Massa e potere

Debutto italiano alla Triennale Teatro di Milano della nuova creazione di Romeo Castellucci, interpretata da una ventina di “uomini della strada” eterodiretti tramite un auricolare.

Con Bros si apre di fatto il quadriennio (2021-2024) di Romeo Castellucci, Grand invité della Triennale di Milano, la cui presenza era già stata introdotta nel mese di giugno dalla performance Il terzo Reich.

Anima del più importante gruppo teatrale di ricerca, la Societas Raffaello Sanzio, fondato nel 1981con la sorella Claudia e con Chiara Guidi, Romeo è un regista di culto in Europa e nel mondo i suoi spettacoli sono contesi in tutti i festival di teatro (nel 2008 è stato il primo italiano a essere stato scelto come “artista associato” dal Festival di Avignone) e le sue regie musicali oggi si possono vedere all’Opera di Parigi o a Salisburgo. È finalmente giunto il momento di un riconoscimento pubblico pure in Italia e la Triennale di Milano è la sede idonea alla sua fisionomia artistica, sia per la radicalità delle sue creazioni sia per le sue origini nel campo della performance art.

Bros si presenta come un mistero in cui la riflessione sul tema della violenza e dell’omologazione (e non solo) esplora contemporaneamente la natura visionaria del teatro e i suoi meccanismi di interazione tra il regista e l’attore. Ma procediamo in ordine.

Come ci informa il foglietto illustrativo gli attori sono stati reclutati (in questo termine è già inclusa una metafora militare) tra «uomini della strada» istruiti sommariamente un giorno prima della recita, hanno aderito a un rigido codice comportamentale impegnandosi a eseguire gli ordini che avrebbero ricevuto (tramite un auricolare nascosto) «con freddezza sacerdotale», senza discutere, anche a costo di non capire. Il patto diabolico trasforma la scena in un rituale di iniziazione, che passa attraverso la decisione di abdicare a qualsiasi possibilità di scelta e l’interprete si scopre solo di fronte alla paura dell’errore, da cui lo salva (?) la coscienza di ubbidire il più correttamente possibile all’ordine, in pratica di fare come gli altri, in una omologazione assoluta.

La rappresentazione è di conseguenza un laboratorio sperimentale che ci fa assistere in corpore vili alla formazione della volontà del branco che riceve forza da una somma di varie persone spersonalizzate, ma è anche un campo di verità in cui prova e recita finiscono per coincidere.

E anche se vengono in mente terribili fatti di cronaca, dall’assassinio di Giulio Regeni a quello di George Floyd, Castellucci sembra rappresentare una condizione esistenziale universale un essere umano “gettato” sulla terra e smarrito come i suoi performer sul palcoscenico.

All’inizio lo spettatore si trova di fronte a un’immagine che sembra proiettata su un futuro distopico, due robot totemici al centro del palcoscenico avvolto in una nebbiosa oscurità uno, quello più alto, vagamente fallico, ruota, di tanto in tanto si ferma perché ha avvistato qualcosa, poi riprende a girare; l’altro illumina a scatti quasi come il lampo al magnesio di una vecchia macchina fotografica. Lo spettatore capisce di essere l’oggetto di una minaccia e crede che l’azione si svolgerà in un futuro orwelliano.

L’ipotesi è subito contraddetta dalla scena successiva l’ingresso di un vecchio profeta con un bastone fiorito (che sia un tirso?). Recita frammenti delle Lamentazionidi Geremia, ma l’attore Valer Dellakeza le dice in rumeno e non ci sono sottotitoli (il teatro tuttavia all’ingresso ci ha fornito la traduzione in italiano), di conseguenza si coglie esclusivamente il tono disperato dell’invettiva. È a questo punto che entrano in scena gli uomini della strada, tutti vestiti da poliziotti come in un noire dei tempi passati.

