L’uomo ridotto alla sua bestialità

LogoCœur de chien di Alexander Raskatov è il racconto visivo e surreale del disastroso tentativo, nella Russia rivoluzionaria, di umanizzare un povero cane. L’Opéra di Lione accoglie questa commissione della Nederlandse Opera di Amsterdam, su libretto del grande direttore artistico Cesare Mazzonis. Un’opera spettacolare nella messa in scena di Simon McBurney e con la direzione musicale di Martyn Brabbins.

Mikhaïl Bulgakov scrive il racconto Cuore di cane nel 1925, ma la temibile polizia segreta sovietica GPU mise immediatamente all’indice questo testo, considerato come “controrivoluzionaro” e apertamente critico nei confronti del proletariato ma, soprattutto, verso il potere centrale che informava le coscienze dell’epoca. Pubblicato all’estero da qualche studente emigrato nel 1968, il testo dovrà attendere il 1987 prima di essere pubblicato in URSS. Cuore di cane è un testo straordinario, crudo, estremamente critico verso la società e l’uomo stesso. Bulgakov ebbe un’esistenza breve e sofferente, sia a livello fisico che lavorativo. Amatissimo dal pubblico, lo scrittore dovette sottostare agli ordini di Stalin stesso, sacrificandosi in impieghi che non risultavano certamente alla sua altezza. Il successo mondiale dello scrittore è stato soprattutto postumo (ricordiamo che Bulgakov muore nel 1940, a soli 48 anni) e la fama che lo raggiunse troppo tardi fa di lui uno dei più grandi scrittori russi della prima metà del Novecento.

Il 9 marzo 1953 si concludono le celebrazioni per la morte di Iosif Vissarionovič Džugašvili, passato alla storia come Iosif Stalin. Lo stesso giorno, sempre a Mosca, nasce Alexander Mikhailovich Raskatov. Nessun simbolismo dietro a questa coincidenza, certo, ma una curiosa sovrapposizione temporale che rende ancora più suggestiva la portata poetica di questo grande compositore russo. Raskatov sceglie l’opera di Bulgakov e fa tradurre in russo il libretto scritto da Cesare Mazzonis. Il risultato è straordinario: la prima versione operistica di Cuore di cane. La partizione della parte vocale richiama certamente il trillo monteverdiano, ma anche il colorismo rossiniano, fino a spingersi verso un vocalismo violentato, futurista. E la ricchezza dell’apparato vocale riecheggia anche nella composizione musicale, dove Raskatov strizza l’occhio, in più di un’occasione, al grande Shostakovich, ma in molti frangenti la musica si spinge su versanti più sperimentali, vicini alla ricerca tonale di Karlheinz Stockhausen, al rumorismo futurista e alla contemporaneità più ricercata.

