Il mistero della forma

Esperimenti (più o meno riusciti) e domande dal Festival della Costa degli Etruschi.

La nostra serata inizia con Cani morti, regia di Carmelo Alù, spettacolo vincitore del progetto Davanti al pubblico, del teatro Metastasio di Prato.
Uno spettacolo di tradizione, almeno così sembrerebbe all’inizio, in cui però – e fin da subito – si sente la presenza di un testo molto “forte”, ingombrante, tanto che in principio si è quasi tentati di chiudere gli occhi e abbandonarsi al dire, ascoltando l’andamento delle battute.
Consapevoli del fatto che lo spettacolo ha un suo valore proprio per quanto attiene all’aspetto registico, resistiamo alla tentazione. Un testo particolare quello di Jan Fosse, in cui la forma è molto presente – come gioco di linee, di direzioni e rimandi. La messinscena, in qualche modo, riflette la forma del testo: la recitazione e il parlato si incollano a esso, si modellano sulla sua stranezza, al suo essere grottesco, quasi gioco d’astrazione in cui le parole sono come mattoncini.
I movimenti fra gli attori (ovvero la prossemica) sono traiettorie, e gioco delle posizioni, tanto che sembra di poterle visualizzare come in un disegno. I gesti lasciano la sensazione di essere segni di un alfabeto del linguaggio corporeo.
Colpiscono poi due momenti, rivelatori della relazione fra madre e figlio – madre spaventata dalle reazioni di lui – in cui l’intensità del gesto si staglia su una relativa “piattezza quotidiana”.
Sebbene un sottotitolo al testo potrebbe essere “mille modi di dire un sì” – dato che il monosillabo è ripetuto talmente tante volte da sembrare chiaramente un elemento significativo – nella realizzazione non si riesce a capire quale senso sia stato attribuito a questa parola dalla regia. Forse è anch’esso trattato quale mattoncino fonico.
Ma spieghiamo più in profondità. Di un trattamento del dire e della battuta quali puro suono si ha la sensazione anche in due momenti topici della vicenda. I quattro attori in scena, immobili nelle loro posizioni, sembrano cantare un finale d’atto rossiniano, coi suoi tableaux, il tempo sospeso, e quella peculiare gestione del verso in musica. La parola, seppur non intonata, è detta con cadenza e ritmo che ricordano l’alternarsi dei cantanti. Tutto fermo, frasi ripetute ognuno per sé.
In generale durante lo spettacolo si soffre di una strana forma di noia. Se da un lato il testo con la sua storia tende verso una soluzione, la realizzazione scenica volta a restituire un clima di immobilità del quotidiano, di una sofferenza psichica (il figlio) e di una relazione bloccata (quella fra madre e figlio) tira in direzione opposta, verso la stasi assoluta.

Alle 20.30 assistiamo a Non ricordo di Simone Zambelli. Con il suo spettacolo avviene qualcosa di particolare e, sebbene potremmo spendere parole su riflessioni e sul senso del ricordare, la cosa che colpisce di più è il senso di scollamento con ciò che accade in scena. Le idee sembrano appartenere solo allo sguardo dello spettatore. I gesti paiono geroglifici la cui traduzione sfugge. Qualcosa non torna. Qualcosa a metà strada fra palco e scena si blocca.
Un danzatore balla, bene, senza dubbio, ma cosa trasmette il suo danzare? Sinceramente non sapremmo dare risposta. Possiamo solo raccontare, in breve, quello che ha risvegliato in noi: una dialettica fra i diversi io che abitano la persona – l’io adulto da uomo inquadrato in società con lavoro e tran tran quotidiano; e l’io bambino, che cresce sotto lo sguardo del babbo, soggetto alla tensione delle aspettative, alla forza di distorsione del suo sguardo. E poi un io che racchiude tutto quanto insieme: io che danzo, io che ricordo, che ci provo, che sono sempre lo stesso di quando ero piccolo e, allo stesso tempo, non lo sono più.
Il gesto finale del vecchio è liberatorio: l’anziano perde lo status di sguardo esterno e giudicante e diventa uomo uguale all’altro, in balia delle stesse fragilità, della stessa danza della vita.
Lo spettacolo, da un lato, ha un che di vecchio – saranno le musiche, o alcune scelte realizzative – mentre, dall’altro, piace per la sua semplicità il suo fare leggero e ironico.