Il profeta ricorda il vecchio del quarto episodio (Bruxelles) della Tragedia Endogonidia e quando lo vediamo sdraiato su una branda ci aspettiamo quasi di vederlo assorbire dal letto come in quel celebre spettacolo. Ma per Castellucci non è più tempo di prodigi scenotecnici e infatti comincia la parte più dura della performance. Il gruppo dei poliziotti si tramuta in uno squadrone di morte, con sevizie gratuite e assassini che si succedono senza requie. Il vecchio, dopo essere stato ucciso, forse per tacitare i sensi di colpa, viene divinizzato, la violenza non risparmia neppure gli stessi poliziotti, un attacco epilettico è riprodotto in tutto il branco per imitazione e suggestione. Quando il branco scende in platea un senso di sgradevole inquietudine turba lo spettatore.

Nel finale abbiamo la comparsa di un ragazzo, vestito di bianco come il profeta. L’immagine potrebbe suggerire un lieto fine, una speranza nel futuro delle nuove generazioni ma il ragazzo ha sulla tunica lo stesso distintivo dei poliziotti. Il futuro riproporrà implacabilmente gli stessi meccanismi del passato.

Bros è uno spettacolo cupo, in cui la premessa del metodo mette in moto una macchina implacabile di ripetitive variazioni. Anche se abbiamo visto la terza recita milanese, quindi quando all’interno del gruppo l’effetto sorpresa si era indebolito, ci ha stupito il rigore formale che la performance raggiunge pur essendo generata dallo scontro tra una rigida struttura precostituita e l’alea della realizzazione. Certo, questo accade in tutti gli spettacoli teatrali (sempre soggetti al caso) ma qui il contrasto è radicalizzato. Con un imprevedibile ribaltamento nello scarto, anzi nello sbaglio trova spazio l’unica possibilità di commozione e di emozione dello spettatore, altrimenti raggelato dal manierismo dell’operazione.

Lo spettacolo è andato in scena
dall’11 all’14 novembre 2021
Teatro dell’Arte / Triennale Milano
Viale Alemagna, 6 Milano

Bros
concezione e regia Romeo Castellucci
musica Scott Gibbons
motti Claudia Castellucci, tradotti in latino da Stefano Bartolini
con Valer Dellakeza e con gli agenti Luca Nava, Sergio Scarlatella e con uomini dalla strada
dialogo drammaturgico Piersandra Di Matteo
direzione tecnica Eugenio Resta
tecnico di palco Andrei Benchea
tecnico luci Andrea Sanson
tecnico del suono Claudio Tortorici
responsabile Costumi Chiara Venturini
sculture di scena e automazioni Plastikart studio
realizzazione costumi Grazia Bagnaresi
direttrice di produzione Benedetta Briglia
coproduzione Kunsten Festival des Arts Brussels; Printemps des Comédiens Montpellier 2021; LAC – LuganoArte Cultura; Maillon Théâtre de Strasbourg – Scène Européenne; Temporada Alta 2021; Manège-Maubeuge Scène nationale; Le Phénix Scène nationale Pôle européen de création Valenciennes; MC93 Maison de la Culture de Seine-Saint-Denis; Emilia Romagna Teatro Fondazione, Modena; Ruhrfestspiele Recklinghausen; Holland Festival Amsterdam; V-A-C Fondazione; Triennale Milano Teatro; National Taichung Theater, Taiwan
figuranti Luca Arcangeli, Richard Arnaud, Andrea Beghetto, Leonardo Bordin, Federico Cicinelli, Alessandro Conti, Amerigo Cornacchione, Luca D’Addino, Marco De Francesca, Francesco Falabella, Daniel Falappa, Paolo Faroni, Riccardo Festa, Luca Gianfreda, Vincenzo Grassi, Pietro Lancello, Sebastian McKimm, Luca Nava, Alessandro Negri di Sanfront, Gaetano Palermo, Michele Petrosino, Julian Soardi