Cos’hanno ancora da dirci Bette Davis e Johan Crawford?

Bette Davis e Joan Crawford furono le protagoniste di Che fine ha fatto baby Jane?, il film diretto da Robert Aldrich nel ’62. Riccardo Castagnari e Gianni De Feo sono i protagonisti di  della pièce teatrale diretta da Fabrizio Bancale, andata in scena per una decina di giorni all’Off off Theatre di Roma. Un gioco di specchi a un tempo esilarante e malinconico, in cui gli attori ridanno corpo e voce alle due dive hollywoodiane, svelandone conflitti, capricci e megalomanie all’epoca della nascita dello star system.

Una considerazione generale, per cominciare: il testo di Marboeuf, efficacemente tradotto da Riccardo Castagnari, è scritto per il teatro, ma narra la vicenda umana e artistica di due dive del cinema. Che cosa hanno in comune il teatro e la settima arte? Stando a Benjamin, ben poco. Il primo, per sua natura, consente all’attore di conservare la sua aura: questi si identifica hic et nunc in una parte di fronte al pubblico vivente. La seconda, invece, separa l’interprete dalla sua immagine grazie alla cinepresa, rendendola così trasportabile davanti al pubblico: «al film importa non tanto che l’interprete presenti al pubblico un’altra persona, quanto che egli presenti se stesso di fronte all’apparecchiatura» (L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica). Come se non bastasse, il cinema tende a scomporre l’unitarietà della recitazione in una molteplicità di riprese che solo dopo vengono montate dal regista.

Questa è solo la prima, e forse più macroscopica, «dissonanza» su cui è costruito lo spettacolo, che si sgomitola sul crinale di una serie di opposizioni irrisolte. Il pubblico si trova quasi da subito irretito in una galleria di specchi, del resto fisicamente presenti sulla scena, le cui superfici si riflettono l’una sull’altra, creando un perturbante gioco di rimandi. Riccardo Castagnari è Joan Crawford, ma anche la sfortunata Blanche, coprotagonista del film di Aldrich, dove recita la parte di un’attrice di successo che, a seguito di un incidente d’auto dalle dinamiche poco chiare, resta invalida. Gianni de Feo è Bette Davis, ma anche Jane, la delirante sorella di Blanche, che la segrega e la sottopone a terribili angherie per punirla di averle scippato la popolarità che le spettava.

Castagnari e de Feo ci regalano due brillanti interpretazioni, non solo perché recitano en travesti, dando prova di una solida capacità attoriale, ma anche perché attraggono il pubblico in un insolito gioco di specchi, dove diviene difficile – se non impossibile – distinguere Joan Crawford da Blanche e Bette Davis da Jane. Intente a rilanciare la loro carriera, giunta a un punto morto, le due acerrime rivali dello schermo decidono di collaborare al grand-guignol di Aldrich, un thriller psicologico che – oltre a raccontare le pulsioni distruttive di due sorelle in competizione per l’amore del padre (si pensi all’indimenticabile I’ve written a letter to daddy cantata da Jane) – getta una luce sulle perversioni del mondo hollywoodiano. La Crawford e la Davis, affascinate dal romanzo di Farrell e dalla «goticheggiante» riscrittura di Aldrich, si imbarcano in un’avventura dove finiscono per impersonare se stesse, le loro carriere e le loro gelosie incrociate. La prima, una delle più pagate star del cinema, icona di incomparabile bellezza, oramai appassita, vincitrice di un solo Oscar (Il romanzo di Mildred, 1945) per il ruolo rifiutato dalla Davis. La seconda, conosciuta meno per la sua bellezza che per il suo formidabile talento, in grado di vantare ben dieci nomination e due Oscar, abile in ruoli di ogni genere.

Le parabole esistenziali della Crawford e della Davis vengono ricostruite utilizzando l’espediente narrativo dello scambio epistolare, che precede il loro incontro sul set, per poi concentrarsi sulle riprese di Che fine ha fatto baby Jane?, interrotte da estenuanti contese e dispetti; segue il racconto delle macchinazioni della Crawford per strappare l’agognato Academy Award alla Davis, la sola tra le due ad averlo ottenuto; si conclude con il declino della Crawford, incredibilmente ricca ma alcolizzata, messa al bando da quella stessa società dello spettacolo che l’aveva resa una diva. Ragguardevole l’interpretazione che Castagnari dà di quest’ultima fase della vita di Joan, imprigionata in uno sberluccicante vestito dorato, sempre col bicchiere in mano: tragica vittima del suo destino, che da una vita di povertà e di stenti l’aveva portata al culmine della fama e dell’infelicità. Tornano in mente, a questo riguardo, le parole di Benjamin, attento lettore dei meccanismi dell’industria culturale appena nascente: «il culto del divo, promosso dal capitale cinematografico, cerca di conservare quella magia della personalità che da tempo è ridotta alla magia fasulla propria del suo carattere di merce». Ecco, allora, che la pièce di Marboeuf – narrando l’incontro di due dive così diverse, eppure così affini – si assume il compito di mostrare le contraddizioni interne all’industria cinematografica, sostenuta dalle multinazionali del profitto, affidando questo compito al teatro. Le idiosincrasie delle due star hollywoodiane assurgono ad emblema di una serie di dissonanze, che costituiscono la sfida dell’arte nell’èra della «morte dell’arte»: dissonanza tra forma e contenuto, tra verità e apparenza, tra attore e personaggio, tra prodotto culturale e pubblico, tra cultura «alta» e cultura di massa. Lo spettacolo in questione è, dunque, più denso e stratificato di quanto potrebbe sembrare a prima vista e si presta a numerosi livelli di lettura: da quello «tragicomico» delle fulminanti battute con cui Crawford e Davis manifestano la loro proverbiale rivalità a quello delle loro biografie personali, caratterizzate da una costituzionale inquietudine e aspirazione all’Assoluto, a quello del sistema-cinema che fa da cornice ai luoghi narrativi appena menzionati, in cui si aggira lo spettro dell’alienazione dell’arte e degli attori nelle fantasmagorie della merce. La scrittura scenica e la regia avevano l’arduo compito di tenere questi diversi piani in un quadro d’insieme, nonostante i frequenti salti temporali e le reiterate interferenze tra passato, presente e futuro.

Il risultato complessivo assume a tratti le sembianze di una composizione «dodecafonica», che stranisce e lascia perplessi almeno tanto quanto allieta e rende complici. Del resto, come scrisse Adorno, austero critico della cultura di massa, «l’arte si determina in rapporto a ciò che essa non è» e non dovrebbe mai rinunciare ad essere «l’antitesi sociale della società» (Teoria estetica): a questo servono le memorie, i desideri, le ambizioni di due donne che hanno fatto la storia del cinema. A rivelarne le lacune, le insufficienze, le deformità, gettando uno sguardo sinistro sulla società che l’ha resa possibile e sulle sue carenze.

Lo spettacolo è andato in scena
Off off Theatre
Via Giulia, 19-20-21 – Roma
dal 22 al 31 ottobre
ore 21.00

Florian Metateatro e Stellarfilm con il sostegno di ProdigioDivino presentano

Che fine hanno fatto Bette Davis e Joan Crawford?
Testo di Jean Marboeuf
Traduzione e adattamento Riccardo Castagnari
regia Fabrizio Bancale
con Riccardo Castagnari e Gianni De Feo

scene Roberto Rinaldi
musiche originali Francesco Verdinelli
assistente alla regia Sebastiano Di Martino
disegno luci Alessio Pascale
ufficio stampa Carla Fabi e Roberta Savona