Ritratti d’autore

In occasione del VI° International Work session che si svolgerà in India, la compagnia bolognese Instabili Vaganti presenta l’interattivo laboratorio Open call. Anna Dora Dorno, regista e attrice della compagnia, ce ne racconta il progetto.

L’Open call è un progetto mondiale che vuole girare e sperimentare la formula degli Instabili vaganti in diversi contesti. Ci raccontate i preliminari che hanno portato alla nascita di questo workshop?
Anna Dora Dorno: «La open call per il VI° International Work session non è solamente un workshop ma anche un percorso di ricerca attorno ai temi sviluppati nel progetto Rags of memory da noi ideato nel 2006 e diretto fino ad oggi attraverso differenti tappe di lavoro. Un progetto di ricerca produce e semina, lascia piccoli stracci, sparge materiali e diffonde energie, perciò Rags of memory è soprattutto un progetto artistico di contaminazione e sperimentazione che coniuga la tradizione culturale all’innovazione artistica e che continua a creare nuclei d’indagine e di ricerca in continuo sviluppo. Un progetto aperto, che coinvolge artisti provenienti da diverse parti del mondo attraverso percorsi di alta formazione e di creazione artistica, che può essere ospitato in luoghi tra loro molto differenti per tradizioni, forme culturali di riferimento, conformazione geografica o architettonica: teatri, chiese, chiostri, opere d’interesse storico e paesaggistico. L’idea di aprire il progetto ad altri performer è nata nel 2009 quando Grzegorz Zukowski, allora direttore del Grotowski Institute di Wroclaw, dopo aver ospitato il nostro progetto in residenza a Brzezinka, la base nella foresta dove lavorò Jerzy Grotowski, ci chiese di condurre un workshop per i propri studenti. La formula di partecipazione al processo di lavoro da noi creata fu molto soddisfacente e quindi decidemmo di replicare la cosa organizzando questi percorsi attraverso una chiamata pubblica. La prima sessione si è svolta a Bologna nel 2009 con attori polacchi e italiani, poi Matera con la partecipazione di performer provenienti da tutto il mondo (Armenia, Corea, Colombia, USA, Brasile, Spagna, Italia) e infine Città del Messico, Modena e Seoul. E adesso sarà la volta dell’India, dove dal 3 al 9 settembre,lavoreremo con musicisti Baul, danzatrici Odissi e BharataNatyam e praticanti di KalariPayattu, antica arte marziale indiana».

Parlateci dei punti salienti del laboratorio, come si strutturerà e cosa ci si aspetta da questo lavoro.
A.D.D.: «Come nelle passate sessioni il laboratorio sarà strutturato in diversi momenti, tutti essenziali ad entrare nel processo di lavoro e a sviluppare la tematica proposta nella sessione, che quest’anno sarà: stages of life . Il primo punto dal quale non possiamo prescindere è il lavoro sul training fisico e vocale,appositamente creato per il progetto, che comprende lo studio del tempo-ritmo, l’esplorazione di differenti temperature energetiche, impulsi, dinamiche di azione e reazione, forme plastiche, sonorità provenienti da differenti tradizioni, studio di canti e testi, azioni corali e individuali, e molto altro. Un punto fondamentale che caratterizza il progetto è lo scambio interculturale di tecniche performative provenienti dalle culture di appartenenza dei partecipanti e la loro attualizzazione attraverso le tecniche del teatro contemporaneo che prevedono una pluralità di linguaggi tra cui anche il video, la musica, etc. Credo che questa sia una delle parti che rende unica l’impostazione del progetto perché dalla condivisione di questi materiali tradizionali si crea il nuovo».

