L’enigma della carota

Niente di meglio che il giorno della Befana per ascoltare una storia dedicata a un misterioso albero delle caramelle. Nel nuovo spazio Chicchi d’arte di Grosseto va in scena Chenditrì – L’albero delle caramelle firmato da Teatro Nucleo

Una drammaturgia originale, una fiaba contemporanea, giocata fra due personaggi: l’eccentrico Langmann, venditore e inquietante inventore di caramelle – un cappellaio matto o un Willy Wonka del lato oscuro – e Idrissa, contadina vagamente hippy affezionata alle sue creature, ovvero le sue amate verdurine.
Langmann arriva a Balalla (il paese di Idrissa) all’improvviso e di soppiatto e, con in mano un accordo col governo di turno, promette a Idrissa agio e ricchezza in cambio delle sue terre (in una transazione dalle modalità poco chiare). L’enigmatico mercante è in possesso del seme del Chenditrì, ricco di caramellina, sostanza quasi magica (che crea dipendenza, un po’ come lo zucchero), e giunge in paese con il progetto di impiantare una coltivazione di alberi di caramelle e, soprattutto, di creare caramelle al gusto di tutti gli alimenti per sostituire finalmente il cibo (con la promessa di un grande guadagno di tempo per tutti).
In scena, fra Idrissa e Langmann si scontrano due mondi, e con essi due concetti di tempo, quello legato ai ritmi della terra e quello cosiddetto liberato dalle fatiche e, per l’appunto, “guadagnato”; due idee di cibo, quello che nasce dalla terra, e quello “fortemente modificato” – diciamo così -, non più connesso alla natura, ma anche alle tradizioni e ai riti collettivi (aspetto particolarmente evidente nel momento pubblicitario, quando con una caramella si pretende di sostituire la grigliata o il caffè del mattino, ossia momenti fortemente rituali che viviamo ancora oggi).
Per convincere Idrissa e i bambini dei suoi intenti, Langmann si serve di una carrellata di topoi della propaganda legata alla produzione intensiva: il tipico “passo nel cammino verso il progresso” – ossia la prospettiva di maggiore ricchezza, di una vita più agiata per i contadini, e del guadagno di tempo.
Eppure, ed è un tratto molto interessante, Langmann non è esattamente un cattivo; al contrario, assume accenti anche teneri e spaesati quando si confronta coi tempi e gli spazi che non conosce – quelli della campagna – e mentre difende la sua posizione e i suoi ideali.
Chenditrì è una fiaba che si legge a vari livelli, con effetti talvolta anche discordanti: sentire parlare Langmann di governo, di prodotti di sintesi di laboratorio, di ipermercati e cemento, con riferimenti molto espliciti alla realtà contemporanea, risulta vagamente didascalico in una narrazione per bambini, dai caratteri più sognanti – ammesso e non concesso, però, che in questo momento storico e politico trasfigurare la realtà sia una scelta migliore rispetto al chiamare le cose con il proprio nome.
Colpisce e inquieta, inoltre, per chi abbia conoscenza del problema dei brevetti sui semi, la battuta di Langmann quando, con un ribaltamento di prospettiva, teme che sia la contadina a rubargli il seme di Chenditrì.
Il pregio fondamentale del lavoro è quello di suggerire ai bambini che i prodotti che troviamo sui banchi dei negozi hanno una storia e una provenienza. Non solo questo, però, perché con una trama fra il surreale e il crudemente realistico, Chenditrì racconta anche delle dinamiche che sottostanno alla produzione agricola intensiva – che sfrutta territori lontani nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo.
Nell’acquistare i prodotti alimentari tutti noi siamo chiamati a compiere delle scelte, delle quali spesso non siamo consapevoli. Questa storia ci ricorda che ogni volta che acquistiamo un prodotto ci sono dei valori che, più o meno inconsciamente, stiamo abbracciando. Intensivo o sostenibile, geneticamente modificato o biologico? Km zero o provenienza estera? Multinazionale o prodotto locale? Coldiretti o supermercato? A ogni prodotto si associa, inevitabilmente, un’etica. Come i piccoli spettatori, ammaliati da Langmann e dalle sue caramelle, siamo spesso incapaci (o forse siamo semplicemente disinteressati?) di guardare al senso delle nostre scelte in termini etici, di impatto ambientale e ricaduta sociale. Ciò che conta, per noi, sono solo la comodità, il prezzo e il vantaggio immediato.
La reazione dei bambini del pubblico, presi dal desiderio delle caramelle e letteralmente entusiasti all’idea di avere più tempo a disposizione, si rivelata una dimostrazione pratica del funzionamento dei meccanismi del desiderio all’opera nelle strategie di marketing da cui, spesso, ci lasciamo catturare.
E se per un bambino lasciarsi trasportare dal desiderio delle caramelle è quasi un fatto naturale, diventa interessante chiedersi se gli adulti non si stiano comportando esattamente allo stesso modo, e stiano mostrando la mancanza di responsabilità e autonomia che, al contrario, l’età cosiddetta matura possiederebbe (almeno per definizione). Siamo indifferenti? Inconsapevoli? O forse siamo schiacciati dall’enormità del sistema?
A ognuno la propria risposta.

Lo spettacolo è andato in scena:
Chicchi d’Arte
viale Europa 11, Grosseto (GR)
domenica 6 gennaio, ore 18.00

Chenditrì – L’albero delle caramelle
produzione Teatro Nucleo
regia Natasha Czertok e Martina Pagliucoli
drammaturgia Greta Marzano
in scena Natasha Czertok e Martina Pagliucoli