Concludiamo la serata con Andromaca, nato dalla sinergia di Sacchi di Sabbia e Massimiliano Civica.
Dopo la prova dei Dialoghi degli dei, leggero e spassoso divertissement sul testo di Luciano di Samosata, ecco la rielaborazione dalla tragedia di Euripide.
Molte cose si possono dire. L’esperimento ci piace e sembra un’ottima idea per diversi motivi.
Per prima cosa permette in qualche modo di confrontarsi con un classico, che per quanto decisamente rielaborato e presente solo sotto certi aspetti, è pur sempre un ottimo punto di riferimento. Confrontarsi col classico sebbene riscritto è sempre interessante e aiuta a crescere.
Secondo, per la messinscena, ricca di soluzioni ardite da un punto di vista del linguaggio, quindi ben lontane dagli schemi di un teatro di tradizione, e quindi, anche sotto questo aspetto, con un risvolto educativo per il pubblico.
Se si pensa al tentativo di Massimiliano Civica di creare un teatro popolare d’arte che porti il pubblico degli abbonati della domenica a confrontarsi in modo tranquillo, pacifico e indolore anche con un teatro più sperimentale, questa sembra veramente una strada interessante ed efficace da percorrere (francamente più di quella tentata con lavori come Un Quaderno per l’inverno).
Anche perché i Sacchi di Sabbia si mostrano ancora una volta degli interpreti più che bravi, con una verve frizzante, varia, che riesce ad attingere, come avviene in questo lavoro, anche a filoni più drammatici, scartando sempre fra serio e comico, con agilità sorprendente.
Spettacolo quindi interessante e godibilissimo, in cui l’invito finale di Guerrieri al pubblico si trasforma in una strana provocazione. E ci fa interrogare.
Il comico è una forma di manipolazione del messaggio? Quando la risata è un problema e diventa un ostacolo alla comprensione della realtà tragica dell’esistenza?

Gli spettacoli sono andati in scena nell’ambito di Inequilibrio Festival 2018:
Castello Pasquini,varie location
Castiglioncello (LI)

mercoledì 4 luglio, ore 19.15
Sala del camino
CANI MORTI
di Jon Fosse
adattamento e regia Carmelo Alù
con Alessandra Bedino, Domenico Macrì, Emanuele Linfatti, Caterina Fornaciai e Daniele Paoloni
produzione Teatro Metastasio Prato – Spettacolo vincitore progetto Davanti al pubblico 2018
con il sostegno di Armunia/Festival Inequilibrio, Capotrave/Festival Kilowatt e Fondazione Toscana Spettacolo

ore 20.30
Auditorium
Simone Zambelli in:
NON RICORDO                                                     
con il sostegno di Balletto Civile
finalista Premio Equilibrio 2018
Vetrina della giovane danza d’autore – Azione del Network Anticorpi XL coordinata dall’associazione Cantieri
menzione speciale Premio_Twain direzioniAltre 2017
coreografia e danza Simone Zambelli
testi Carlo Galiero
aiuto Drammaturgico Arianna Mandolesi
musiche AA.VV.

ore 21.15
Tensostruttura
I Sacchi di Sabbia/Massimiliano Civica presentano:
ANDROMACA
da Euripide
uno spettacolo di Massimiliano Civica e I Sacchi di Sabbia
con Gabriele Carli, Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri, Enzo Iliano e Giulia Solano
produzione Compagnia Lombardi-Tiezzi
in co-produzione con I sacchi di sabbia
e il sostegno della Regione Toscana