Il teatro come realtà produttiva e il mercato come spazio di confronto anche artistico: su questa duplice direttiva si muove MADFeria, «feria de artes escénicas que se celebra anualmente en Madrid en el mes de enero» con il principale obiettivo di «impulsar, dinamizar y generar mercado en el ámbito de las artes escénicas» coniugando «la exhibición de las últimas creaciones de artes escénicas del Estado español, con actividades orientadas a la reflexión y al encuentro entre los profesionales del sector».

Eccellenza del settore fieristico teatrale spagnolo, realtà diffusa in Europa ma praticamente sconosciuta in Italia, MADFeria si propone quale occasione fondamentale per, da un lato, misurare lo stato dell’arte di un intero settore creativo e, dall’altro, far incontrare e dialogare attivamente tutte le maestranze coinvolte – da organizzatori, distributori, direttori artistici, compagnie a istituzioni pubbliche e stampa (pur presente in questa occasione in misura molto ridotta) – anche strizzando l’occhio alla possibilità di oltrepassare i confini nazionali, vista la presenza di professionisti dall’estero.

«Organizada por ARTEMAD (Asociación de Empresas Productoras de Artes Escénicas de Madrid) y está asociada a COFAE (Coordinadora de Ferias y Artes Escénicas del Estado español)», MADFeria, pur essendo una tra le vetrine delle diverse Comunidades Autónomas, è però unica perché dedicata prioritariamente al settore professionale e non al pubblico, il quale potrebbe partecipare solo in linea teorica, non avendo alcuna possibilità di accedere al vasto programma di spettacoli, workshop e incontri per via delle lunghe liste di attesa.

Sono allora gli operatori teatrali, variamente declinati come indicato, a rappresentare il fulcro di una filosofia che vede nel teatro un settore integrato per la promozione economica e la crescita culturale, e che quindi organizza con grande sforzo Pubblico queste opportunità privilegiate di osservazione, confronto e acquisto di produzioni (non necessariamente nuove) a favore di compagnie storiche e nuove formazioni.

Inoltre, cme da tradizione iberica, MADFeria concentra il proprio input sul territorio, dunque su uno specifico tessuto localnazionale, e intreccia il discorso sulle arti con quell’offerta turistico-culturale tanto vivace che oggi, purtroppo o per fortuna, rappresenta uno dei tratti distintivi della Spagna nel mondo.

Il nostro report da Madrid si dividerà in due parti, in relazione a tutti e quattro giorni di fiera in cui siamo stati presenti. Ecco la prima.

Al di qua di una qualità accettabile rientra La lengua pegada al hielo di Miseria y Hambre. Due personaggi, un uomo e una donna, vanno a vivere sulle isole Svalbard, un arcipelago in cui si trova una Banca dei semi e le frontiere sono completamente aperte (non è richiesto il permesso di soggiorno, o di lavoro, per trasfericisi). Dall’iniziale idillio del potersi dedicare completamente l’uno all’altra e vivere in un ambiente incontaminato e sicuro, la coppia scoppia e quello che sembrava essere un rifugio diventa una trappola.

L’intero gioco drammaturgico di David Martínez Sánchez ruota attorno a una (inutile) scenografia mobile (che ruota per mostrare i diversi ambienti della casa senza aggiungere nulla a livello estetico o informativo) e alla trasfigurazione della relazione duale in triale con la personalità della donna riflessa in due attrici (Laura Ordás e María Prado), le quali, rimanendo sempre visibili, si alternano senza soluzione di continuità nel resituire verbalmente e fisicamente il conflitto nei confronti di un compagno (Pablo Huetos) vissuto via via sempre più come desposta e carnefice. Un canovaccio di per sé già poco credibile – maldestramente ricalcato su un impianto alla Shining inscena con poca credibilità la glaciale caduta agli inferni dei protagonisti – e interpretazioni a dir poco discutibili completano un allestimento che non parla di nulla che possa avere uno spessore culturale (i temi dell’ecologia, della società e dell’individuo non vengono neanche sfiorati) o toccare una dimensione intima (soprattutto per la totale assenza di lirismo di una ecologia scenica talmente didascalica da risultare spersonalizzante, in primis negli incoerenti costumi).

