Elogio della volgarità

Al Teatro Studio Uno sempre piacevoli incontri. È la volta di Contiene Parolacce, quinto monologo di Stand up Comedy di Daniele Fabbri, esilarante spettacolo sul mondo della comicità e dell’intrattenimento e sulla sterilizzazione odierna del linguaggio.

Se siete un pubblico che alla minima imprecazione inorridisce e storce il naso, allora questo spettacolo non fa per voi. O forse fa proprio per voi. Potrebbe essere una palestra per allenare la mente all’abbattimento dell’incomprensione verso la parolaccia. Quello di Daniele, infatti, è proprio uno spettacolo-encomio sulle maleparole, una canzonatoria riflessione su chi si stupisce e fa moraleggianti discorsi sul malcostume e la cattiva condotta. Come se le parolacce fossero sinonimo di cattiva linea etica e spirito delinquenziale. Il comico si presenta sul palco semplicemente con una maglietta simbolo dove leggiamo: «chi è senza peccato fa una vita di merda», e quindi si parte dal fatto che a volte bisogna un po’ prendersi alla leggera e non sindacalizzare tutto. Soprattutto riconoscere che un po’ di linguaggio colorito fa bene e permette di non rendere noiosa questa esistenza già troppo problematica. La parolaccia ha una sua storia, in fondo, fa parte del vocabolario. Per un linguista  le parolacce sono fonte di sapere perché enfatizzano il concetto e non necessariamente rendono volgare una conversazione. «Sebbene sia logico tenere un linguaggio pulito in certi ambiti, è altrettanto vero che il linguaggio volgare è nato e cresciuto proprio nei luoghi popolari del divertimento!» dirà il comico.
Daniele ironizza e provoca, dice che non bisogna negare ai bambini l’uso della parolaccia, «anzi, io quasi gliele insegnerei». Gioca spifferando un po’ una verità, cioè che, quando si nega qualcosa, ecco che il fascino del proibito diventa quasi un’ossessione e più essa ci viene repressa, più gli effetti posteriori possono essere di riscatto, un riscatto che poi eccede. È un comico Daniele, e il comico lancia messaggi con la sagacia e l’ironia, che nel potere della parolaccia crede davvero, che sa come questo enfatizzare non sia altro che un invito a dimenticarsi del resto del vocabolario per utilizzare solo i cosiddetti turpiloqui. È una riscoperta, però, una libera e tranquilla chiacchierata sul sacro valore della parolaccia. D’altronde l’osceno è sacro, scriveva Dario Fo e, sulla scia del comico che ne indagava la misoginia, anche Daniele si interroga sul ruolo imperante del maschile della parolaccia.

Il curioso comico, dalla mimica un po’ nerd, un po’ intellettualoide, passa dall’humor semplice, quello slegato che genera una sana risata grassa, al sorriso che desta riflessione, a vere e proprie considerazioni assolutamente condivisibili: «Vogliamo parlare della cultura? A cosa serve ad alcuni tutta quella cultura se poi la usano come oggetto per discriminare». Il suo è un esperimento che cerca di toccare le varie sfumature che compongono la figura del comico, a volte con un’ironia che perde qualche colpo, un po’ spicciola e forse ripetitiva, ma si riprende in fretta e si comprende che deve solo limare ulteriormente questa figura che ha buona sostanza, sagacia e idee.
Nella scena spartana, data dal palco completamente vuoto, la simpatia di Daniele coinvolge il pubblico esortandolo ad abbattere il proprio senso di colpa di fronte al tabù della parolaccia. Ironico e diretto. «A me piace chiacchierare con il pubblico a fine serata, e sto notando con piacere che moltissimi mi dicono che in effetti ci sono molte parolacce nello spettacolo, ma che esso non è mai volgare».
La parolaccia dunque ha un suo valore liberatorio, anche un po’ di riscatto. Daniele ne riprende il senso puro, anche se accostare il significato di puro a parolaccia potrebbe apparire a molti come un controsenso. Ma è il lato corretto della contraddittorietà umana questo, il controsenso giusto e sicuramente non ipocrita. Lo spettacolo infatti non critica affatto il buon linguaggio, piuttosto chi censura la parolaccia in difesa di un linguaggio pulito, quando poi sono gli stessi a macchiarsi di una vita infame e meschina, fatta di apparenze, di castità verbale e di immondezzaio etico dietro quella maschera. Il pubblico è divertito, si sente a proprio agio e quasi partecipe. Quindi sì, il suo spettacolo è riuscito. Chiude così Fabbri, citando Freud: «Il primo uomo che ha scagliato contro il suo nemico un’ingiuria al posto di una lancia ha fondato la civiltà».

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Studio Uno

Via Carlo della Rocca, 6
dal 5 all’8 marzo

Contiene parolacce
Stand Up Comedy
di e con Daniele Fabbri