Sogno o son desto?

due-teatro-roma-80x80Continua la rassegna dei Cantieri contemporanei al Teatro due. Dalla penna di Kafka al palcoscenico, è la volta dell’arrangiamento in chiave visionaria del celebre e incompiuto Das Schloss.

Un’elaborazione sperimentale dalla meritevole interpretazione. In chiave fantastica e stroboscopica, su di un palco dalla scenografia semplice, si svolge l’interpretazione de: Il castello. Ci si ritrova spiazzati dall’inizio d’impatto e dal convulso evolversi, ci si sente partecipi di una grande e collettiva allucinazione che porta con sé più messaggi. Pochi, ma grandi armadi in ferro che si aprono violentemente, sbattono a terra, il tonfo che richiama l’attenzione, i corpi che ne escono fuori, i volti spauriti che si lanciano a bordo palco, le mani che si aggrappano letteralmente alla scena, al terreno. E da lì, da quella ferma e bianca scena sarà tutto un vortice di accesi colori . Gli armadi che prendono a girare, una scena in movimento, un delirio, pare l’interpretazione di qualche delirio onirico. I colori, le movenze e i tratti quasi allucinati, tutto ha il contorno dell’illusione. Dove siamo insomma, dove ci troviamo? Cosa si sta interpretando? E chi è quel personaggio in contrasto col resto? Diverso già dall’abbigliamento, anticonvenzionale per discorsi e portamento. Quel delirio, dunque, nasconde sensi altri, quei discorsi apparentemente vagheggianti si fanno sempre più densi di comprensione.

Nutrito di metafora il testo kafkiano viene qui viene rappresentato proprio nell’esasperazione del senso che crea quindi forti scenari visivi. Queste personalità che cambiano identità durante la scena, gli stessi volti che indossano più personalità, mille costruzioni, così come il castello, costruzione della mente e di un collegamento più materiale, cioè costruzione sociale, gerarchia, sistema del lavoro. Il castello come sinonimo di ingresso al mondo dell’accettazione, perché si deve entrare nel castello per far parte del sistema. «Regina, reginella quanti passi devo fare per arrivare al tuo castello?».

Ed è difficile se sei un agrimensore, colui che mette ordine e crea confini nel terreno, senza altro nome che K, se sei lo straniero. L’agrimensore K. cerca lavoro, lo cerca al castello, ma «è lungo questo inverno». Il castello e le sue dinamiche sono rigide, le regole come i dialoghi che li esprimono sono pressanti, il senso di esclusione evidente. Lui, K, bistrattato, tenuto fuori, che prova a permeare un sistema nel quale comunque non riesce ad adattarsi, del quale non comprende nulla se non la propria singolarità rispetto al delirante tutto. Si dimena nel convulso mondo l’agrimensore K, arriva sempre più vicino alla conclusione che «ogni uomo porta una camera, come una locanda» e «le finestre delle mie camere devo aprirmele da solo».

Rivendica il suo essere straniero il non potersi conformare, eppure è presente quella perversa voglia di sentirsi partecipe e forzare le circostanze invece di sabotarle. Vi è molto di complesso nel movimento della trama o forse molto di semplice, dipende come intendiamo le dinamiche che regolano la mente umana. Teatro allucinato e allucinante, la mimica e la presenza scenica degli attori si muove tesa e in bilico fra incubo e sogno e fa emergere l’amara verità di cui è tremendamente carico. Realtà alienate, fatta di incomprensioni. Il tutto viene presentato nella sua forma più estrema, con scene che qualcuno potrebbe reputare vicine all’osceno, ma di osceno c’è solo la solitudine e i conformismi, i formalismi vuoti, la poca attenzione all’umano bisogno, la frustrazione e l’amara consapevolezza. Il mondo circostante è mosso da durezza e lontananze, non c’è latitudine non c’è longitudine, perdute identità, personalità sfasate. E quanto siamo capaci di annullarci, di prostrarci al sacrificio del nostro essere per accontentare un castello, una realtà dai meccanismi ingiusti? Al pubblico quindi la conclusione finale: «è la vita che è diventata servizio, o il servizio che è diventato la vita?»

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Due Roma

teatro stabile d’essai
vicolo dei Due Macelli, 37
10 – 14 gennaio 2015

Das Schloss (Il Castello)
da F. Kafka
drammaturgia e regia Francesca Caprioli
con Gabriele Abis, Gabriele Anagni, Simone Borrelli, Laurence Mazzoni, Eleonora Pace, Paola Senatore, Flavio Francucci