Più solido Nichts di Marco Goecke. Il coreografo tedesco disegna movimenti vibranti e potenti, frammentati e stilizzati e lascia spazio all’emotività per offire «un discurso pasional lleno significantes para que el público complete con significados». Ispirato «en la naturaleza y el otoño», Nichts innesta però un elemento naturalistico forse troppo scontato («las hojas secas caen de las manos y los cuerpos son árboles que ondean al viento») e rischia di depotenziare di molto le stesse premesse da cui pure prende le mosse.

Hilo roto della compagnia La Venidera vede Albert Hernández e Irene Tena coreografare «un grito al cielo por todas aquellas personas que olvidan sus recuerdos y, también, por aquellas que indirectamente sufren esa desmemoria». Ma più che la tematica che – nella straziante reazione di incontro-scontro dei giovani performer con l’anziano protagonista – vede formalizzare coreuticamente il disperato tentativo di tutti coloro i quali provano mantenere i ricordi e – con essi – gli affetti dei propri cari («quiere dar visibilidad a este colectivo sin voz, sensibilizarse con los familiares que lo sufren y compartir el trasfondo que hay de puertas adentro en convivencia con esta enfermedad: el amor»), a risultare interessante è stata la modalità con cui il collettivo sta esplorando «nuevas perspectivas de la danza española y del flamenco».

Fili che non si riannoderanno mai più. Personaggi in bicicletta che saranno irraggiungibili. Le parole di uno Scarabeo che non potrà mai essere risolto. I vestiti, i cappelli, il ventaglio del passato. Un accenno appena velato di ironia. La sontuosa esecuzione di Irene Tena sul convincente impianto musicale di Daniel Artomático: Hilo roto cede a tratti ad alcuni momenti ridondanti e, forse, retorici, ma lascia sedimentare l’esperienza del dialogo tra tradizione e contemporaneità sul suggestivo limite tra l’onirico e la memoria.

Decisamente meno organica, Hush y yalacha lava di Lava Compañía de Danza. L’intenzione è nobile, ossia esporre «la versatilidad y fuerza de la creación para la danza internacional» di riuscire a comunicare in maniera globale e trasversale «fisicalidad, poesía y compromiso». Le danzatrici sono generosissime e concentrate nel sostenere le partiture di Roy Assaf e Dong Kyu Kim e – dal punto di vista dell’esecuzione tecnica – sono poche le sbavature, quasi tutte sul finale quando sono ormai stremate, di Alicia Pirez, Amanda Rubio, Emiliana Batista, Fabiana Mangialardi, Paula Parra e Virginia Martín. Ha convinto poco, invece, la direzione di Daniel Abreu, apparsa confusa e incapace di dare omogeneità (soprattutto nel legare la seconda parte, Yalacha) al proprio (vago) metadiscorso su «creaciones con el denominador común de la contemporaneidad el lenguaje de la danza y otros códigos de discurso artístico de actualidad».

Concludiamo, con quello che ci è sembrato (di Excalibur y otras historias de animales muertos di Hermanas Picohueso parleremo invece nella seconda parte), lo spettacolo più autenticamente contemporaneo dei primi due giorni, Fui Prospero (o recordando la Tempestad), una gemma firmata Projecte ingenu, ensemble della Comunidad Autónoma de Cataluña.

Lo spunto è offerto dall’ultimo capolavoro shakespeariano, una delle opere di più complessa decifrazione perché strettamente intrecciata alla leggenda che vede nella malinconica vicenda del protagonista, che dall’onnipotenza della magia giunge al sacrificio per un bene superiore, lo stesso percorso di commiato del Bardo quale drammaturgo.

