Tra mito e realtà

Al teatro Smeraldo una coreografia di Luciano Cannito riprende il mito di Cassandra, ispirandosi anche all’omonimo romanzo di Christa Wolf.

Al posto di Troia, la Sicilia degli anni Cinquanta; invece del canuto re Priamo, il sindaco del paese che si oppone all’amore tra la figlia Cassandra e il giovane Enea. Questa è la trasposizione che Luciano Cannito studia per un balletto che, già dal 1995, è sulle scene europee e non solo – all’ Estonian National Ballet è addirittura entrato in repertorio.

A creare subito l’atmosfera giusta sono le sapienti luci di Carlo Cerri che rievocano a tratti la solarità della terra siciliana, a tratti le sue ombre tanto suggestive – in un’alternanza sempre funzionale alla vicenda, senza mai risultare stucchevole o banale.

Una sedia a dondolo – unico elemento scenico – dà inizio alle visioni e ai sogni funesti di Cassandra.
La prima parte dello spettacolo risulta difficile da seguire a livello drammaturgico, soprattutto per chi si aspetta riferimenti abbastanza puntuali al racconto della Wolf. In realtà non viene mantenuto quasi niente e non per il fatto che luogo e tempo dell’azione sono stati deliberatamente modificati: Ecuba si presenta subito come figura amorevole nelle cui braccia la figlia trova spesso rifugio; la storia d’amore tra la protagonista ed Enea occupa una parte di grandissimo rilievo, se non proprio il nucleo centrale; Elena – all’inizio riconoscibile proprio perché compare velata, come nella vicenda narrata dalla scrittrice tedesca – non è, come ci si aspetterebbe, il pretesto (in realtà inesistente) per la guerra, un fantasma, ma addirittura si mostrano le nozze tra lei e Paride con tanto di rito e festeggiamenti. Dulcis in fundo, il marito legittimo che torna – dall’America, nella versione di Cannito – a riprendersi la moglie fedifraga si chiama Ulysses – e non Menelao; mentre, piuttosto che restare fedele al mito, il coreografo propone una trovata geniale: per sedurre il popolo non ci sarà il consueto cavallo bensì la televisione. La tv è, del resto, un perfetto deus-ex-machina, in linea con la scelta di ambientare i fatti negli anni Cinquanta (quando, infatti, la Rai iniziava le trasmissioni, mentre negli Usa il nuovo media già spopolava). Anche grazie a quest’idea la seconda parte dello spettacolo riceve una spinta vitale inaspettata.

Analizzando invece la coreografia, non ci si può esimere dal riconoscere che i movimenti sono sempre funzionali, in perfetta sintonia con la musica che li accompagna – anche se spesso le scene di gruppo risentono di qualche problema d’insieme.

Rossella Brescia nel ruolo principale dà una buona prova di ballerina: la sua presenza scenica è grande. Non solo sa benissimo come muoversi su un palcoscenico e occuparne lo spazio con espressività e leggiadria, ma ciò che colpisce con piacere è l’impressione che tutto ciò che fa sia frutto di un intenso studio: un artista preparato dona sempre belle sensazioni a chi lo guarda. Bravo anche Stefano De Martino – suo partner in scena – che si dimostra affidabile e preciso nelle prese e molto attento alla sua compagna nei passi a due.
Alcune immagini del finale risultano particolarmente riuscite e suggestive: tra queste vale la pena di menzionare il muto diverbio tra un Enea che, desideroso di combattere il nemico – si cala l’elmo che non arriva alla testa per ben tre volte perché Cassandra – che non lo vuole soldato – glielo prende di mano con un gesto fluido che rivela con grande naturalezza e semplicità lo sgomento interiore della donna. E poi Priamo che, con la sua tunica, lega la figlia in una sorta di camicia di forza – simbolo di prigionia ma, al tempo stesso, presunta follia – che costringe la Brescia a danzare senza l’ausilio delle braccia, caricando di grandissima potenza espressiva le gambe e le spalle.

Si può quindi intuire il perché del successo raggiunto da questo balletto, assolutamente attuale ed energico, che mostra l’isolamento dell’individuo di fronte a una società della quale non si sente parte integrante. Certo sarebbe stato più facile attingere solo al mito anziché trarre ispirazione da un testo letterario tanto particolare come quello di Christa Wolf che, purtroppo, risulta praticamente inesistente nell’economia della coreografia. O, forse, ancora meglio sarebbe stato abbandonarsi totalmente all’idea della storicizzazione e presentare un’istantanea del nostro Paese subito dopo la guerra, cogliendo i tratti più realistici e salienti di un determinato periodo, senza subire la “distrazione” del mito.

Va però sottolineato che il balletto, tra tutte le forme d’arte, è tra le più ambigue e se provare a trasportare qualcosa dalla pagina scritta alla danza è un’impresa ardua, l’aspetto positivo è la totale apertura a più livelli interpretativi che il gesto – e, quindi, il simbolo – permette e regala.

Lo spettacolo continua:
Teatro Smeraldo
piazza XXV Aprile, 10 – Milano
fino a domenica 3 aprile
orari: ore 20.45 – domenica ore 18.00

Cassandra
un balletto di Luciano Cannito
con Rossella Brescia, Stefano De Martino, Antonio Aguila, Michele Barile, Martina Calcagno, Andra Condorelli, Daniela Filangeri, Rossella Lucà, Massimo Margaria, Diego Millesimo, Tommaso Petrolo, Grazia Striano, Carmela Visciano
musiche Marco Schiavoni con inserti di A. Honneger, S. Rachmaninov, C. Saint-Saens, E. Presley, S. Prokofiev
luci Carlo Cerri
costumi Elena Cicorella