Al Teatro della Cooperativa, Renato Sarti porta in scena uno spettacolo che scortica l’anima.

Scabroso: aggettivo maschile che indica ciò che è ruvido e, a livello figurativo, l’intricato, l’arduo, ma anche qualcosa di imbarazzante, difficile da trattare. E quale argomento è più complesso ma al contempo delicato del denaro? Quel flusso che si genera oscuramente e fluttua tra Stati e portafogli, la cui multiforme terminologia – azioni, bond, derivati – rende impossibile rintracciarne il senso ultimo, figuriamoci le vie per le quali si genera o volatilizza.

Tema al di sopra delle nostre povere menti, del quale è meglio tacere se non si vuole essere derisi.

Come può un operaio della Innse, attento al suo magro salario per pagare l’affitto o la parcella del dentista, comprendere cosa significhi realmente il suo licenziamento?

Per le eccelse menti degli economisti – intente alle purezze monetariste – lui è solamente un numero all’interno di meccanismi matematici perfetti ai quali deve adattarsi: prontamente come il 2, dopo 1+1. L’economia non è il frutto di ipotesi umane – e pertanto fallibili – tese a migliorare le condizioni di vita del maggior numero di persone, bensì materia intrisa di verità certe e assolute. Il mercato è il deus ex machina che per agire perfettamente deve imporre privatizzazioni, liberalizzazioni, azzeramento dello stato sociale.

Ma il potere quando è nudo è scabrosamente deforme: com’è possibile rappresentarlo?

Chicago Boys è uno spettacolo a tratti sgradevole nella sua denuncia lucida di fatti e cifre talmente lampanti da lasciare interdetti. L’ultima fatica di Renato Sarti (impegnato sul palcoscenico in un vero tour de force interpretativo) è una strampalata – ma non tanto – conferenza, tenuta da un capitalista rinchiuso in un bunker con la cameriera-amante russa. Come in Finale di Partita, questi novelli Hamm e Clov si torturano a vicenda in un sottile gioco al massacro e, come spesso nei testi di Beckett, i protagonisti sono fortemente ristretti nei movimenti: in questo caso Sarti è immerso in una vasca che è insieme orinatoio, letto e tavola imbandita.

Ma, a differenza di Beckett, Sarti non distribuisce perle di infelicità cosmica ed eterna impossibilità di comunicare, né speranza nonostante le avversità. Qui siamo di fronte al Tom Cruise di Magnolia che deve motivarci a investire non sulla nostra mascolinità, bensì sull’acqua: l’oro nero del XXI° secolo.

A trovare le parole per Sarti, ci pensa Naomi Klein. Dal suo Shock Economy sono tratti fatti, personaggi, e, soprattutto, cifre. Il libro della Klein è ponderoso, sia per il numero dei dati forniti – frutto di ricerche accurate – sia per la capacità di analisi dell’autrice, capace di rintracciare il fil rouge che collega, senza soluzione di continuità, l’elettroshock all’uragano Katrina, Guantánamo a Tienanmen, e ancora l’uccisione di Victor Jara al tradimento dell’Anc nei confronti della Freedom Charter. E se, leggendo, vi chiedete di cosa stia parlando, le possibilità complementari sono due: assistere a Chicago Boys e leggere Shock Economy.

Al termine dello spettacolo, come sfogliando l’ultima pagina del libro, ci si chiede perché. Perché l’umanità assiste impotente di fronte allo scempio imposto da qualche studentello che ha immaginato la quadratura del cerchio, costruendo un universo utopico di perfetti meccanismi economici dove l’avidità personale contribuisce al benessere collettivo: ossimoro errato di partenza, come capirebbe uno scolaro di prima elementare al quale hanno scippato la merendina. E ci si chiede quando. Quando si sentirà sazio il capitalismo: forse dopo aver privatizzato, oltre l’acqua, anche l’aria che respiriamo?

Il verso di una bellissima canzone, Society, cantata da Eddie Vedder, tradotta suona più o meno così: “Pensi di essere costretto a volere/più di quanto ti è necessario/e finché non avrai tutto/non ti sentirai libero” e sempre con un verso scritto da Jerry Hannan: “Società/abbi pietà di me/spero che non ti arrabbi/ma non sono d’accordo con te”.

Chicago Boys
di Renato Sarti, con la preziosa collaborazione di Bebo Storti
con Renato Sarti, Elena Novoselova
regia Renato Sarti
scene e costumi Carlo Sala
video realizzati in collaborazione con Fabio Bettonica e N.A.B.A. (Nuova Accademia di Belle Arti di Milano)