Lucida follia

All’interno del Progetto Dostoevskij, promosso dalla Compagnia D.A.N.A.D. – Diplomati Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, va in scena al Teatro Keiros Cuoredebole di Enoch Marella, tratto da un racconto di F.M. Dostoevskij.

Nessuno come Dostoevskij è riuscito a esprimere con lucidità e passione l’intimo malessere e le contraddizioni dell’uomo moderno, alle prese con i suoi dèmoni e fantasmi, a cui sa di dover sempre rispondere, anche quando l’agognata “felicità” bussa improvvisamente, insperata, alla sua porta. Accade questo nella vita quotidiana di due amici e coinquilini, Vassia e Arkadi, e si innesca un processo di avvitamento esistenziale, di perdita progressiva di qualsiasi punto di riferimento che li coinvolgerà entrambi, decretando non solo la fine di una grande amicizia ma, in un certo senso, di un determinato modo di concepire e vivere la vita.

Durante la sera di Capodanno, appena rientrato a casa, Vassia annuncia all’amico Arkadi l’intenzione concreta di prendere moglie e di sentirsi, per la prima volta in vita sua, amato per quello che è, sebbene un difetto fisico all’anca e un carattere introverso lo abbiamo sempre reso un personaggio alquanto solitario e scostante agli occhi degli altri. È la scoperta di essere finalmente “desiderato”, di rientrare con ciò in una costellazione sociale a cui dover rispondere e partecipare attivamente, che provoca a Vassia i primi turbamenti, il terrore di non essere all’altezza di un compito ai suoi occhi così gravoso e opprimente, dopo il lungo isolamento attraverso cui – nel bene o nel male – aveva costruito il suo grigio quotidiano, alle prese con una normalità che, seppur triste, gli dava sicurezza e fiducia. Ora, con l’amore e il matrimonio imminente tutto cambia. I vecchi collaudati equilibri si incrinano e subentra, come reazione all’insostenibile ed inattesa “felicità”, un’ansia di razionalizzazione, oggi potremmo dire “da prestazione” – nel non riuscire a terminare il lavoro assegnatogli sentendosi un fallito e condannato a una severa quanto inevitabile punizione del suo superiore – che lo conduce inesorabilmente alla pazzia. Un tema, questo della follia causata da un eccessivo e perciò insano bisogno di razionalità, di logicità forzata, che ritroviamo puntualmente in due commedie di Eduardo De Filippo, La Grande Magia, scritta insieme a Pirandello nel 1936 e Ditegli sempre di sì del 1927, dove la pazzia risulta proprio da una necessità “civile”, potremmo dire mondana – basti pensare al Super-Io freudiano – di tenere sotto controllo da una parte il caos emotivo e l’anarchica sentimentale delle passioni umane, e dall’altra proteggere, con una sorta di velo di maya, ciò che la nostra coscienza non vuole né deve vedere, illudendosi di non aver alcuna responsabilità per ciò che gli accade intorno.

In Vassia operano entrambe le tendenze, che lo porteranno, per via del suo zelo assurdo – dal macabro istinto autolesionista – a “punirsi” per aver incontrato per la prima volta amore e felicità: non si sente più degno della sua vita passata, del suo familiare dolore, e abbraccia una parabola discendente e allucinata senza uscita.

Se Vassia rappresenta l’insopportabile felicità che spaventa chi è ormai assuefatto alla sofferenza, Arkadi viceversa incarna la scoperta sconcertante e raccapricciante della logicità illogica, nel suo dare senso a tutto, nel costipare la magia erotica e irrazionale della vita e dell’amore, negli angusti formalismi, nelle regole ferree della coscienza sociale e del dovere civile.

Lo spazio avvolgente del Teatro Keiros, l’intensa e mai banale presenza scenica dei due attori che letteralmente “si fanno in quattro” per interpretare tutti i ruoli, in un audace sdoppiamento fisico e psicologico, l’organizzazione scenica che dà allo spettatore la precisa sensazione di trovarsi in presenza di un labirinto claustrofobico – eretto sul quadrato suprematista di Malevič – da cui è impossibile sfuggire, se non attraverso una fuga ascensionale che non porta a nulla – evocandogli lo sforzo quotidiano d’imporre la propria identità nel magma disperato di un’umanità alienata e ristabilire così l’equilibrio tra forma etica e sostanza vitale, tra legge e utopia – permette a Cuoredebole di narrare l’estrema debolezza di un cuore “puro” inabile a sopportare l’immane peso di un’esistenza condannata all’ipocrisia e alla corruzione, all’incomprensione e alla solitudine.

Insomma, già dal suo primo romanzo, Dostoevskij ci dimostra come nel momento stesso in cui si “pensa” il mondo, si struttura idealmente – in senso onirico e psicologico – la propria mediazione con la realtà – invece di abitarla naturalmente – e non si ha più la forza, ma anzi si ha timore a viverla con sicurezza e orgoglio, allora la pazzia, il rovesciamento logico della stessa, la sua riqualificazione anarchica, diviene l’unica soluzione possibile.

Lo spettacolo continua:
Teatro Studio Keiros
via Padova, 38/a – Roma
fino a domenica 5 giugno
orari: dal lunedì al sabato ore 21.00, domenica ore 18.00
 
Cuoredebole
di Enoch Marrella
da un racconto di F.M. Dostoevskij
con Enoch Marrella, Edoardo Ripani
consulenza artistica Angelo Pavia
musica Angela Bruni
scena Selena Garau
disegno luci Maria Udina
assistente alla regia e luci Desi Gialuz
promozione Angela Cefalato
foto di scena Anna Faragona
illustrazione Matteo Perazzoli
ufficio stampa Alessandra Rinaudo