Il passato, questo tiranno

In scena, al Teatro del Giglio di Lucca, David, per la regia di Paolo Civati. Tra realtà e istanti di follia, uno spettacolo equilibrato, ma senza novità.

Bei tempi fugati, nei quali tutto taceva per decenni senza scaldare il volto a nessuno. Tempi fugati, appunto. Non ci riguardano più, non a noi e alla nostra epoca di rincorsa e mode impennate. Novità richiesta a gran voce. Novità che non arriva.
Con David il Teatro del Giglio porta in scena il disagio di una famiglia mal coesa, sulla quale la crisi del morbo di Alzheimer balza come un coperchio saltato, portando a galla le reciproche incomprensioni. Produzione dell’opera spetta al Teatro Del Carretto, su drammaturgia e regia di Paolo Civati.

Vedovo di una performer e lui stesso ex performer, David De Andrea – probabile citazione a Joe Dallesandro, attore feticcio di Andy Warhol e volto di quella disinibizione artistico-esistenziale che segna l’Occidente post-woodstockiano – vive l’angoscia di un passato andato perduto e di un Io rimasto inappagato. Bersagli per le sue frustrazioni i figli, Max ed Eva, lui benestante, razionale e nevrotico, lei artista inconcludente e parassita. Il sopraggiungere dell’Alzheimer e il patetismo del genitore, reso inadeguato tanto all’autorità quanto all’autosufficienza, trascina i tre personaggi in dialoghi e situazioni che scardinano la gerarchia familiare e sfondano le barriere individuali dell’intimità: dalla presunta omosessualità di Max alla relazione-ossessione che lega Eva al suo editore sposato. Giochi di voci e di corpi s’intervallano spesso alla prosa, creando lassi temporali e isolamenti.
Alla trama si accompagna un copione dal gusto statunitense, denso di un linguaggio caustico che pare estrapolato dal realismo sporco degli anni 70-80; mentre l’ambientazione del salotto e la musica di notevole impatto, ma talvolta male assortita, cala la storia in un mondo che ha più del televisivo. C’è il dramma e c’è la risata, sale e pepe di un piatto buono, ma ormai abitudinario.
Punto sicuro in David è l’assoluta mancanza dell’impronta di quel Teatro Del Carretto che ci ha abituati negli anni alla sua parola rada, centellinata come un veleno, in bilico continuo tra il diabolico e il sacro. Civati, in cui abbondano verbo e realismo, non ha niente a che fare con tutto questo. Del Carretto rimane forse qualche voce echeggiante, qualche nudità casuale, qualche istante danzato che ha poca ragion d’essere.
Una via impervia, quella della prosa, un vino diluito dalla regolarità del linguaggio parlato. Giudicarne una non è semplice e ci esimeremo dal frugare troppo. Certo è che il sodalizio teatro-cinema-televisione si fa più intenso di anno in anno. Tutte le strade conducono ormai a questo, portandoci a domandarci se, oggi come oggi, abbiamo ancora una concezione effettiva del teatro. Forse urge una ricerca, una ridefinizione.
Non attaccheremo l’espressività degli attori – anzi, bravo Luigi Diberti, nei panni di David – ma la stessa fossilizzazione in cui incorrono i teatri del presente. La famiglia disagiata, l’infanzia guastata da genitori ribelli, la malattia, il rancore che affiora: tematiche che già conosciamo e che si ripetono. E ben venga, poiché in arte, più che il “cosa”, è il “come” che fa la storia. Un “come” che vede la drammaturgia moderna fare come il proverbiale cane che si morde la coda, in un continuo inseguire se stessa e ripartire da un punto passato definito.
Buono l’utilizzo delle luci, curatissima la scenografia. Nulla da eccepire sulla caratterizzazione dei personaggi.
In conclusione, David puo’ essere uno spettacolo godibile per un pubblico senza eccessive pretese, per i nostalgici di Woodstock, Fluxus e la Factory warholiana. Suona come una mesta carezza sul cimelio del tempo che fu. Ben impiantato sulle regole del passato, non ha nulla da aggiungere alle fondamenta del futuro.
Ha tutto ciò che uno puo’ aspettarsi: basta non aspettarsi l’inaspettato.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro del Giglio

piazza del Giglio, 13/15 – Lucca
da venerdì 9 a domenica 11 dicembre

David
drammaturgia e regia di Paolo Civati
con Luigi Diberti, Valentina Fois e Giorgio Marchesi
assistente alla regia Flaminia Caroli
musiche originali Valerio Camporini Faggioni
scene Claudia Trapanà ed Ermes Pancaldi
luci Fabio Giommarelli
produzione del Teatro Del Carretto