La storia dell’opera è anch’essa un grande collage di riferimenti letterari e non provenienti dalla cultura europea. Il chirurgo di fama internazionale Filip Filippovitch Probrajenski (uno straordinario Sergei Leiferkus), raccoglie per strada Charik, un povero cane le cui sembianze sono direttamente tratte dall’opera plastica Il cane di Alberto Giacometti. Questo animale viene mosso da quattro marionettisti che ingombrano la scheletrica struttura canina al punto da farsi involucro silenzioso che accompagna ogni suo movimento. Charik possiede due voci che ne illustrano i pensieri: quella “sgradevole” (Elena Vassilieva), eminentemente cagnesca, che graffia la scena con le paure e le sensazioni più corporali, e quella “gradevole”, elegiaca (Andrew Watts) che entra con grazia, sollevando il cane dall’animalità per collocarlo in un idilliaco mondo di sogni e di desideri. Il cane viene accolto negli appartamenti del professore, vivendo per settimane nell’abbondanza e nei piaceri culinari, ignaro della vera motivazione che gli ha aperto queste porte. Il professor Filippovitch, insieme all’assistente Bormenthal (Ville Rusanen), preparano la povera bestia per un esperimento che farà avanzare la scienza: innestare nel corpo del cane l’ipofisi e i testicoli di un uomo deceduto qualche ora prima in una bagarre. L’operazione è lunga e complicata, e il cane sembra non uscirne vivo. Dopo qualche settimana di intense cure, Charik inizia a dare segni di un profondo mutamento corporale, oltre che di una ripresa vitalità. La coda cade, i peli si fanno più radi, il muso diventa viso e il cane assume la posizione eretta. Questi straordinari mutamenti sono solamente propedeutici all’umanizzazione quasi totale che avviene poco dopo. Charik inizia a parlare, ma le sue sono soprattutto scurrilità oscene, e il suo comportamento è sgraziato, volgare. Il professore cerca di educare questa sua creatura, medita di portarlo a teatro, fargli leggere i capolavori della letteratura. Ma Charik si oppone, ostinatamente. Egli vuole uscire, vedere come è il mondo, scoprirne e assaporarne le ghiotte bellezze. Siamo a cavallo tra il 1924 e il 1925, Stalin ha già assunto il pieno potere eliminando Trockij, Zinovev, Kamenev, Bucharin e Lenin è deceduto da pochi mesi. L’Unione Sovietica inizia la sua grande riorganizzazione e nelle strade sfilano proletari innalzanti canti del nuovo ideale. Charik viene a contatto con alcune personalità di questo mondo, e sente che la sua umanizzazione non è ancora completa: gli manca un’identità, assicurata da documenti. Assume quindi il nome di Poligraf Poligrafovitch, trova un lavoro, ironia del caso, come responsabile dell’igiene pubblica, e perfino una fidanzata. In questa radicale trasformazione, il cane Charik non diviene semplicemente un uomo. Charik scompare totalmente, lasciando spazio a un assembramento dei peggiori vizi e tratti dei quali solo l’uomo può farsi portatore. Poligraf è un essere immondo, volgare, ma in lui non vi è più nemmeno un briciolo di animalità. L’animalità di Charik è scomparsa per accogliere la bassezza più vomitevole dell’umano: la sua bestialità. Come afferma Gilles Deleuze, l’uomo possiede una propria bestialità che non ha nulla a che vedere con l’animale. L’animale possiede delle forme specifiche che gli impediscono di essere stupido. L’uomo, invece, può giungere alla stupidità, alla bêtise. Poligraf è la concretizzazione della bête. Egli segue i propri istinti più bassi, cercando costantemente la violenza fisica, lo stato ebbro, denunciando il proprio creatore alla polizia segreta sovietica. La critica di Bulgakov non è direzionata verso il proletariato e le sue doverose richieste, ma verso la strumentalizzazione che fa di questo proletariato un mezzo per fini violenti. La critica dell’autore de Il Maestro e Margherita è direzionata chiaramente verso la stupidità umana, quella di Poligraf senza dubbio, ma anche quella dell’arcigno Schwonder (Vasily Efimov), capo proletario intenzionato a espropriare luoghi e cose, utilizzato a sua volta come strumento del potere. Il potere è per Bulgakov qualche cosa di estremamente palpabile, visibile, insito nella vita umana. Non è una forza invisibile che aleggia e che irrompe nella vita come cosa inspiegabile e macchinosa, come nei racconti di Kafka, ma esiste e si imprime nella vita reale a causa di quelle persone che lo portano sulle loro spalle.

La conclusione della storia propone un’inversione di marcia per il ristabilimento della “normalità” iniziale. Filippovitch opera nuovamente la sua creatura, ristabilendo la totale animalità del cane. Il processo di ritorno-animale è repentino e getta scompiglio nella popolazione e nel capo della polizia che sono giunti negli appartamenti del professore per denunciare l’omicidio e l’occultamento di cadavere di Poligraf. Il chirurgo scampa alla condanna, accusando il malvagio Schwonder della stupida raccomandazione di Poligraf. Il capo della polizia sviene e Poligraf ritorna a essere Charik, semplice cane conscio dell’orrendo pericolo scampato e della sua fortunata condizione.