Romance e unica pièce in cui Shakespeare mantenne i cinque atti della tradizione classica e recuperò le tre unità aristoteliche di tempo, di luogo e d’azione, de La tempesta le assolute protagoniste sono un’atmosfera intrisa di magia e la capacità della parola di creare e spezzare illusioni e porsi in un delicato inequilibrio tra sentimenti contrastanti, dall’egoismo all’amore, dal desiderio di vendetta alla speranza in un mondo migliore e più giusto di quello che ci si è lasciati alle spalle.

La trasposizione di Projecte Ingenu è, senza mezze misure, sontuosa proprio nel plasmare insieme questa profonda complessità etico-estetica con quelle che erano state le indicazioni dell’autore: avvalersi del teatro quale luogo di magia e fare della scena il palco in cui il pubblico potrà credere di essere della stessa sostanza dei sogni («we are such stuff as dreams are made on and our little life is rounded with a sleep», The Tempest).

Nel farlo, Marc Chornet elude l’utilizzo semantico della parola, ma non della voce, impostando una vera e propria drammaturgia vocale di suoni, canzoni e frasi spezzate. Il risultato è un allestimento che, come l’isola di Prospero, riesce a essere evocativo provocando il pubblico attraverso la sua stessa immaginazione.

La scenografia è significativa nell’alternare sentimenti contrastanti, spesso legati a una dimensione ludica, ma anche di abbandono, rinascita e morte. È un labirinto-casa composto da un tavolo, sedie, una vasca da bagno, un televisore che trasmette immagini allegoriche (vecchi derby calcistici di Milano, ad esempio, ricordano il conflitto tra Prospero, Duca di Milano, e l’usurpatore Antonio) e antichi telefoni. In esso e con esso, gli attori e le attrici interagiscono quasi danzando una serie di coreografie mimiche attraverso le quali la sublimazione metaforica di ciò che apparentemente sembrerebbe didascalico viene fantasticamente incoraggiata.

La storia inizia da una fine ormai prossima. «Un hombre viejo que en otros tiempos fué próspero. Una casa que en otra época fué esplendorosa. Una hija. Runas de memoria que desenterrar. ¿Vestigios de un pasado cierto? ¿Fabulaciones para evitar el olvido?»: è dunque finito il tempo in cui, per mezzo della magia, il re asserviva ai propri voleri gli abitanti dell’isola. Il vecchio Prospero (Víctor Rodrigo), colmo di solitudine e aiutato da una bionda e delicatissima Miranda (Cristina López), vive una vita in cui l’incantesimo è terminato. Non ha più la propria bacchetta magica, il suo potere è spezzato, aspetta di uscire dalla vita accudito dai propri domestici (in cui in maniera mai pedante si andranno a riconoscere alcuni personaggi della tragedia originaria) nei suoi ultimi attimi di gioia e gioco, oppresso da una età che non potrà risparmiarlo.

Il finale, forse un po’ dilatato nei tempi, vede Prospero steso sulla vasca, mentre tutto attorno il disordine viene sgombrato e ripulito dai suoi compagni di viaggio con tanto di ramazze e la dolce figlia tentennare nel congedarsi. La sua vecchiaia incontra la morte e si avvia verso qualcosa che allo spettatore è solo lasciato immaginare: forse la redenzione, probabilmente la pacificazione nella quiete dopo la tempesta. Sicuramente l’ignoto, l’ultima dimensione del mistero di «un juego que propone al espectador participar de los delirios de una mente antigua, quizás senil, quizás demasiado lúcida».

