Sogno della notte d’Occidente

Al Teatro Argentina, fino al 31 maggio, Peter Stein mette in scena un lavoro straordinario, una lama rovente che attraversa la decadenza del nostro mondo.

Per comprendere i tempi catastrofici che stiamo vivendo, l’unica possibilità è quella di non frenare il nostro sguardo sul presente e le sue macerie, ma di rivolgerlo anche al passato, in particolare a quella decade, gli anni ’80, che ha decretato il mutamento radicale della società e dell’immaginario, ponendo i presupposti della progressiva decadenza di valori e di senso cui assistiamo; non solo, ma per capire la nostra contemporaneità, il soccorso più efficace può venirci, come sempre, dai grandi classici dell’arte del passato e, spesso, si tratta di opere che apparentemente non sembrerebbero avere questa funzione.

In altri termini, spesso Shakespeare ha dimostrato la sua eterna attualità e la capacità di parlare anche a distanza di quattro secoli attraverso i suo drammi; l’intuizione geniale di un grande scrittore come Botho Strauss, nel 1983, è stata invece quella di porre come strumento di indagine del presente Il sogno di una notte di mezza estate: Oberon e Titania spediti in un contesto che smarrisce i punti di riferimento, dove i piani temporali si confondono e tutto diventa una giostra di lascivia, di apparenze, di sensualità selvaggia. Non è un caso che Peter Stein, maestro del teatro del Novecento, capace nel corso degli anni di intrecciare denuncia politico-sociale al nichilismo beckettiano, sia rimasto folgorato da questo testo e abbia deciso di portarlo in scena al Teatro Argentina, fino alla fine di maggio. Il risultato è un capolavoro: per l’esattezza quattro ore di capolavoro che non sono un macigno, ma un flusso che fa slittare perpetuamente la sua fine, che continua a travolgere il buonsenso e le convenzioni fino ad arrivare parossisticamente a un finale che sembra uscito da un film di Matthew Barney, tanto per contenuto che per forma, dove Titania finisce integrata nella classe altoborghese e snob, in un’atmosfera da basso impero.

In Der Park, Il sogno di Shakespeare diventa una denuncia nei confronti della società opulenta occidentale, per il suo culto dell’immagine, per la sua grettagine moralistica e al contempo per il suo anelare la trasgressione fine a se stessa; elementi della popular culture si fondono con i versi del poeta; punk e stupratori, pederasti e arrivisti del nuovo ordine finanziario disegnano una landa dove domina l’assurdo e dove l’amore si riduce a libido inappagabile e a interessi egoistici. Le quattro ore scorrono in maniera eccezionale, complici gli elementi di tutta la messa in scena: un testo potente, moderno e classico insieme, che proietta Shakespeare a Weimar e oltre, fino ad arrivare alla povertà di spirito dell’Europa contemporanea; una regia esplosiva, e al contempo calibratissima, che sfrutta saggiamente tutti i piani spaziali e un gioco luci che rasenta la più qualificata arte fotografica.

E poi, costumi e scenografie di una perfezione rara, dove il parco si scompone e ricompone nel corso delle “inquadrature” proposte al pubblico, interni di case messi a nudo al nostro occhio, verande circondate dalla vegetazione e studi di artigiani che ammiccano all’iconografia del Rinascimento; gli attori sono all’altezza di tanto ben di Dio, prima tra tutti la splendida Maddalena Crippa, moglie del regista tedesco, e il resto del cast non è da meno.

In altri termini, un’operazione più che riuscita, una sciarada che è lancinante indagine della decadenza del nostro basso impero, proiettato verso la sua fine suicida passando prima per il grottesco e l’assurdo.

Lo spettacolo è in scena:
Teatro Argentina
L.go di Torre Argentina, 52 – Roma
dal 5 al 31 maggio, martedì mercoledì e sabato ore 19.00, giovedì e domenica ore 17.00

Teatro di Roma presenta
Der Park
di Botho Strauss
regia Peter Stein
con Pia Lanciotti, Graziano Piazza, Silvia Pernarella, Gianluigi Fogacci, Maddalena Crippa, Paolo Graziosi