Della civiltà e della partecipazione: sono queste le parole chiave della 39ma edizione di Operaestate festival, che dal 10 luglio al 7 ottobre porterà a Bassano del Grappa e in molti comuni partner della Pedemontana Veneta un ricco programma di danza, teatro, musica e cinema. Sorprende l’atmosfera g-local dell’iniziativa, che riesce a offrire per tre mesi un ricchissimo calendario di spettacoli e performance legati a esperienze artistiche locali e internazionali. Il quadro che ne emerge, anche solo leggendo il programma, è dinamico e pulsatile, come i corpi degli artisti che si animano e ci interrogano dai palcoscenici del festival.

Non è possibile riassumere in poche parole la ricchezza dell’offerta culturale di Operaestate festival di Bassano del Grappa che – nel corso dei suoi trentanove anni di vita – ha acquisito una notorietà crescente in Italia e all’estero, grazie all’instancabile lavoro di ricerca di talenti da parte degli organizzatori, alla capacità di gestire programmi e finanziamenti europei, mantenendo un importante dialogo con le realtà locali, alla costante attenzione per gli approcci più innovativi delle arti performative.

Un’attenzione multidisciplinare, assai abile nell’intercettare, accogliere e integrare i linguaggi contemporanei della danza, del teatro, della musica, che soddisfa i palati della critica più esperta e, al tempo stesso, la curiosità di un pubblico giovane, proveniente da tutta Europa, allo scopo di creare un’autentica «federazione» di spiriti, persone e lingue diverse.

In questa sede, ci concentreremo su alcune performance, cui chi scrive ha avuto il piacere di assistere, inserite nella sezione B.motion, la più sperimentale e originale del festival. Della civiltà e della partecipazione era il filo conduttore dell’edizione 2019, a cui tutti gli artisti convocati a Bassano dovevano contribuire con le loro esibizioni. Accanto al leitmotif dichiarato, è parso di coglierne anche un altro, forse meno esplicito, ma non per questo meno significativo e illuminante. Si tratta, infatti, di un’insolita inchiesta sul corpo, operata dai corpi stessi degli attori e perfino degli spettatori, a essere messa in scena nell’appuntamento al buio ideato dalla compagnia coreana Elephants Laugh e chiamato Bodies in the Dark; nel dramma in movimento proposto da Ginevra Panzetti e Enrico Ticconi, incentrato sulla figura di Arlecchino; nell’ironica pièce degli israeliani Tamar Lamm e David Kern, Because we love you, in cui i linguaggi della prosa e della danza sconfinano l’uno sull’altro.

«Non si deve dire che il nostro corpo è nello spazio, né d’altra parte che è nel tempo. Esso abita lo spazio e il tempo». La ricerca sull’esperienza del corpo messa in scena da Elephants Laugh non potrebbe essere più in linea con le parole di Merleau-Ponty, il fenomenologo francese che – a partire dagli anni ’40 – si è impegnato a descrivere le strutture percettive del Leib (corpo vivente), distinguendolo dal Körper (corpo-oggetto). Se quest’ultimo è il corpo che abbiamo, in quanto oggetto di studio della fisiologia e della psicologia scientifiche, il primo è il corpo che siamo, «il nostro mezzo generale per avere un mondo», grazie a cui sentiamo il nostro ambiente colorandolo con le nostre tonalità emotive, prima ancora di conoscerlo in modo analitico.

Farsi prelevare in un punto della città, indossare una benda e farsi scortare in uno spazio buio, spogliarsi in mezzo ad altre persone che non si conosceranno mai, concentrarsi sui propri piedi mantenendo una postura verticale, aderire al pavimento assumendo una postura orizzontale, muoversi alla cieca e sfiorare i corpi altrui, rivestirsi nell’oscurità, farsi riaccompagnare all’esterno in una via qualsiasi, togliersi la benda e contare fino a dieci prima che l’accompagnatore scompaia. Bodies in the Dark è tutto questo, ma molto altro ancora: parlarne può apparire riduttivo, rispetto alla profusione di sensazioni e di pensieri che si affacciano alla coscienza, durante una performance di più di un’ora, prima in maniera caotica, poi in modo ritmico e ordinato, in uno spazio percettivo e mentale, dove la centralità della vista viene meno e ad entrare in azione sono i sensi minori dell’udito, del tatto, dell’odorato. Gli spettatori indossano una cuffia, in cui una voce fuori campo illustra ai partecipanti i vari step dell’esplorazione sensoriale, sottolineando l’importanza di non costringersi a fare ciò che la propria volontà giudica inaccettabile. Chi si sente disorientato può battere le mani e comunicare il proprio numero agli artisti che – presumibilmente dotati di occhiali infrarossi – lo prendono per mano e lo riconducono al posto assegnato. Nessuno dei partecipanti ha chiesto di interrompere l’esperienza; al contrario, con grande sorpresa di tutti, un clima di cauta empatia si è presto diffuso nella sala (che immagino circolare), disinnescando i meccanismi di autocensura legati all’apparire in pubblico e favorendo atteggiamenti espressivi di tipo non-verbale. Numerosi sono gli interrogativi che Bodies in the Dark ha suscitato in coloro i quali hanno partecipato insieme a me a questo inedito happening, dove la classica dicotomia tra attore e spettatore scompare e ognuno diviene il paradossale osservatore di se stesso. Anzitutto, c’è da chiedersi quale genere di socialità deriva dalla vista e quale, invece, dall’uso aumentato degli altri sensi: la prima si fonda sulla creazione di distanze personali e di gerarchie valoriali (etiche ed estetiche) che, invece, si attenuano nella seconda, rendendo perfino accettabile ciò che per la vista non lo sarebbe. In altri termini, l’atto del vedere o dell’essere-visto genera più dissonanze emotive e cognitive del toccare o dell’essere-toccato. Nella società del Panopticon, l’egemonia della vista condiziona le nostre preferenze e i nostri atteggiamenti, soprattutto nel modo che abbiamo di vivere e di gestire i nostri corpi: «lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini» (G. Debord).

