In dialogo con la tela. L’assoluto, poco più in là.

Un vero e proprio evento che entra di diritto a far parte della storia della danza. La grande coreografa e danzatrice americana Carolyn Carlson ha messo in scena la sua nuova creazione Dialogue with Rothko alla Maison de la danse di Lione.

Un dipinto: Mark Rothko, Untitled (Black, Red over Black on Red), 1964.
Un’artista visiva: Carolyn Carlson.
Una mostra: Danser la vie, Centre Pompidou, Parigi, novembre 2011 – aprile 2012.
Un libro: Carolyn Carlson, Dialogue avec Rothko, Invenit, Ennetières-en-Weppes, 2011.
Stabiliti questi fondamenti, risulta possibile avvicinare ciò che è avvenuto la serata del 5 ottobre alla Maison de la danse di Lione.
Nasce in risonanza all’esposizione parigina Danser la vie, la riflessione che la coreografa e danzatrice americana Carolyn Carlson concepisce inizialmente per la pagina scritta. La mostra fu consacrata al tanto straordinario, quanto poco sondato, legame tra l’arte contemporanea dell’ultimo secolo con la danza, rappresentando un momento importante di riconsiderazione della portata della danza nel mondo artistico e viceversa. Siamo nel 2011 e Carolyn Carlson dà alle stampe Dialogue avec Rothko, un piccolo libro pubblicato per le Editions Invenit, che propone una riflessione sulla pittura di Mark Rothko, il grande pittore nato a Daugavpils, successivamente naturalizzato americano. Si tratta di un piccolo gioiello che non è stato vergato né da un addetto ai lavori, né da un letterato, ma da un’artista autenticamente visiva. Poche pagine in inglese, la lingua madre della Carlson, affiancate dalla traduzione francese (lingua del Paese che da molti anni l’ha adottata). Fin dalle prime righe di questo testo, è lampante il fatto che non ci troviamo di fronte a una scrittura poetica, ma che siamo scaraventati all’interno del fare artistico che non possiede più caratteri netti poiché i vari registri e le varie specificità delle arti vengono meno. Si potrebbe definire come l’omaggio poetico di una danzatrice a un dipinto di un pittore fondamentale del Novecento ma, forse, si rispetterebbe meglio l’unicità di questa creazione definendola “arte pura”, senza la necessità di un’ulteriore spiegazione.

E conoscendo la storia e la creatività di questa artista, non ci si può certo stupire della grande maestria con la quale l’artista americana esegue il passaggio, che si autodichiara come necessario, che dalle parole giunge all’emergenza visiva e concreta che prende forma sotto gli occhi dei privilegiati spettatori della Maison de la danse di Lione. La danza non dà, però, solamente vita alle parole, ma le reinventa, come se il ritorno sulla pittura dichiarasse una fondazione di una nuova grammatica, di una nuova logica dell’essere e del vedere. Ed è effettivamente ciò che avviene sul palco. Dialogue with Rothko è uno spettacolo solista nel quale, per un’ora piena, Carolyn Carlson mostra la sofferenza della creazione di una sola opera di Mark Rothko, uno dei più grandi esponenti dell’Espressionismo americano.
Ogni gesto disegnato sulla scena non è solamente studiato con accuratezza e pazienza, ma viene portato a un livello tale che si volge in ipnotismo drammatico. L’eleganza dei movimenti non nasconde certo il valore e il peso greve insito in ciascuno di loro, ma li cesella in maniera tale che essi diventano piccoli rintocchi di una musica sconosciuta ma affascinante. Musica che si materializza nello strumento più straziante, il violoncello, magistralmente suonato da Jean-Paul Dessy.
La Carlson non si muove semplicemente sulla scena creando una storia: ella, infatti, agisce in maniera diversa e, con la sua danza, crea linee tragicamente programmatiche, fendendo lo spazio scenico con irrorante corporeità, aprendolo a tutte le sue possibilità.