Lo spettatore, pur avendo di fronte a sé l’intera casa, ne è estraneo visitatore e solo attraverso il progressivo svelarsi delle stanze nei vari giochi al loro interno imparerà a conoscerla nei dettagli. Grazie soprattutto alle capacità meravigliosamente evocative, sia al canto sia al movimento, di un cast straordinario e che, senza nulla togliere a nessuno, vede attimi di vertiginosa aura artistica nella voce e nell’interpretazione di Neus Pàmies, l’operazione metatetrale è tanto esplicita quanto potente: «¿Qué pasa fuera del teatro? ¿Qué pasa con aquello que consideramos «la realidad»? ¿Funciona el cerebro de la misma manera? ¿Es la «pura realidad» tan pura y real como pensamos, o solamente un conjunto de indicios parciales que nuestro cerebro insiste en pensar que son coherentes». Così come lo è il collegamento a una condizione esistenziale postpirandelliana che lega persona e personaggio: «Y, ¿qué pasa cuando el cerebro ya no es capaz de saber cuando está dentro o fuera del teatro…? ¿Qué pasa cuando ya no es capaz de controlar qué percibe, como lo percibe y qué sentido tiene aquello que reconstruye? ¿Dónde reside entonces la realidad? ¿Dónde reside la verdad?».

Fui Prospero (o recordando la Tempestad), attraverso questo «viejo, aislado del mundo, encerrado en una casa, dentro de unas paredes que son su propia memoria», il suo oblio e una messinscena straordinariamente contemporanea nel costruirsi post-drammatica e performativa, racconta senza alcuna ingessatura narrativa, dunque in maniera magicamente e crudelmente teatrale, «la tempestad, que va viniendo, que vuelve y retruena para purificarlo todo» per chiedersi se «estamos hechos de la misma materia que los sueños, pero, ¿qué forma tienen los sueños?».

Chapeau.

Gli spettacoli sono andati in scena all’interno di MADFeria 2020
Matadero

Plaza de Legazpi, 8 28045 Madrid
21 y 22 de enero 2020

LA LENGUA PEGADA AL HIELO
Compañía: Miseria y Hambre Producciones
Comunidad Autónoma: Madrid
Disciplina: Teatro
Duración: 80 min.
En escena: Laura Ordás, María Prado y Pablo Huetos
Dirección: David Martínez Sánchez
Dramaturgia: Félix Estaire
Distribuidora Ana Gardeta

FUI PRÓSPERO (O RECORDANDO LA TEMPESTAD)
Compañía: Projecte Ingenu
Comunidad Autónoma: Cataluña
Disciplina: Teatro
Duración: 80 min.
En escena: Cristina López, Neus Pàmies, Víctor Josep Rodrigo, Martí Salvat, Rosa Serra, Toni Guillemat y Xavier Torra
Dirección: Marc Chornet
Dramaturgia: Una creación original inspirada en «La Tempestad» de William Shakespeare
Distribuidora Susana Rubio (Nuevos Planes Distribución)

NICHTS
Compañía: Elephant in the black box
Comunidad Autónoma: Comunidad de Madrid
Disciplina: Danza
Duración: 80 min. (incluyendo acto de inauguración)
En escena: Anton Valdbauer; Bojan Micev; Sasha Riva o Wody Santana; Simone Repele o Nabar Martínez; Julie Carrère o Florine Pegat-Toquet; Louise Hery o Antonella Sampieri; Weronika Kaminska o Valentina Pedica
Dirección artística: Jean Philippe Dury
Coreografía: Marco Goecke
Distribuidora Elena Millán

HILO ROTO
Compañía: La Venidera
Comunidad Autónoma: Madrid
Disciplina: Danza
Duración: 60 min.
En escena: Juana García, Antonio Cañero, Andrea Antó, Alejandra de Castro, Alba Expósito, Elisabet Romagosa, Irene Tena y Albert Hernández
Dirección: Albert Hernández e Irene Tena
Coreografía: Albert Hernández e Irene Tena
Distribuidora Carmen Cantero (Art Flamenco Events)

Hush y Yalacha (Programa doble)
Compañía: Lava Compañía de Danza
Comunidad Autónoma: Islas Canarias
Disciplina: Danza
Duración: 70 min. (con descanso)
En escena: Alicia Pirez, Amanda Rubio, Emiliana Batista, Fabiana Mangialardi, Paula Parra y Virginia Martín
Dirección: Daniel Abreu
Coreografía: Roy Assaf (Hush) y Dong Kyu Kim (Yalacha)
Distribuidora Claudia Morgana