Senza parole, pieno di poesia

Lo spettacolo chiude una trilogia del silenzio e della memoria curata da Teatropersona. La rappresentazione, ispirata all’opera Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, è andata in scena al Teatro Mengoni di Magione.

«Aure, indicibili aloni di vita che ammantano ogni cosa», dice Elémire Zolla. Un pensiero affine alla natura del regista Alessandro Serra che ha affermato di dedicare l’intero spettacolo Aure allo scomparso filosofo, scrittore e storico delle religioni italiano. Aure chiude una trilogia dedicata al silenzio e alla memoria di cui fanno parte anche Beckett box e Il trattato dei manichini, rappresentazioni che hanno in comune l’assenza di un testo scritto da recitare, da cui aure, termine che intende la volontà di astrarre da queste opere l’indicibile a parole.

La relazione con Marcel Proust è molto forte, in particolare con l’opera Alla ricerca del tempo perduto. Serra ne ha tralasciato la storia, soffermandosi, tuttavia, sul fluire del tempo e sulla simbiosi che può crearsi in maniera non narrativa tra persone e cose. Non si tratta di mimi, ma di teatro senza parole, di una pellicola dotata di anima propria che viene accompagnata dalle note come accadeva per la proiezione dei film muti nelle sale.

Serra nei suoi spettacoli parte sempre dal corpo dell’attore e dal movimento scenico e tale percorso è comune a tutta la Trilogia nel senso di agire sulla materia, cioè sui corpi degli attori, sui costumi, sullo spazio, sugli oggetti e sulla luce. Tadeusz Kantor, altra fonte di ispirazione per Serra, utilizzava gli oggetti obsoleti per accedere al passato, a ciò che era stato sepolto e rimosso dalla mente, e farlo rivivere.

Da tre porte bianche che emergono dal nero delle pareti, entrano e escono corpi insiti in quelle memorie ed è sulla presenza di figure di vite odierne che adombrano vite passate che Teatropersona costruisce Aure. Lo spazio scenico, al cui interno si agitano presenze come marionette senza vita che, d’un tratto, iniziano a muoversi e a seguire un percorso precostituito sul ricordo, è pregno di quella delizia pittorica che rende riconoscibile l’eleganza stilistica tipica di questa compagnia e la capacità di creare un’atmosfera costantemente poetica attraverso una luce sensibile al movimento.

Le scene scivolano via nitide lasciando emergere i ricordi in maniera netta e non sbiadita, grazie a un’attenzione certosina del regista al minimo dettaglio. Il tutto si tramuta in una dimensione più prossima al reale che utopica. Il linguaggio tagliato, rinunciando alle parole, è presente con forza nel movimenti del corpo degli interpreti (Chiara Michelini, Francesco Pennacchia e Daria Menichetti) che con indubbia qualità e sicurezza curano l’occupazione dello spazio scenico.

Ed è soprattutto il sogno/ricordo perduto di Chiara Michelini con la scena in cui l’uomo è seduto a un tavolo e la donna vi si appoggia con il suo lungo abito, a risultare il cardine per l’intero lavoro. La mutazione fra oggetto inanimato ed essere vivente ha il sopravvento, mentre la musica di violini diviene scricchiolio legnoso e l’abito appare tendersi come impigliato, lasciando uscire dalla gabbia del vestito, nel momento in cui l’anima cerca di liberarsi dal ricordo che l’imprigiona, un corpo nudo simbolo di rinascita.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Mengoni

via del Teatro 1, Magione (PG)
sabato 13 febbraio 2016, alle ore 21:00

Aure
regia, drammaturgia, scena, luci, suoni Alessandro Serra
con Daria Menichetti, Francesco Pennacchia, Chiara Michelini
una produzione Teatropersona
Regione Lazio-Assessorato alla Cultura, Arte e Sport Bassano Operaestate Festival, Teatro Fondamenta Nuove Venezia, Rete teatrale aretina, Teatro Comunale Castiglion Fiorentino Fondazione Ca.Ri.Civ.