L’infinito tangram dell’immaginario

Combinazioni della fantasia nascono da un pianoforte mutante e da un corpo complicato. In scena il 3 e 4 ottobre scorsi al Palladium, per il Romaeuropa Festival, Danza preparata è l’omaggio del coreografo Rui Horta al visionario compositore John Cage

La musica è come strappata via dai tasti del pianoforte “preparato”: una delle follie di John Cage, ancora attuale a settant’anni dalla sua invenzione. Viti, bulloni e oggetti metallici in mezzo alle corde generano suoni e dissonanze tra i più originali e irriverenti del Novecento.
Ed è appunto una Danza preparata quella del coreografo portoghese Rui Horta: una dedica esplicita a Cage, andata in scena a Roma il 3 e 4 ottobre al Palladium, nell’ambito di Romaeuropa Festival, con la danzatrice italiana Silvia Bertoncelli e il pianista e compositore britannico Rolf Hind.
Il bel teatro della Garbatella ospita così il primo degli omaggi che Romaeuropa rende al compositore statunitense (Los Angeles 1912-New York 1992), nel centenario della nascita e nel sessantesimo anniversario del suo 4’33’’: la partitura più assurda e provocatoria di sempre, completamente muta. John Cage – musicista e sperimentatore del suono, pioniere della musica elettronica, inventore dell’happening insieme al coreografo Merce Cunningham, suo compagno anche nella vita – ha influenzato tutta la musica contemporanea del ventesimo secolo ed è uno dei padri spirituali di Romaeuropa, arrivata oggi alla sua 27ª edizione.
Nel minimale spazio scenico allestito al Palladium, proprio come il pianista alle prese con un idioma musicale “altro” (Sonatas and Interludes, il ciclo per pianoforte “preparato” più celebre scritto da Cage), anche la danzatrice sperimenta evoluzioni coreografiche a partire da un corpo “costretto”: una gamba piegata e legata al corpo da nastro adesivo, un braccio infilato per intero nella calzamaglia, o i recinti ideali che Rui Horta disegna con le luci o con bastoncini Shanghai gettati a terra. Coercizioni, limitazioni, handicap formali che paradossalmente diventano varchi per terreni inesplorati della fantasia e della libertà. Una libertà “preparata”.
Le note martellanti, gli equilibri in bilico, le armonie che nascono da anomalie e immobilità fanno di Danza preparata uno spettacolo breve ma non facile, freddo anche cromaticamente (le scene, curate da Rui Horta, e i costumi di Ricardo Pedro giocano su una livida alternanza di buio/luce, nero/bianco). La performance conquista la fiducia solo progressivamente, quando dietro un’apparente severità si rivela il puro e astratto divertimento della fantasia.
La scena si ricompone continuamente come un infinito tangram di luce: si proiettano a terra, fatti di sola luce bianca, quadranti, feritoie anguste, spigoli, lunghe strettoie (verso altri mondi?), regole che Silvia Bertoncelli rispetta, percorre, e poi trasfigura con variazioni sul movimento. Capitolo dopo capitolo, stanza dopo stanza, nuovi vincoli del suono e del corpo fanno fiorire nuove risposte a quegli stessi vincoli. Un’altra piccola sfida è la lunga danza sulle punte di una straordinaria Bertoncelli tra decine di bastoncini dello Shanghai gettati a terra: forse un richiamo alle monetine cinesi I Ching su cui si basava il metodo compositivo di John Cage, affidato a procedimenti creativi casuali e aleatori.
«Lo sguardo filosofico di Cage, così vicino alle culture orientali», spiegano in una nota i curatori di Romaeuropa Festival, «gli ha permesso, a differenza di molte avanguardie del secondo Novecento, di mantenere un atteggiamento ludico, uno spirito profondamente libero, un pensiero liberatorio».
Se così non fosse, la danzatrice di Rui Horta non potrebbe ridere a crepapelle mentre avanza e arretra su una delle fughe di luce. E non potrebbe divertire il pubblico, a metà di Danza preparata, con due pause fiabesche, che spiazzano e deliziano. Il primo momento è dedicato a due girandole, una per sé e una per il pianista, da accendere e osservare con garbo e compitezza mentre si consumano fino all’ultima scintilla. Un secondo timeout vede la danzatrice sparire dietro le quinte e ricomparire, a sorpresa, con un vero, placido gattone rosso in braccio: forse anche lui un ballerino di Horta, perché è incredibilmente delicato e disciplinato. Anche ora la musica è silenzio, e la danza è star fermi. La danzatrice e il gatto si guardano, e guardano il pubblico. È un momento buffo, di decompressione, di grazia e innocenza. E si ride arrendevoli, come bambini, anche con un pizzico di gratitudine.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Palladium
piazza Bartolomeo Romano, 8 – Roma (zona Garbatella)
mercoledì 3 e giovedì 4 ottobre, ore 20.30

Casa de Musica e O Espaço do Tempo, in collaborazione con Fundação Calouste Gulbekian, Guimares 2012 CEC, Salzburg Bienalle, KunstFestSpiele Herrenhausen, Festival Musica Strasbourg, Romaeuropa Festival e Vilnius Giada Festival presentano
Danza preparata
coreografia, scenografia, disegno luci Rui Horta
piano Rolf Hind
ballerina Silvia Bertoncelli
costumi Ricardo Preto