L’ironico abisso

In occasione della 25° edizione dell’ISAO Festival Il Sacro attraverso l’ordinario, ideato dall’associazione teatrale Il Mutamento Zona Castalia, la comunità creativa Cavallerizza Irreale di Torino – Patrimonio Unesco occupato dai cittadini nel maggio del 2014 nel contesto di una lotta continua indirizzata all’utilizzo degli spazi pubblici (visti come beni comuni inalienabili) da parte dei cittadini stessi e non da enti spesso e volentieri responsabili di museificazione e dunque inutilizzo di un luogo – apre le porte del Maneggio, spazio multidisciplinare suggestivo per il suo regale abbandono, allo spettacolo Creonte, un incontro di (e con) Gianluca Bottoni, attore, performer e regista dall’animo romano e dal pensiero sottile e fluido.

 

Dopo un passato trascorso in compagnia di Kantor, Wyspianski, Caproni, Munch, Majorana, Rumi, Pasolini, Bolaño e altri ancora, Bottoni (affiancato da Mara Roberto alle suggestioni sonore) fa risuonare ancora una volta i corpi uno dei tanti spazi italiani restituiti all’uso, riproponendo con un sguardo davvero non scontato il Creonte di Sofocle, paradigma della ragion di Stato che si antepone ciecamente e sordamente alle esigenze di un popolo sofferente. «Di solito negli adattamenti letterari che si sono succeduti Creonte passa per il “cattivo”, ”dispotico”, “rappresentante di un regime oppressivo”: Anouilh colloca la tragedia nella Francia occupata dai nazisti, Brecht nella Germania hitleriana, Espriu nella Spagna franchista. E così fece il Living Theatre negli anni ‘60, e Wajda in anni più vicini a noi, fino a ritrovare Creonte negli anni ‘80 comandante di un campo di concentramento. Conseguentemente, nei confronti del re di Tebe è prevalso il disprezzo. Ma Creonte va letto anche come innovatore, come qualcuno che vuole cambiare e come tale – va ricordato – è punito. Potremmo anche dire liberamente che Antigone è il passato e Creonte il futuro… facendo noi però oggi i conti proprio col fallimento di quel” futuro”».

Due assoluti, dunque, a confronto, la legge umana e quella divina, vengono affastellati l’uno sull’altro a più livelli semiotici, affrontando sì il tema della polis intesa come società politica fondata sulla natura umana che ha paradossalmente perso se stessa dal momento in cui «l’uomo ha imparato a vivere nella città», ma al tempo tesso anche del teatro, quel non-luogo oramai canonizzato, disciplinato, inscatolato in quattro pareti le quali, ponendo l’uomo al centro, lo allontanano da tutto il resto, creando una tremenda distanza che lo stesso re/attore denuncia, un ironico abisso «tra me e la mia vita». L’incontro-spettacolo, incalzato da un invito non colto da parte del pubblico di impossessarsi della scena e di fare proprio questo «terreno di libertà» in grado di aprire sensazioni, vuole produrre un moto «circolare», un rito che, includendo spudoratamente e a tratti fastidiosamente (carattere certamente voluto ma superfluo a livello funzionale data la natura e criptica e volubile di una sola voce fuori dal coro in una sala piena di silenzi e barrire acustiche) la cittadinanza tutta di questa città contemporanea e malata, tenta di ravvivare la fiamma della discussione politico-giuridica oggi per disincagliarci dall’immobilismo di un «tempo impaurito di idee congelate» in cui apatia e rassegnazione regnano sovrane.

Quasi tenero, nonostante il rancore, sembra allora il rimprovero di Emone figlio, disperato dall’impietosa crudeltà del padre che qui, nelle vesti e nella voce impeccabile di Bottoni, appare più umano, più vulnerabile della sua controparte sofoclea, quasi si trattasse di un vecchietto incagliato per sempre nelle secche mentali dell’inevasa ricerca di ciò che è giusto e sbagliato, buono e cattivo, umano e naturale. «Chi ci ha separato tanto dal Dio che dall’animale ci ha condannato all’umano», cantilena il re di Tebe, sconsolato nell’arbitrarietà delle risposte fornitegli dal pubblico, interpellato a partecipare su più piano alla sua apologia.

Ottimamente inserito in un festival artistico incentrato quest’anno sullo “Scorrere in alto”, ovvero su un impegno ad «alimentare il fiume che scorre verso l’alto, sempre, per quanta resistenza si possa incontrare, per quanto possa sembrare impossibile e retorico, per quanto possa far sorridere», Creonte, un incontro si impone come dialogo a volte urlato a volte bisbigliato ma sempre maturo circa l’intercapedine che si è fatta voragine tra lex e giustizia, tra governo e popolo e, perché no, tra attore e pubblico. Con il suicidio di Emone e dunque la simbolica sterilizzazione del futuro, ha inizio l’epilogo dell’opera – a tratti nostalgica di un teatro d’altri tempi nei suoi rumorismi e nei suoi j’accuse a squarcia gola – vera e propria cerniera che congiunge e ridimensiona con pochi elementi scenici di squisita e brillante fattura (la maschera della tragedia greca, apoteosi della finzione teatrale, fatta di articoli presi da testate nazionali) e accenni non troppo velati alla malattia moderna delle nostre città, la corruzione di uno Stato di diritto oramai ad personam, la portata sociale e politica di Creonte oggi, rappresentazione in carne e ossa di un logos che si è perso nei meandri di un «astratto senso di legalità» mutilato e asportato dal corpo umano che è la polis.

Chissà se il rogo volontario di leggi obsolete ai piedi di un tronco cavo e antropocentrico possa fungere da letto di ceneri per una nuova fenice politica.

 

Lo spettacolo è andato in scena presso
Cavallerizza Irreale
via Giuseppe Verdi 9 – Torino
Mercoledì 3 Ottobre 2018
20.45

l’ISAO Festival – Il Sacro attraverso l’ordinario presenta
Creonte, un incontro

di e con Gianluca Bottoni
innesti Mara Roberto
installazione artistica di Jacopo Mandich