collinareaA Collinarea – il Festival organizzato da Scenica Frammenti e Fondazione Pontedera Teatro – protagonisti tre attori d’eccezione, la giovanissima Beatrice Vollaro, il partigiano Roberto Latini e il padrone di casa Dimitri Galli Rohl.

La serata di Collinarea di venerdì 26 luglio inizia con secondo studio di uno spettacolo in tre atti. We Were Monkeys – Falling apart, attraverso la delicata interpretazione di una Beatrice Vollaro ben coadiuvata da Luigi Guerrieri nelle doppie vesti di rumorista e alter ego uomo-pesce, offre agli spettatori la straziante storia di una ragazza desiderosa di una normalità. Una condizione in verità non bene identificata e velatamente richiamata attraverso il riferimento nel titolo all’evoluzione.

Un processo, quello dell’evoluzione, che il senso comune intende come sviluppo naturale e lineare, necessario e oggettivo da una condizione di inferiorità a una di superiorità. Dunque in apparenza normale, ma che, allo sguardo divertito e smaliziato al quale ci invita We Were Monkeys, scopriamo essere fattore culturale di normalizzazione. Un principio di coercizione e di rimozione dell’alterità, finalizzato a inquadrare e disciplinare gli individui da soggetti di vita a oggetti di sapere nel moderno paradigma evoluzionistico della scienza, secondo il quale eravamo, appunto, scimmie.

Una parola, normalità, quindi da intendere in senso lato al termine dello spettacolo. Perché per definizione discutibile e ambigua, essa si impone sulla protagonista, la quale, frastornata dalla propria incapacità di decidere, confesserà il proprio problema solo nel terzo atto, quando con l’abbandono di Raul la drammaturgia vira dal comico al drammatico.

Un progetto, ben strutturato nei tempi e nell’ambientazione contemporanea, in particolare rispetto al proprio obiettivo tragicomico, efficacemente sublimato in una scenografia composta da quegli scatoloni in cui è contenuta l’intera esistenza della protagonista (testimonianza di un mondo di precarietà), e che fa tesoro dell’affiatato duo degli attori.

Particolarmente convincente risulta il personaggio della Vollaro, la cui totale solitudine si concretizza nella pretesa di parlare con il proprio pesce rosso per risolvere i suoi (del pesce) problemi e per sfuggire a quell’angoscia che, in realtà, è lei stessa a vivere. All’attrice va il grande merito di riuscire a dare fisicità a un atteggiamento caratterizzato dall’alternanza di pianti d’euforia e risate di depressione, ovvero tinto da quella radicale isteria, con cui oggi, da Freud in poi, si pensa banalmente al femminile.

In riferimento a questa inadeguatezza dello stare al mondo, ovviamente, non viene offerta una diagnosi (delle cause che abbiano determinato la situazione) o una prognosi (di come tale situazione possa evolversi o curarsi). Al pubblico resta solo lo stato dell’arte – l’obbligo “a ricomporsi e a dissimulare una vita ordinaria” – del quale non diremo nulla che possa svelarne le avvincenti, a tratti anche surreali, dinamiche e che immaginiamo possano cambiare, non essendo lo spettacolo allo stato definitivo.

A seguire, assistiamo a Noosfera Museum, la terza stazione che prosegue coerentemente il progetto di Roberto Latini iniziato con Lucignolo e Titanic, anche per una continuità stilistica richiamata attraverso elementi ben precisi della scenografia (i sacchetti di sabbia dai quali Latini scava erano già presenti in Titanic), della vocalità (dove è ben percebile la specifica applicazione della ricerca di Latini) e della gestualità “deformata, urlata, sussurrata […] cupa […] l’atmosfera, decisamente negativa, soffocante a tratti” (come ben scriveva la nostra Carolina Ciccarelli).

Una ridondanza di dinamiche e simbologie che spiazza e confonde chi non conosce il senso e lo scopo di Noosfera. Con tale termine Latini richiama un piano di esistenza, , superiore e autonomo da quello della semplice biologia, perché mentale e costituito dalle sovrastrutture semantiche e comunicative dell’uomo. Il parallelismo, pur non immediato, rimanda al senso di resistenza delle forme del teatro contro ogni possibile omologazione culturale e sociale. Il risultato è interessante e lascia sulla pelle la sensazione fisica di un’esperienza nella quale si è stati immersi da spettAttori (pur passivi). Interessante e articolato grazie ad alcuni espedienti tecnici semplici ma di grande effetto (come l’utilizzo di una nebbia artificiale), alla complicità della location all’aperto – all’interno del Castello di Lari – e, ovviamente, alle esperte movenze dell’interprete.

