Barbablù e le donne

Il gruppo E-Motion si cimenta con la fiaba di Charles Perrault Barbablù (ma anche con Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estés), cercando di farne il punto di partenza per indagare il rapporto tra uomo e donna.

Barbablù nella fiaba è un uomo ricco, ha avuto sei mogli, tutte scomparse, fino all’incontro con la settima, che curiosando nel palazzo scopre la stanza proibita, quella della mattanza delle altre. Nello spettacolo tre donne ripercorrono la posizione femminile fatta di devozione all’uomo, cui fa da contraltare lo spasmo isterico dell’angustia domestica, la preghiera di un bacio mediata dalle canzoni d’amore.

L’uomo feticisticamente tende ad avere a che fare con pezzi del corpo femminile (sulla scena alle performer si aggiunge una bambola gonfiabile), oppure con donne diverse, in cui ognuna deve lasciare spazio alla seguente, come in una sarabanda che non permette di stringerne nessuna. Piuttosto di una donna, l’uomo insegue il fantasma che ha di lei, e che media il suo rapporto col femminile. Il performer corre, non raggiunge nessun posto; fa mulinare le braccia ma non afferra niente. La solitudine femminile diviene un corpo muto, non toccato, incapace di vibrare. Disteso, ha solo la terra per saggiare la consapevolezza del proprio corpo.

Il pavimento risponde ai sussulti, ma l’eco è fatto di suoni scomposti, che prendono il posto di parole assenti. Alla fine il suono asignificante del proprio corpo che urta, è il solo senso possibile, puro chiasmo. Nell’isolamento di una paventata prigionia, le donne si danno la voce da seguire, come quella di un navigatore satellitare che mastica parole sospese tra una statica mortificazione e una direzione allitterata: «frantoio, pestare, spostare, svoltare a destra dopo lo stop…».

Nel passo a due che precede l’esito, uomo e donna non si trovano: lui vuole prenderla, lei non è mai dove lui la cerca, sempre a un tiro di braccio, gioco estenuante del cercarsi sempre, senza trovarsi mai. Gli uomini spesso pretendono di avere ciò che vogliono proprio da una donna, sentita come ostinatamente reticente, mentre ogni incontro amoroso lo espone all’inevitabilità di desiderare solo ciò che non si può avere, da una donna che non può dartelo. Solo avendo fatto proprio questo paradosso, è possibile abbracciare una donna come si abbraccia la propria stessa mancanza incarnata, scontata per l’uomo l’esistenza di una stanza segreta in cui è custodito il proprio singolare fantasma femminile. Non è possibile disfarsi di stanze chiuse a chiave.

L’esito della performance sembra il fare branco delle donne contro un uomo posto da queste nella posizione della mancanza femminile, con la sola consolazione della corsa, dell’allevamento dei cuccioli. Selvaggia e infinita in uno spazio infinito, la donna fatta lupo rimane tuttavia senza l’amore di un uomo a porre un limite alla propria energia ancestrale.

La messa in scena è assai suggestiva. I performer si cimentano tra il corpo e una pedana ecoica da cui trarre suoni, per dire che il corpo è voce, tensione alla parola che non si esaurisce mai in un significato, ma in una memoria antica in cui ferita e parola stessa sono la medesima cosa. Francesca La Cava – regista e coreografa – afferma: «Le fiabe non sono semplici racconti per bambini, ma un lastricato labirinto di percorsi e simboli». Il corpo femminile si offre a tramandare oralmente una narrazione inconscia, che ha terribilmente bisogno di un uomo per poter essere fatta propria.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Greco

Via Leoncavallo 10, Roma
Martedì 27 Settembre 2016, ore 21

Barbablù
regia e coreografia Francesca La Cava
interpreti Corinna Anastasio, Sara Catellani, Francesca La Cava, Luisa Memmola e Manolo Perazzi
musica originale e live electronics su pavimento interattivo Concetta Cucchiarelli, in collaborazione con Stefano Di Pietro (Metapherein collective)
assistente alla regia Ilaria Micari
scene e video Edoardo Gaudieri
costumi Francesca La Cava e Antonella Martellacci
disegno luci Carlo Oriani Ambrosini
produzione GRUPPO e-MOTION con il contributo del Ministero dei Beni delle Attività Culturali e del Turismo, della Regione Abruzzo e del Comune dell’Aquila