Dai vostri lavori emerge sempre una partecipazione, un attivismo e volendo anche un’azione politica. In che modo la compagnia concepisce il teatro?
A.D.D.: «Questa è una domanda che prevede una risposta molto vasta e complessa che esprime la poetica della compagnia che in questi dieci anni di lavoro ci appare sempre più in continua evoluzione. Poetica tutta espressa negli attributi scelti per il nostro nome: instabili e vaganti. Il nostro modo di fare teatro potremmo definirlo infatti liquido, in trasformazione e, come viene detto nella domanda, sicuramente attivo. Con questo termine intendiamo anche qualcosa di legato all’azione, sia essa teatrale o compiuta nella vita. Non amiamo restare fermi a guardare ciò che accade ma preferiamo essere presenti, a volte anche iperattivi. Anche dal punto di vista scenico spesso veniamo inclusi nella categoria Physical Theatre ma a me piace di più parlare, per il nostro modo di fare teatro, di Total Theatre. Una totalità dei linguaggi che prevede una partecipazione completa all’azione che avviene in scena. Ogni nostro progetto o spettacolo viene realizzato in quanto frutto di una ricerca, di una riflessione, attorno ad uno o più temi che ci interessano e che ci colpiscono in un determinato momento. Quando qualcosa ci tocca direttamente non possiamo che esprimere la nostra idea, la nostra posizione e quindi il nostro atto diventa politico, nella accezione più ampia del termine».

Avete lavorato molto all’estero e vi circondate spesso della partecipazione di artisti provenienti da diverse parti del mondo. Un complesso di etnicità e di esperienze ancora in espansione il vostro. Tirando le somme, quali esperienze sono state determinanti per il vostro percorso?
A.D.D.: «Parlerei più che altro di scelte che producono esperienze determinanti. Spesso l’Italia appare piccola nei suoi confini, ed il contesto teatrale ripetitivo e regolato da dinamiche politiche che raramente condividiamo, in cui bisogna scegliere da che parte schierarsi. La nostra è una totale apertura verso ciò che ci attrae e ci stimola, verso chi ci apprezza e ci invita a lavorare, molto semplicemente. Per cui nei nostri progetti cerchiamo di ricreare il nostro piccolo universo internazionale che non è altro che la creazione di una comunità artistica che condivide parte delle nostre scelte. Determinante in questo senso sono stati i continui rapporti con la Corea del Sud, dove abbiamo trovato attori bravissimi e molto interessanti, il Messico che amiamo moltissimo e dove torniamo sempre con molto piacere e le relazioni che abbiamo creato con questi paesi e con realtà come la nostra».

Prossimi progetti/spettacoli in cantiere?
A.D.D.: «I progetti in cantiere sono sempre moltissimi ma quello a cui teniamo di più in questo momento e senz’altro lo spettacolo al quale stiamo lavorando all’interno del progetto Megalopolis, e cioè Desaparecidos#43. Un lavoro che intende portare alla luce le vicende che stanno purtroppo sconvolgendo il Messico e non solo. In particolare abbiamo concentrato la nostra attenzione sulla sparizione dei 43 studenti di Ayotzinapa, esaminando però anche i casi precedenti e tutta la situazione di terrore che si sta creando in questo paese. Un tema che ci tocca moltissimo, visti i nostri continui rapporti con il Messico dove, ad ottobre e novembre, porteremo in tournée il nostro spettacolo Made in Ilva. Con Desaparecidos#43 debutteremo a Calenzano al Festival Avampostiproprio il 26 settembre, giorno dell’anniversario della scomparsa dei 43 studenti, e parteciperemo al festival Attraversamenti multipli a Roma, con una versione dello spettacolo adattata agli spazi di Garage 0 il 9 ottobre e con un’interessate chiamata pubblica: Open call#43, un workshop per 43 attori, danzatori e studenti finalizzato alla creazione della performance urbana Megalopolis#Roma in scena l’8 ottobre negli spazi urbani di Largo Spartaco. Poi fino a dicembre saremo in tournée in Messico, Uruguay, Argentina e Cile, realizzando uno dei nostri sogni, quello di portare lo spettacolo Made in Ilva in giro per il mondo, dopo il successo ottenuto al Festival di Edimburgo lo scorso anno. Da gennaio in poi saremo di nuovo in Italia per avviare il nostro International Laboratory , un percorso di alta formazione per attori professionisti, durante il quale continueremo a lavorare con un team internazionale ai temi del Megalopolis project».