era persone comuni e, spesso, con provenienze culturali diverse. La maggior parte delle Compagnie ci ha ringraziato più volte proprio per l’attenzione e la partecipazione del pubblico e i cittadini hanno continuato a chiedere per diverso tempo quando avremmo replicato l’iniziativa. Bisogna aggiungere che la zona è peggiorata notevolmente, negli ultimi tempi, anche a causa di un centro scommesse che è stato aperto in uno dei locali del Treno. Noi pensiamo che sia sempre più indispensabile sconfiggere le “nuove paure” continuando a realizzare eventi che invitino la gente a scendere in strada».

Quest’anno avete raccolto una cinquantina di domande di partecipazione. Qualche sorpresa tra le proposte dei partecipanti?
I. V.: «Grazie al premio di produzione messo in palio e al successo della prima edizione, abbiamo ricevuto proposte di alta qualità, non solo da Compagnie e gruppi esordienti ma anche da formazioni e artisti già affermati nel panorama contemporaneo italiano ed estero. È stata una sorpresa ritrovare tra le proposte Compagnie conosciute proprio in occasione del Fringe di Edimburgo. Inoltre, abbiamo ricevuto molte domande dall’estero e da artisti italiani che lavorano all’estero. Con nostra sorpresa gli artisti hanno anche accettato la sfida lanciata loro di intervenire anche in un furgone quale spazio performativo, oltre che presso i portici del Treno e nel parco. Quest’anno la novità consisteva anche nel tema prescelto per la call, che andava a mappare realtà che lavorano tra locale e globale. In questo modo, abbiamo aperto un confronto con colleghi e artisti sui tematiche che stiamo affrontando anche nel nostro attuale progetto di ricerca, ossia Megalopolis.

Come si articolerà TrenOff?
I. V.: «Siamo dovuti intervenire sul programma con un cambio di date che ci ha creato non pochi problemi e spese. Il 9 settembre era da tempo la giornata stabilita per la vetrina del contemporaneo al Treno della Barca. Tutto era già predisposto: permessi, fornitura elettrica, eccetera. Ad agosto è stata però convocata una grande manifestazione, come reazione allo sgombero del Centro sociale Labas di Bologna. Per non interferire con un evento come il Fringe e, viceversa, per garantire più pubblico e attenzione agli artisti, abbiamo deciso di anticipare la nostra data di un giorno. Il nuovo programma prevede che l’8 sarà Marco Martinelli, del Teatro delle Albe, ad aprire il Festival, leggendo, alle 18.00, il suo Farsi Luogo. In maniera simbolica, Martinelli guiderà gli spettatori attraverso il suo varco al teatro, portandoli da una sala teatrale al grande palcoscenico urbano dell’edificio Treno, i cui spazi, fino alle 23.30, saranno abitati da performance, spettacoli, interventi site-specific, installazioni artistiche e sonore – realizzati dalle Compagnie e dagli artisti scelti attraverso la open call del Premio Metti in moto la cultura. Quindici titoli tra danza, teatro contemporaneo, nouveau cirque, arti visive, musica elettronica, video, in un’ottica multidisciplinare cara ai Fringe europei e di oltreoceano. Il 15 settembre chiuderemo con una versione particolare del nostro spettacolo Made in Ilva, che presenteremo in lingua spagnola in occasione dell’imminente tournée in Uruguay – dove toccheremo tre città del Paese, nell’ambito del Festival Internacional de Artes Escénicas FIDAE 2017. Proprio perché lo spettacolo è quasi sempre in tour, sono tante le persone che a Bologna hanno chiesto di vederlo. Per cui abbiamo deciso di chiudere Trenoff proprio come iniziò 5 anni fa: con uno spettacolo che festeggia un lustro di tournée, andando un po’ a forzare le maglie strette del sistema di circuitazione di cui parlavamo all’inizio».

Instabili Vaganti, per definizione, è una Compagnia che ha fatto del viaggio e della multiculturalità il suo specifico. Com’è tornare a Bologna?
I. V.: «Il viaggio è sicuramente un nostro tratto distintivo al punto da diventare uno tra i temi del nuovo progetto di produzione, The Global City, a sua volta ricompreso nel progetto internazionale e interculturale già accennato, ossia Megalopolis. Non a caso, siamo appena tornati dalla Francia e dalla prima tappa di questo lavoro e, al momento, siamo in residenza a Satriano di Lucania, nell’ambito della RE.te TE.atrale OSPITALE, promossa dalla Compagnia Petra. Tornare “a casa” non è sempre facile. Purtroppo, al momento, siamo in una situazione che ci immobilizza, da un lato, e ci delude molto, dall’altro. Dopo tanti anni di lavoro sul territorio, durante i quali abbiamo anche tentato di “internazionalizzare” uno spazio, il LIV Performing Arts Centre che gestiamo da otto anni, ci vediamo sempre meno riconosciuti nella nostra città. Il LIV ha perso la convenzione che aveva come luogo del contemporaneo con la precedente amministrazione, solo perché non ha le caratteristiche strutturali di un teatro. Inoltre, la convenzione che ci consente la gestione e la programmazione dello spazio stesso scadrà a fine ottobre. Per il momento abbiamo un rinnovo che arriva fino a Natale. E poi? Non sappiamo nulla. Non siamo in una situazione poi così diversa del centro sociale Labas, a cui abbiamo dimostrato la nostra solidarietà modificando le date del Festival per non interferire con la manifestazione da loro indetta a Bologna. Chiaramente ci piacerebbe poter gestire uno spazio in città adatto alla produzione e alla programmazione e, quindi, anche al consolidamento di alcuni finanziamenti comunali. Così come vorremmo avere maggiori certezze. Ci spiace molto mettere in stand-by tutti i nostri progetti: l’International Workshop Festival PerformAzioni, per esempio, che ha sempre portato in Italia maestri provenienti da tutto il mondo. Ma le programmazioni internazionali sul territorio richiedono anni di pianificazione, ed è proprio questa sicurezza quella cha manca in Italia – non solo a noi e non solo a Bologna. In breve, abbiamo una casa con le mura di paglia che potrebbe crollare da un momento all’altro e, quindi, non ce la sentiamo più di ospitare e di programmare senza prospettive. Non resta che confidare nel viaggio e nell’itineranza creativa, che ci hanno contraddistinto sin dalla scelta del nostro nome: confidare nella nostra instabilità vagante».

Credit Foto Valerio Agolino