Le cozze di Civica

Nel salotto del teatro toscano, al Metastasio di Prato, va in scena Belve, una farsa. Testo di Armando Pirozzi, regia di Massimiliano Civica.

O far ridere o piangere“, così esordisce nelle sue note di regia il maestro Civica, quasi che a teatro non si possa suscitare altro. Si potrebbe, però, dissentire. Per ridere non c’è bisogno di pagare un biglietto, basta rimanere sulla poltrona di casa e guardarsi una vecchia puntata di Su la testa!. Per piangere, è più che sufficiente leggersi una dichiarazione di Di Maio a caso, tipo quella che approva l’attacco unilaterale e terroristico di Trump (May e Macron) in Siria. Dal teatro ci si attende di più: che faccia pensare un pensiero diverso, che emozioni, perturbi, demolisca certezze, rispecchi vizi e vezzi di una società sull’orlo di una crisi di nervi. Da un regista pluripremiato, questo è il minimo.
Ma veniamo a Belve.
Ora, la farsa è genere tanto antico (si pensi alle farse fliaciche e atellanae) quanto desueto. Se il riso è diabolicamente umano (Eco docet), i modi per suscitarlo sono molteplici e connessi con tempi e costumi. Rimandando a Motto di spirito e azione innovativa di Paolo Virno, per non ammorbare oltre il lettore (o allo stringato ma pungente Homo Ridens di Sotterraneo per un breve excursus sulle ragioni chimico-fisiche e psicologiche della risata), diremo che Belve fa ridere più come un vaudeville di Feydeau agito da una Compagnia di giro, che non come una farsa di Molière (dove al comico si unisce sempre il tragico). Nonostante la battuta sulle Termopili della crisi (spuria e a sé stante) e il tentativo filosofico sulle cozze (paragone erroneo in quanto il mitilo, a differenza del capitalista, non succhia il mare – leggasi i lavoratori – bensì lo filtra depurandolo, e quindi restituendo più di quanto consumi), lo spettacolo sa di muffa quanto un cappotto bagnato abbandonato in soffitta (ci perdonerete il paragone ovviamente ironico).
A mancare sono anche i tempi comici. Gli attori appaiono “belve” – ma ammaestrate (costrette, imbrigliate in una struttura registica imposta, come era successo con l’effervescenza de I Sacchi di Sabbia ne I dialoghi degli dei). Il riso del pubblico (o almeno di parte di esso, ieri sera a teatro) sembra anticipare più che seguire le battute, ed è suscitato da una camminata cartoonistica, dalla vetero-macchietta transgender (in stile Colorado), dai poliziotti non molto intelligenti sul genere Keystone Cops; in breve, dalla ripetizione di gesti, frasi e onomatopee (vezzo registico che avevamo già criticato nel succitato I dialoghi degli Dei) che, alla lunga, stanca.
Nel complesso, uno spettacolo che non aggiunge nulla alla storia del teatro – né a livello drammaturgico né dal punto di vista registico. In tempi in cui si sente la necessità di osare, di andare oltre, di seguire un’esigenza creativa autentica (forse, il fatto che Pirozzi abbia scritto una farsa su sollecitazione del regista, e non di propria spontanea volontà, può aver contribuito alla mancanza di un’adeguata ispirazione), mettere in scena una farsa – più vicina al vaudeville – pensando al castigat ridendo mores di Jean de Santeul, è impresa ardua, soprattutto se l’agnizione finale non scardina lo status quo bensì lo riafferma (e, questo, Molière – il padre della farsa moderna – non lo avrebbe mai permesso).

Lo spettacolo continua:
Teatro Metastasio

via B. Cairoli, 59 – Prato
fino a domenica 22 aprile
orari: feriali ore 20.45, sabato ore 19.30, domenica ore 16.30)

Belve, una farsa
di Armando Pirozzi
uno spettacolo di Massimiliano Civica
costumi Daniela Salernitano
luci Roberto Innocenti
con Alberto Astorri, Salvatore Caruso, Alessandra De Santis, Monica Demuru, Vincenzo Nemolato e Aldo Ottobrino
produzione Teatro Metastasio di Prato
con il sostegno di Armunia Centro di Residenze Artistiche Castiglioncello