La danza è una nuova configurazione di gesti che fanno senso, che sbloccano una nuova combinazione dando vita a un nuovo mondo. Questa genesi è consustanziale al fenomeno della danza. «Le corps du danseur porte sens, est l’avancée du sens sur la scène. Corps et sens indissociables et du même pas. Une intelligibilité sans corps (des textes, des musiques prenant toute la place) n’est pas de la danse ; mais réciproquement un corps sans intelligibilité est un corps perdu pour la danse» (Dominique Noguez, Si la danse est une pensée, Editions du Sandre, Paris, 2012, pp. 19-20). L’avanzamento del corpo è quindi un fenomeno significante che porta il senso in una nuova modalità.
La danza agisce in un’economia dei gesti. Ciò significa che non ci si muove verso una ricchezza volteggiante e barocca, ma in una scena che punta all’essenzialità. Ogni gesto, ogni movimento, ogni sussulto corporale possiede un peso specifico e rientra in una logica che li mantiene insieme, in una logica di sistema e comunitaria. Questa economia mostra anche il suo côté rituale. Si tratta qui, infatti, di un rito che inizia lo spettatore. E, come ogni rito, ogni gesto possiede un significato, un rimando a un “fuori”. Nulla è dunque casuale, nulla risulta essere eccessivo.

Il dialogo della Carlson è un dialogo complicato, che si misura tra la danzatrice e la tela vuota, tra l’arte della danza, la pittura e la musica, tra un testo scritto, il silenzio e la performance. E in questo dialogo si fondono la realtà e il mito (proprio come nella pittura di Mark Rothko), la sofferenza del poiein pittorico e la passione contemporaneamente vitale e mortale. Lo spettacolo mostra, allora, il suo aspetto rituale nel suo versante più intenso, più drammatico: quello del sacrificio. Ecco che le due tele vuote che fanno da sfondo allo spettacolo divengono sindoni visive e la danzatrice si muta in pittura, in quadro grondante dolore.

Le parole si sovrastano le une con le altre. Parole registrate e parole scritte.
«What’s the meaning of Black, Red over Black on Red? This is it […] A Rothko. Mysterium ineffabile». L’arte è tutta qui. La danza è inesprimibile a parole poiché possiede un linguaggio proprio che è comunque da annoverare tra i linguaggi della visibilità. Scrivere di questo evento risulta tremendamente difficile poiché emerge con grande chiarezza l’impossibilità di ridurne l’estetica rappresentata. Un evento. Raro, incandescente, al di fuori dell’ordinario. Anche una volta lasciata la Maison, perdura l’impressione insistente di aver assistito a un’emergenza necessaria, all’apertura di una fenditura nella realtà che ha ridonato a questa fiato e una possibile realizzazione. La possibilità dell’impossibile che ha preso forma sotto gli occhi sanguinanti degli spettatori.
Ovazione.
«Rothko n’essaye pas de créer une image ou un signe de l’absolu, en allant, comme le vaut Newman, « au-delà du visible et du connu à la recherche de vérités cachées » pour les traduire en symboles visuels ». Il tente, avec les moyens de la peinture, sans image et sans symbole, de faire pressentir le mystère de l’absolu dans ce qui nous en sépare» (Yousseef Ishaghpour, Rothko. Une absence d’image: lumière de la couleur, Farrago, Tours, 2003, pp. 103-104)

Foto di Laurent Paillier

Foto di Jacques Faujour

Un véritable événement a pris forme à la Maison de la danse de Lyon grâce à la danseuse et chorégraphe américaine Carolyn Carlson. Son Dialogue avec Rothko a fait émerger les liens stricts qui nouent danse et peinture, mot et geste. Un moment de rare beauté à plusieurs niveaux de lecture, qui a mêlé danse, peinture, poésie, théâtre pour parvenir doucement à la conclusion qu’art et vie ne font qu’une seule chose. Un dialogue parfaitement réussi.

Lo spettacolo è andato in scena:
Maison de la danse
8, avenue Jean Mermoz – Lione
sabato 5 ottobre 2013, ore 20.30

Il Centre Chorégraphique National Roubaix Nord-Pas de Calais, in co-produzione con Le Manège de Mons – Belgique, Le Colisée – Théâtre de Roubaix, presenta
Carolyn Carlson – Dialogue with Rothko
coreografie, interpretazione e testi Carolyn Carlson
aiuto alla messa in scena Yoshi Oïda
musiche e accompagnamento Jean-Paul Dessy
luci e scenografie Rémi Nicolas
costumi Chrystel Zingiro