Il Truffaldino di Carlo Goldoni. Un classico.

In vista della nuova tournée mondiale, l’Arlecchino – rivisitato e messo in scena dal maestro Giorgio Strehler – arriva, in anteprima, alla Città del Teatro di Cascina.

Come dice il proverbio, “Arlecchino si confessò burlando”. Proprio così: la maschera bergamasca – o forse francese – con l’abito a rombi multicolore, protagonista dell’opera di Carlo Goldoni, è dotata di una personalità ambigua, con i piedi infilati in più scarpe, maldestra e bizzarra. Un personaggio simpatico, burlesco, ma non proprio preciso nei compiti affidatigli.
Goldoni – è doveroso rammentare – fu il drammaturgo che, nel Settecento, riformò totalmente il teatro, stendendo minuziosamente il copione, mettendo in bocca agli attori le espressioni precise dei dialoghi e stabilendo gli intrecci di scena, con registro consono a ogni personaggio.
La differenza dell’arte teatrale precedente al veneziano Goldoni verteva su una trama a grandi linee, il canovaccio, attraverso il quale gli attori, pur intrepretando un determinato profilo, ne improvvisavano forme e battute, secondo la loro destrezza.
Arlecchino servitore di due padroni fu il titolo che Giorgio Strehler, co-fondatore del Piccolo Teatro di Milano, abilmente pensò di trasformare dall’originale Truffaldino goldoniano, considerato a ragion veduta poco accattivante per un pubblico internazionale al quale si accingeva a mostrarsi già dal 1947.
«È uno tra gli spettacoli più belli del teatro del Novecento», annuncia il direttore della Citta del Teatro, Andrea Buscemi, entrando in platea di fronte al pubblico. «Ultimo spettacolo in cartellone, anteprima italiana alla vigilia del tour mondiale, che lo vede ancora tra le più apprezzate pièce teatrali italiane all’estero. Prego signori: accomodatevi qui, nei posti vacanti delle prime file», continua Buscemi invitando gli spettatori della galleria. «Sapete che Goldoni scrisse il suo Arlecchino a Pisa?»
Lo spettacolo si apre a suon di trombe, con un messaggero che annuncia gli atti, come negli eventi speciali dell’epoca repubblicana di Venezia, battendo tre volte un robusto bastone di comando sul palco.
La scenografia è semplicemente indicativa degli ambienti in cui si svolgono le scene, tramite fondali dipinti: una porta di osteria, un paiolo sul focolare quale ambiente casalingo, una calle veneziana.
I personaggi, tra le più note maschere italiane – Pantalone, Balanzone, Brighella e Arlecchino – con abiti di taglio originali e talvolta sontuosamente damascati, si mescolano ad alcune meno popolari, in un inarrestabile ritmo linguistico – di tanto in tanto difficilmente comprensibile per i meno avvezzi al dialetto veneziano – accompagnato dal movimento fisico, altrettanto trascinante, imprevedibile e ironico, come le pance all’aria di Balanzone, che ricordano tanto Oliver Hardy, o gli schiribizzi arlecchineschi.
Un teatro della tradizione attraversato da un linguaggio contemporaneo, che strappa spesso la risata del pubblico, con un incedere scorrevole delle scene, nonostante gli atti piuttosto lunghi, e quasi tre ore di performance. Scenette parodistiche di metateatro si intramezzano alla concreta, eccellente recitazione attorale.
Ma chi è Arlecchino? Perché servo di due padroni? La bramosia di riempire lo stomaco è l’ossessione primordiale della maschera italiana per eccellenza, interpretata magistralmente da Enrico Bonavera. Arlecchino vuole mangiare a sazietà e, tra un pasticcio e una bugia bianca, si ritrova a servire due differenti esponenti della borghesia in transito a Venezia, con l’idea di doppi sghei e, conseguentemente, doppi pasti.
L’intreccio prevede, tra i molti, grandi attori sul palcoscenico, matrimoni combinati, contese, colpi di fulmine, canti melodiosi e svenimenti. Un accavallarsi di eventi, sentimenti ed emozioni ben distribuiti, che non intralciano mai la dinamicità pulsante che contraddistingue la messinscena.
Ma infine, sebbene Arlecchino persegua il suo fondamentale scopo – ossia, sfamarsi – tra errori e soluzioni improvvisate, inconsapevolmente si ritrova messaggero d’amore È l’amore a muovere il mondo, e sen non proprio il mondo intero, almeno l’universo degli amanti che si cercano. E Arlecchino trova lui stesso un’innamorata aiutando, nel contempo, a riunire due amanti creduti defunti. Una buona conclusione, o no? Un happy end che mette tutti d’accordo, lasciando il pubblico con il sorriso sulle labbra mentre esce dal teatro.
«Un grande orgoglio aver ospitato l’Arlecchino di Strehler»: gli attori scesi in sala, in mezzo agli spettatori, salutano le parole di ringraziamento del direttore Andrea Buscemi, unendosi agli scroscianti applausi del pubblico in piedi.
Non a torto si definisce l’Arlecchino di Goldoni/Strehler uno tra gli spettacoli più famosi e apprezzati del teatro italiano nel mondo. Come potrebbe essere diversamente?

Lo spettacolo è andato in scena:
La Città del Teatro
via Toscoromagnola, 645 – Cascina (PI)
domenica 22 aprile, ore 21.00

Arlecchino servitore di due padroni di Carlo Goldoni
regia Giorgio Strehler
con Enrico Bonavera, Francesco Cordella, Davide Gasparro, Alessandro Gigli, Stefano Guizzi, Pia Lanciotti, Sergio Leone, Lucia Marinsalta, Fabrizio Martorelli, Tommaso Minniti,
Stefano Onofri, Annamaria Rossano, e i suonatori Gianni Bobbio, Matteo Fagiani, Francesco Mazzoleni e Celio Regoli
messa in scena da Ferruccio Soleri
con la collaborazione di Stefano de Luca
scene Ezio Frigerio
costumi Franca Squarciapino
musiche Fiorenzo Carpi
luci Gerardo Modica
movimenti mimici Marise Flach
scenografia collaboratrice Leila Fleita
maschere Amleto e Donato Sartori
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Ph: Ciminaghi – Piccolo Teatro di Milano