Della ripetizione e della trascendenza

Al Teatro Argentina, Alessandro Sciarroni presenta l’attesissimo Augusto, un ambizioso tentativo di riabilitazione dell’individualità in un mondo votato all’omologazione.

La ripetizione, la trascendenza e la relazione che lega l’una all’altra sono elementi indagati approfonditamente dalla ricerca artistica contemporanea.

La modalità in cui l’automazione della produzione industriale versa la propria anima nella meccanica dei comportamenti e delle emozioni determinando omologazione e disumanizzazione è, infatti, un argomento di capitale importanza, al punto tale che rispetto a esso l’arte in tutta la sua declinazione, dal cinema al teatro, dalla musica alla danza, dai nuovi media alla nuova serialità, ha dovuto – ma anche voluto – confrontarsi senza sconti.

Tutelata dai numi dell’efficienza e dell’efficacia, tale modalità è drammaticamente supportata da pratiche e discorsi volti a smarrire l’individuo in una dimensione in cui lo stesso soggetto diviene parte di un complesso di ingranaggi finalizzato al consumo, di una struttura che va sempre più configurandosi secondo l’ottica della globalizzazione e, quasi paradossalmente, dell’austerità nella meccanica automatizzata, nella pressione demografica e nella cronica stagnazione dei salari.

Il sistema economico non solo risulta talmente intrecciato da determinare le sorti di ogni singolo e minuscolo angolo del nostro pianeta e sostenuto da un apparato tecnologico in continua espansione, ma è ormai un gigantesco Leviatano il cui unico scopo è quello di auto-alimentarsi a discapito del benessere di cui pure dovrebbe essere strumento e la cui diffusione planetaria dovrebbe essere ormai possibile.

Contro uno scenario di continue crisi economiche e sociali che vediamo affrontate con gli stessi strumenti che le hanno determinate, una tra le più significative espressioni della reazione polemica al tardocapitalismo è stato il Minimalismo, in cui la trasfigurazione artistica del principio della ripetizione – che nella società del consumo sacrifica il significato stesso di ogni acquisto – viene ad assumere un’espressione autenticamente critica.

In questa area di consapevolezza critica – che caratterizza gran parte della ricerca coreografica dell’ultima metà di secolo e individua la questione cruciale di un soggetto che ha ormai perso la propria dimensione individuale e inter-soggettiva, naufragando in una asettica e spersonalizzante, nonché eterodiretta, ansia di oggettivazione – si inserisce idealmente l’attività del Leone d’oro alla carriera della Biennale Danza 2019, Alessandro Sciarroni che, per Short Theatre, ha presentato Augusto nella rassegna sulla coreografia contemporanea Grandi Pianure curata da Michele Di Stefano.

Sciarroni mostra di aver inteso la questione proponendo una danza in cui l’assenza dello sviluppo coreografico e la preponderanza della struttura ritmica possono essere ricompresi nei termini di una dialettica tra eterno ritorno dell’identico (da criticare) e del possibile (da recuperare). Augusto si edifica sull’ossessività di quello che potremmo chiamare calcolo combinatorio tra due movimenti: il primo è esterno e di esplorazione (prima) circolare e (poi) caotica del palco, il secondo è interno ed è caratterizzato dalla totale dedizione dei nove performer a una risata capace di coprire temporalmente l’intera durata dello spettacolo.

Nessun ideologico riferimento temporale o ambientale, la scena è completamente bianca, i costumi sono abiti comuni.
A dominare e (a tratti) a contagiare la platea è una risata che esplode e (a volte) soffoca e che costituisce il fil rouge di Augusto, portando a una autentica discesa in apnea nell’attesa che qualcosa succeda e immersione nel desiderio che, di conseguenza, si accenda la speranza del mutamento e che quella risata possa scartare la ripetizione meccanica e aprire alla possibilità della trascendenza.

Seduti spalle al pubblico, in totale silenzio e immobilità, i nove si alzano e, uno alla volta, iniziano a procedere in una corsa circolare contaminata dall’osservazione che ognuno volge prima ai propri compagni di danza, poi alla stessa sala. L’andatura, inizialmente ordinata e ornata da variazioni impercettibili, incede in un progressivo e complessivo disorganizzarsi della postura dell’ensemble.