In questo quadro, il tatto e l’olfatto appaiono come dei sensi meno «spettacolari», perché geneticamente predisposti alla condivisione di spazi e tempi comuni: se la spettacolarità visiva dispiega «l’essenza di ogni sistema ideologico: l’impoverimento, l’asservimento e la negazione della vita reale» (G. Debord), il tatto e l’olfatto si muovono in cerca di una vicinanza e di una parità maggiori, ammettendo una pluralità di manifestazioni dell’umano, altrimenti non concessa.

Una delle altre questioni rilanciate da Bodies in the Dark, senz’altro collegata alla precedente, riguarda la definizione del singolare e dell’universale, del fare comunità. L’esplorazione sensoriale parte dal proprio corpo, oramai disavvezzo a percepirsi in modo così intenso e privo di sovrastrutture socio-culturali, ma culmina nella sperimentazione di un’insolita intercorporeità: lo spazio buio, a differenza di quello illuminato, non si configura come una giustapposizione di perimetri e confini, ma come un campo aperto, percorso da ritmi corporei che si incrociano, si attraggono e si respingono, giungendo a confluire in una forma di esistenza allargata.

Harleking, e non Harlequin, come invece ci si aspetterebbe in inglese, è il titolo della performance ideata e portata in scena da Ginevra Panzetti e da Enrico Ticconi. «Arlecchinando», dunque, si potrebbe tradurre, e non semplicemente «Arlecchino», quasi alludendo alla dissoluzione dei caratteri della celebre maschera della Commedia dell’Arte in puro movimento. Sul piano narrativo, Panzetti e Ticconi «raccontano» in smorfie, gesti e movenze, che emanano dai loro corpi con assoluta precisione, l’ambigua personalità di questo servo ignorante, astuto e soprattutto sempre affamato. La mimica facciale dei due danzatori – i loro occhi e le loro bocche – è parte integrante della coreografia, in cui gli arti inferiori e superiori di entrambi, le torsioni corporee, la presenza sul palco risultano sincronizzati da una sinistra «armonia prestabilita». La musica percussiva, tanto ossessiva quanto opprimente, sostiene e amplifica l’esibizione dei danzatori, segnalandone le evoluzioni narrative (giorno, notte; veglia, sonno; fame, sazietà…), all’interno di un tempo che rimane circolare, eternamente chiuso su se stesso.

Chi è Arlecchino? L’animale che è nell’uomo e che non nasconde le sue bestiali inclinazioni? Chi sa prendere la vita con leggerezza o l’impacciato servo del potere? Demone arcigno e perspicace o irriverente burlone? Panzetti e Tacconi bene illustrano la contraddittoria identità di Arlecchino che, sul piano metaforico, ci proietta in un universo fatto di opposti e di imprevisti, abitato da individui che non hanno ancora imparato a coniugare umanità e animalità, razionalità e istinto, lògos e rispetto dell’oìkos. Con questa performance elegante e inattesa, il duo italo-tedesco stimola nel pubblico una riflessione sulla duplicità dell’essere umano, che oscilla tra natura e cultura, éros e civiltà, grazie a insolite «grottesche in movimento» avvivate sul palco.

Una menzione speciale meritano, infine, gli israeliani Tamar Lamm e David Kern che, con il loro Because we love you portato in scena per la prima volta nel 2016 al Zirat Machol Festival di Gerusalemme, hanno presentato un prodotto transdisciplinare, in cui gli stilemi della danza e del teatro contemporanei si fondono con risultati interessanti. Una coppia di innamorati confessa desideri e difficoltà, in una mirabolante sequenza di divagazioni giocate sul registro del monologo «a due voci», cui si alternano passi di danza, scenate, battute fulminanti, rotture e ricomposizioni. Il tema che fa da cornice alla pièce è quello dell’incontro amoroso, in cui – come osserva Barthes – «mi meraviglio per aver trovato qualcuno che, con pennellate consecutive e ogni volta precise, porta a termine senza cedimenti il quadro del mio fantasma». Un incontro sempre cercato, e sempre mancato, col nostro fantasma.

Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito di Operaestate Festival
Palazzo Agostinelli, Bassano del Grappa (VI)
in prima nazionale
mercoledì 21 agosto, ore 19.30, e in replica giovedì 22 agosto, ore 22.30

Elephants Laugh presenta
Bodies in the Dark
Regia Jinyeob Lee
con Hyunsung Seo, Sun hee Park, Kijang Han
Suono Jimmy Sert
Operatore del suono Jaemin Yoon
Produttore Jisun Park
Tour manager Bongmin Choi
Con il supporto di Arts Council Korea

Garage Nardini, Bassano del Grappa (VI)
in prima nazionale, giovedì 22 agosto, ore 16.00

Harleking
di e con Ginevra Panzetti e Enrico Ticconi
Costumi Ginevra Panzetti, Enrico Ticconi
Suono Demetrio Castellucci
Disegno e luci Annagret Schalke
Illustrazioni e grafica Ginevra Panzetti

Teatro Remondini, Bassano del Grappa (VI)
giovedì 22 agosto, ore 21.00

Because we love you
Di e con Tamar Lamm e David Kern
Musica – Trio #44 reinterpreta Franz Joseph Haydn
Con il supporto di Yasmeen Godder Studio, programma di residenze