Bulgakov, che si rifà alla letteratura fantastica dell’Ottocento e a opere come Frankenstein o Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, riflette sulle ricerche e sui limiti della scienza, certamente, ma soprattutto sulla ricerca umana, ideologica e politica, della creazione di un uomo nuovo, perfetto, capace di unire l’altezza umana e le caratteristiche migliori dell’animalità. Il risultato non è solo una cocente delusione, ma una drammatica condanna delle velleità universali umane. Bulgakov salva l’animale e la sua animalità, condannando senza possibilità di redenzione la bestialità. Quella è solo appannaggio dell’uomo.

Non un affresco, ma un’opera che si avvicina maggiormente al medium dell’incisione, sia come potenza del gesto che come materialità necessaria alla realizzazione. Steve McBurney ha realizzato delle scenografie eccezionali, che risultano essere un concentrato di tutta la storia dell’arte e della cultura visuale del Novecento: dall’Espressionismo più violento dei tratti umani e fisici delle figure, al Futurismo e al Raggismo del comparto visivo che carica gli slogan e le azioni collettive, al Surrealismo insito nel mancato equilibrio delle forme, ma anche gli studi sul movimento dei corpi di Etienne Marey.

Un universo che la versione operistica in russo propone con una forza straordinaria.

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Le déferlant Cœur de chien d’Alexander Raskatov a bouleversé la scène de l’Opéra de Lyon. Un conte dramatique où la recherche de l’homme nouveau parvient à un résultat désagréable florissant d’ordures grossières et dépourvu de la plus basique éducation. Un conte politique, engagé, censuré, qui montre que l’homme est la seule créature capable de se baisser à la bêtise la plus obscène. L’animal, le chien dans ce cas particulier, recèle des qualités que le savant ne peut maitriser. L’homme et l’animal se placent sur deux univers parallèles, voisins, mais l’expérimentation croisée amène à des résultats catastrophiques.

Lo spettacolo continua:
Opéra de Lyon
1, Place de la Comédie – Lione (Francia)
fino a giovedì 30 gennaio 2014
orari: da lunedì a venerdì ore 20.00, domenica ore 16.00 (martedì e sabato riposo)

L’Opéra de Lyon, la De Nederlandse Opera di Amsterdam, in collaborazione con compagnia Complicite di Londra presentano
Cœur de chien
di Alexander Raskatov
dal libro Cuore di cane di Mikhaïl Bulgakov
su libretto di Cesare Mazzonis
direzione musicale Martyn Brabbins
messa in scena Simon McBurney
scenografia Michael Levine
costumi Christina Cunningham
luci Paul Anderson
video Finn Ross
marionette Blind Summit Theatre, Mark Down, Nick Barnes
coreografie Toby Sedgwick
direttore dei cori Gianluca Capuano
Orchestra dell’Opéra de Lyon
Ensemble vocale Il Canto di Orfeo
Sergei Leiferkus (Filip Filippovitch Probrajenski)
Ville Rusanen (Ivan Arnoldovitch Bormenthal)
Peter Hoare (Charikov)
Elena Vassilieva (Daria Petrovna, “voce sgradevole“ del cane Charik)
Nancy Allen Lundy (Zina)
Andrew Watts (Viazemskaia, “voce gradevole“ del cane Charik)
Vasily Efimov (Schwonder)
Gennady Bezzubenkov (Capo della polizia / Il portiere / Il venditore di giornali)
Sophie Desmars (La fidanzata di Charikov / Una proletaria)
Robert Wörle (Un provocatore / Un paziente)
Annett Andriesen (Un paziente)
Piotr Micinski (Un proletario / Il détective)
Josie Daxter, Robin Beer, Robin Guiver, Jack Parker (Marionnettistes)
http://opera-lyon.com/