Di questo spazio silenzioso, in cui la distanza tra performer veniva rispettata quasi geometricamente e il solo suono era quello di una corsa sincronizzata, diventa progressivamente protagonista una risata che, da singhiozzata, deflagra via via in tutta la sua ampiezza e varietà solcando i volti e agitando le membra dei danzatori.

La comunità danzante si frammenta, il passo d’insieme diviene singolare, a coppie, a terzetti, a gruppi senza soluzione di continuità. La dinamica coreografica si complica, include l’incontro nello scontro e viceversa. La dialettica tra individualità e gruppo è esplosa, i corpi assumono posture articolate, alternano sofferenza personale e sostegno all’altro. Tutto sembra sempre scomporsi e ricomporsi sotto la spinta bipolare – rispettivamente – sarcastica e inclusiva della risata.

La lotta contro l’omologazione e la riabilitazione del valore positivo dell’alterità, vale a dire il suo riconoscimento come tale, vengono affermati, tuttavia la pacificazione non è mai definitiva. Il clima critico, sempre condito dal sottofondo della risata, investe anche la dimensione specificatamente culturale (come dimostra la mortificazione dell’aria Oblivion soave cantata dal vivo), prima di aprire platealmente al tema della violenza (i ripetuti schiaffi con cui un performer colpisce la compagna) e poi chiudere (inopinatamente) in un finale consolatorio.

La ripetizione per Sciarroni non è allora espressione della futilità dell’azione e della marginalizzazione cui l’umanità si è consegneta in un mondo sempre più meccanizzato nei gesti, stereotipizzato nei comportamenti e conformista mei modelli di pensiero (che poi costituiscono il lato oscuro, spesso dominante, dell’invasività dei social network). La ripetizione sublimata dal e nell’atto creativo diviene leva polemica, atto di critica, affermazione positiva della possibilità, via di uscita dal senso unico a cui la contemporaneità senza essersi avviata e dalla catastrofe cui sembra volersi schiantare. Dunque possibile trascendenza.

Tuttavia, al netto delle lodevole intenzioni e di una apprezzabile esecuzione (brillante solo per il tour de force con cui i nove interpreti hanno tenuto con apparente spontaneità la risata per circa un’ora),  Sciarroni non riesce, da un lato, a evitare che l’eccessiva linearità tenda a depotenziare l’apparato lirico di Augusto in un evidente didascalismo e, dall’altro, a non pagare dazio a una densità ritmica non sempre sostenuta dall’adeguata espressività delle figure e degli schemi coreografici.

Divagando in momenti di evitabile ennui, Augusto è una creazione che perplime nel suo complesso perché, di fatto, manca il proprio obiettivo fondamentale, ossia convertire in un gesto minimo e mai completamente identico la fondazione di una nuova ritualità spirituale.

Peccato, perché date le premesse e il genio di Sciarroni, le condizioni per uno spettacolo memorabile sembravano esserci tutte.

La coreografia è andata in scena
Teatro Argentina

Largo di Torre Argentina 52, Roma
8 e 9 settembre 2019, ore 21

Augusto
di Alessandro Sciarroni
con (9 performers in alternanza) Massimiliano Balduzzi, Gianmaria Borzillo, Marta Ciappina, Jordan Deschamps, Pere Jou, Benjamin Kahn, Leon Maric, Francesco Marilungo, Cian Mc Conn, Roberta Racis, Matteo Ramponi
musica Yes Soeur!
disegno luci Sebastien Lefèvre
movement coaching, collaborazione drammaturgica Elena Giannotti
styling Ettore Lombardi
consulenze drammaturgiche Chiara Bersani, Peggy Olislaegers, Sergio Lo Gatto
coaching yoga della risata Monica Gentile
collaborazione artistica Erna Ómarsdóttir, Valdimar Jóhannsson
vocal coaching Sandra Soncini
direzione tecnica Valeria Foti
assistenza ricerca Damien Modolo
produzione Marche Teatro Teatro di Rilevante Interesse Culturale, corpoceleste_C.C.00#, European Creative Hub – French Minister of Culture/Maison de la Danse grant for Biennale de la danse de Lyon 2018, Festival GREC Barcelona, Théâtre de Liège, Teatro Municipal do Porto, Centquatre-Paris, apap – Performing Europe 2020, a project co-founded by the Creative Europe Programme of the European Union, Snaporazverein, Theaterfestival Boulevard, Theater Freiburg (Germany)
in coproduzione con Tanzfabrik Berlin, Centrale Fies, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino
in collaborazione con Short Theatre