«Chess è guerra sulla scacchiera. Il fine è di schiacciare la mente dell’avversario.» (Bobby Fischer)

Unica tappa in Europa Continentale per Chess, musical nato nel 1986 grazie alla penna brillante di Tim Rice, le musiche di Benny Andersson e Björn Ulvaeus, al secolo i due componenti maschili degli Abba, e affidato alla regia di Craig Revel Horwood.

Il soggetto attorno al quale si svolge la trama di questo musical è inusuale; Chess, infatti, s’ispira al celeberrimo Match of the Century del 1972 in cui il russo Boris Spassky e l’americano Bobby Fischer si giocarono sulla scacchiera ben più che il titolo di campione del mondo.
Tim Rice, per il suo match, ne riprende lo sfondo politico inserendovi quelle peculiarità che lo trasformano in un accattivante racconto per il pubblico: è il 1979 e lo statunitense Frederick Trumper (James Fox) e il russo Anatoly Sergievsky (Daniel Koek) si sfidano nella cittadina italiana di Merano per aggiudicarsi il titolo mondiale di scacchi. La loro rivalità valicherà però i confini della partita nel momento in cui in ballo ci sarà anche l’amore per una donna, Florence Vassy (Shona White), dapprima assistente di Frederick e, successivamente, amante di Anatoly. Le traversie, già implicite nel triangolo, si faranno burrascose nel momento in cui diventeranno il pretesto per attuare cospirazioni, intrighi e strategie dei due blocchi rivali della Guerra Fredda.
Lo spettacolo è introdotto dal brano The story of chess cantato dall’arbitro (David Erik), che ripercorre la storia del gioco trasformandola in allegoria della vita.
L’atmosfera si fa immediatamente effervescente quando il pubblico realizza che a calcare il palco non ci sono solo gli attori che cantano e ballano, bensì – elemento originale e straordinario – anche i musicisti, che sono parte integrante della scena e agiscono di concerto, è il caso di dirlo, all’evolversi della narrazione. Il fondale rimane invece lo stesso per l’intera durata dello show: una grande scacchiera che prende vita grazie alle luci del light designer Ben Crocknell, che alternano colori freddi e caldi per adeguarsi allo svolgimento o ai luoghi della trama. Il primo atto perciò, ambientato nella montana Merano, vedrà una preponderanza di luci azzurre, mentre il secondo, che si apre a Bangkok, immerge spettatori e interpreti in luci dorate. Ma il fondale funge anche da gigantesco schermo televisivo, sul quale possiamo assistere alle telecronache di Walter (James Graem) di Global Television, e a quelle dello stesso Frederick, il quale, dopo aver perso a Merano, nel secondo atto diventa commentatore della sfida a Bangkok fra Anatoly – che nel frattempo ha conquistato definitivamente il cuore di Florence e ha chiesto asilo politico all’ambasciata inglese – e la nuova punta di diamante russa, Viigand.
A conferire efficacia allo spettacolo ci sono poi le coreografie dello stesso Horwood che seguono l’andamento delle vicende e affiancano, o meno, i protagonisti. Frederick sembra così abbandonato da tutti, quando canta – accompagnandosi alla chitarra acustica – la sua triste infanzia per giustificare il carattere turbolento in Pity the child; allo stesso modo, all’inizio del secondo atto, i ballerini si muovono in maniera leziosa e sensuale con movenze orientaleggianti nella famosissima One night in Bangkok, o imitano i passi del casatchok sul ritmo di The soviet machine cantata da Molokov (Steve Varnom), manager prezzolato di Anatoly e di Viigand. Le coreografie sono quindi contaminate dai generi che il contesto richiede e danno vita a figure che creano un complesso visivamente disordinato, ma coerente col libretto.
Come le danze, anche le musiche spaziano da un genere all’altro – partendo dal rock, passando per la classica, il folk e la dance, con due soli punti di riferimento stabili: ai russi sono affidate le voci liriche, mentre agli americani quelle pop, quasi a simulare l’austerità di una politica rispetto alla frivolezza dell’altra.
Nell’epilogo, a “perdere” saranno entrambi i protagonisti, poiché la brama di spettacolarità degli Stati Uniti necessita dell’appoggio di un sistema costruito sul ricatto e la corruzione quanto quello sovietico, portandoci a pensare che le fazioni si alimentino a vicenda.
Il risultato è uno show davvero esilarante, la cui unica pecca è forse di disorientare talvolta lo spettatore che si ritrova saturo di input e chicche di ogni genere e non ha sempre ha il tempo di metabolizzare.

Lo spettacolo è andato in scena:
Il Rossetti
Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
viale XX Settembre, 45 – Trieste
Sala Assicurazioni Generali
fino a martedì 17 aprile

Chess – The Musical
liriche Tim Rice
musiche Björn Ulveaus & Benny Andersson
regia e coreografie Craig Revel Horwood
con James Fox, Shona White, Daniel Koek, Poppy Tierney, James Graeme, David Erik e Steve Varnom
orchestrazioni Sarah Travis
scene Christopher Woods
direttore musicale Greg Arrowsmith
sound designer Colin Pink
lighting designer Ben Cracknell
video designer Jack James
produzione Michael Harrison Entertainment