Ritratti d’autore

Il prossimo 8 ottobre debutterà al Teatro degli Audaci lo spettacolo Una Stanza al buio, una commedia “gialla” scritta da Giuseppe Manfridi e diretta da Francesco Branchetti, interpretata da Alessia Fabiani e Claudio Zarlocchi. Abbiamo raggiunto telefonicamente l’attore protagonista, che ci ha raccontato anche altri aneddoti della sua professione e di come si appresta a ritornare sulle scene.

Claudio vuole raccontarci qualcosa di questo spettacolo e soprattutto del suo personaggio, che possa stuzzicare la curiosità del pubblico?
Claudio Zarlocchi: «Una stanza al buio è un testo di Manfridi, uno degli autori più importanti attualmente in Italia, che ha tantissimi livelli di lettura, e che Branchetti, il regista, ha sapientemente trasposto, prendendo ciò che di giusto c’era all’interno delle nostre psicologie e mettendole a servizio del personaggio. È una commedia gialla, in cui si ride molto, perché si crea un rapporto giocoso tra il mio personaggio e quello interpretato da Alessia Fabiani.

Io interpreto un moralista, legato alle regole, al piccolo mondo ordinario che fa il becchino, ma si spaccia per artista e tutti lo trattano come il portiere del palazzo. Vuole rivendicare la propria forza anche se è un piccolo uomo che viene totalmente sconvolto dalla bellezza dirompente e dal grande fascino di questa donna, che non si sa bene chi sia e per quale ragione si trovi lì, in quel luogo dove è stato commesso un omicidio. Lei convincerà quest’omino, corrompendolo con mezzi banali, ad aprirle l’appartamento dove è stato commesso il delitto. È quindi uno spettacolo che parla di plagio, di sudditanza. Lui non ha la più pallida idea di come ci si relazioni col mondo femminile, ha una visione della vita fatta di immagini pornografiche, ma non ha mai avuto una relazione vera. Trovarsi di fronte a un personaggio così forte lo porterà ad un imbarazzo cosmico. All’interno di questo thriller c’è inoltre una sorta di rito di iniziazione: quest’uomo inizia a capire che può avere lui stesso una sua forza maschile, capisce che nella sua vita ha fatto delle scelte che lo hanno portato a non vivere, fino ad arrivare al colpo di scena finale che, come dice l’autore, è più d’uno, sono forse due, anche tre, di cui non posso svelare nulla».

Che rapporto ha instaurato con Alessia Fabiani?
C. Z.: «Con Alessia Fabiani è nato un bellissimo rapporto. Siamo solo noi due in scena. Abbiamo il peso, l’onere e l’onore di una testo forte con una regia curata, per cui c’è sintonia, anche a livello umano. Lei è bravissima ad interpretare Charlotte, senza cadere nel cliché della femme fatale. Avendo il suo personaggio un lato maschile molto forte, sa gestire bene il maschio, io rappresento un po’ il suo pianoforte di cui lei pigia i tasti per farmi suonare la musica che desidera. Consiglio a qualsiasi attore e a qualsiasi regista di lavorare con Alessia».

Come ha vissuto questo lungo periodo lontano dalle scene?
C. Z.: «Io mi reputo molto fortunato poiché abito fuori Roma, a Capena, in una villetta, quindi il lockdown me lo sono fatto con mia figlia, che ha sei anni. Mia moglie collabora con un’azienda di ambulanze private ed è stata oltremodo impegnata col lavoro. Io sono rimasto completamente fermo col mio lavoro di insegnante e di attore. Ho fatto il papà a tempo pieno. Non avevo un condominio con cui relazionarmi, eravamo io, lei, la bicicletta e il pallone. Avere una figlia in questi momenti non ti permette di lasciarti andare a delle normali riflessioni che si possono fare. È stato il mio antidepressivo naturale».

Tornando al titolo dello spettacolo, quindi a proposito di stanze, Claudio Zarlocchi ne ha una, non al buio, bensì in cui c’è una luce particolare, del cuore?
C. Z.: «Sì, seppur è una stanza non mia, nel senso che è quella in cui sono cresciuto da bambino, ed è la cucina di mia nonna. Essendo figlio di genitori separati, sono cresciuto con i nonni, per cui in quella cucina, dove pranzavo, ho ben impressa la sua figura mentre mi prepara da mangiare, mi toglie i piatti da sotto il naso per lavarli. Tanti bei ricordi, soprattutto ora che non c’è più: l’ho persa di recente, lo scorso novembre, all’età di novantuno anni».

Oltre a esercitare la professione di attore, si occupa anche di altro a livello sociale, ci vuole raccontare nello specifico cosa fa?
C. Z.: «Io mi sono diplomato all’Accademia internazionale di Teatro, l’ex “Circo a vapore”, e, presso il centro clinico CuoreMenteLab, insegno teatro e abilità sociali ai ragazzi con sindrome di Asperger, una sorta di autismo ad alto funzionamento, caratterizzata dalla difficoltà a socializzare e a comprendere il pensiero altrui. Quindi il teatro è una disciplina che permette a questi ragazzi di mettersi nei panni dell’altro, fa loro comprendere lo spazio personale e come utilizzare la propria voce senza essere inopportuni in determinate situazioni.
Non formo attori, cerco di dare degli strumenti a questi ragazzi per farli ambientare meglio in questo mondo, dove sono considerati “strani” e soggetti a facile bullismo.

Com’è nata questa iniziativa?
C. Z.: «Tutto è nato da un affetto grande. Il mio migliore amico da ventinove anni è il Presidente di questa Associazione ed è a sua volta padre di una bambina con queste caratteristiche, perché non si parla di disabilità, ma di un modo diverso di far funzionare il cervello. L’ho seguito in questo progetto, abbiamo avuto l’idea di costituire all’interno di questa struttura un teatro non solo pedagogico, ma di promozione delle buone pratiche. Noi abbiamo realizzato due spettacoli teatrali che parlano di autismo, in modo da lasciare un messaggio sulla neurodiversità. In questo periodo così complicato abbiamo dovuto lavorare on line e i ragazzi si sono ulteriormente chiusi, però è qualcosa con cui dobbiamo imparare a fare i conti, non essendoci per ora una soluzione a portata di mano. Occorre semplicemente sapersi gestire, reagendo.

Claudio come affronterà il palcoscenico dopo questo momento complicato? Avverte un cambiamento?
C. Z.: «Indubbiamente è questo un periodo pieno di dubbi in cui c’è destabilizzazione nel nostro mondo, però il teatro è sempre risorto, per cui riusciremo a trovare il modo giusto per fare tutto. C’è voglia di bellezza, c’è voglia di divertimento. Beh, siamo tutti un po’ cambiati, io solo per fare il mio personaggio ho fatto crescere la barba lunga, che non ho mai avuto in trentasette anni, quindi mi sento già cambiato. Battute a parte, sì a livello emotivo, in generale le prime sono una grande emozione e questa sicuramente avrà un sapore particolare».

Lo spettacolo andrà in scena:
Teatro degli Audaci

Via Giuseppe De Santis, 29 Roma (zona Porta di Roma)
giovedì 8, venerdì 9 e sabato 10 ottobre ore 21.00, domenica 11 ottobre ore 18.00

Associazione Multietra Spettacoli e Intrattenimento presenta
Una Stanza al buio
di Giuseppe Manfridi
regia Francesco Branchetti
con Alessia Fabiani, Claudio Zarlocchi
musiche Pino Cangialosi
scene Andrea Fanculli
costumi Francesco Branchetti
assistente alla regia Jessica Tavanti
ufficio stampa Alessia Ecora