Una poetica originale e coerente, ma non per questo meno criptica“, come altrettamento giustamente scriveva il nostro Lumpatius, che toglie nulla alla sensazione di aver assistito a una eccelsa performance pur privata di ogni riferimento narrativo classico. e da seguire con attenzione nei futuri sviluppi.

Meno sperimentale e agganciato alla tradizione del teatro di narrazione, comunque altrettanto potente, chiude il nostro venerdì di festival 13 6 81, monologo di Dimitri Galli Rohl, per il quale c’era grande attesa e notevole partecipazione di pubblico in teatro.

Lo spettacolo è la seconda produzione di Scenica Frammenti in questa edizione di Collinarea dopo Il Sogno del Marinaio ed è tratto dalla nota vicenda di cronoca di Alfredino Rampi, il bambino morto a sei anni in un pozzo artesiano nel 1981. Occasione che, ricordiamo, inaugurò – alla presenza complice dei uno tra i più amati presidenti della Repubblica, Sandro Pertini, sul posto a dare conforto ai genitori del piccolo – l’era del reality show come cifra della comunicazione giornalistica. Un evento, inoltre, preso a simbolo di una generazione – cui Dimitri Galli Rohl appartiene – fondamentalmente incapace: sia di proporre delle alternative politiche e – soprattutto – culturali, sia di reagire rispetto a un presente in cui si trova colpevolmente a subire scelte che non ha preso. Una partita in perdita e confessata nel finale dallo stesso protagonista con il riferimento alla vacuità del teatro, quasi a parafrasare il verso di Piccola città di Francesco Guccini: “avete dato a noi il senso di peccato e di espiazione“.

Rappresentazione potente, dicevamo, nelle intenzioni, nel testo e nella resa complessiva. Condivisibile nella scelta registica del monologo accompagnato dalla musica elettrica dal vivo di Carlo De Toni, per concentrare tutta l’attenzione sull’esposizione orale. Davvero convincente per la capacità di offrire la prospettiva dell’accaduto attraverso gli occhi di un bambino, trasfigurando la realtà della cronaca come solo il teatro può fare (visionario il riferimento ai conigli, struggente quello al gelataio).

Una bravura in tal senso che al suo interprete deriva, ben conoscendone il percorso, da una sensibilità affinata dal lavoro quotidiano con ragazzi in età scolare, e – soprattutto – una sensibilità che sorprende positivamente per come riesce a tenere per l’intero corso della performance, esito affatto semplice o scontato da raggiungere.

Ma se risultano interessanti diverse soluzioni drammaturgiche (come il richiamo, quasi esplicito, all’immedesimazione con Alfredino attraverso l’elenco delle occasioni perdute), altri aspetti mostrano, purtroppo, il fiato corto. Da un lato l’interpretazione dà l’impressione di patire una certa emozione (si tratta del primo testo scritto dal giovane attore lucchese e la tematica non è certo da prendere con leggerezza) e l’impostazione musicale non sempre risulta in grado di proporre sonorità a tema con l’incedere del racconto, dall’altro più complesse risultano alcune questioni legate alla regia, in difficoltà – parrebbe – nel ritmare gli sviluppi della vicenda secondo una cadenza in grado di tenere alta, magari in crescendo, la tensione drammatica in scena.

13 6 81 è dunque lo specchio atroce di un confronto/conflitto generazionale in atto, che il talento di Dimitri Galli Rohl e l’esperienza di Loris Seghizzi colorano di una paradossalità tragica. 13 6 81 è l’intensa storia del “tentativo (purtroppo riuscito, ndr) di record del mondo di nascondino”. 13 6 81 è un progetto rispetto al quale le imperfezioni riscontrate sono, forse, più da addetti ai lavori che da spettatori, visto l’alto riscontro emotivo del pubblico.

Ma che, a parere di chi scrive, sarebbe bene non sottovalutare proprio per le notevoli potenzialità intrinseche allo spettacolo.

Foto di 13 6 81 (di Daniele Rizzo)
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Gli spettacoli hanno avuto luogo all’interno del Festival Collinarea 2013:
Location varie
venerdì 26 luglio, ore 21.15

Fortebraccio Teatro presenta:
Noosfera Museum
di e con Roberto Latini
musiche e suoni Gianluca Misiti
luci Max Mugnai
produzione Fortebraccio Teatro
prima Toscana

Teatro di Lari (esterno)
venerdì 26 luglio, ore 20.30
We Were Monkeys
Falling apart (secondo studio)
di Beatrice Vollaro e Luigi Guerrieri

Teatro di Lari
venerdì 26 luglio, ore 22.15
Scenica Frammenti presenta:
13 6 81
con Dimitri Galli Rohl e Carlo De Toni
regia Loris Seghizzi
produzione Scenica Frammenti
prima nazionale