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In tournée in Toscana, Ascanio Celestini registra il sold out con il suo nuovo spettacolo-studio, Discorsi alla nazione.

Molti tra noi lo hanno conosciuto per le sue incursioni televisive, surreali e poetiche nella loro irriverenza goliardica e acutezza politica. Ad Ascanio Celestini, il parterre toscano “di sinistra” riserva, a teatro, lo stesso calore che qualche anno fa riscuoteva Beppe Grillo alle Feste dell’Unità, prima di essere sconfessato dai suoi più tenaci sostenitori nel momento in cui “osava scendere in campo”. Analogia, questa, forse impropria e irriverente, ma Celestini ce la consentirà: dato che, come ieri vedevamo i pidiessini ridere alle battute del comico genovese, che pure accusava dal palco proprio loro di deriva a destra e perdita di ideali e prospettive politiche, oggi vediamo i pd – cambia il nome ma non la sostanza – ridere ai Discorsi alla nazione, altrettanto mordaci e ben poco concilianti o assolutori. Bisogna ammetterlo: la cosiddetta sinistra italiana o non capisce le battute oppure ha molto senso dell’autoironia.
Ma veniamo allo spettacolo, strutturato in due parti. La prima è un’introduzione a braccio – da “studio” – più televisiva che teatrale, ma non per questo meno gustosa – soprattutto quando puntualizza che l’Italia non è sempre stata una Repubblica Democratica fondata sul lavoro e “costituzionalmente” pacifista, ma nei suoi “gloriosi” 150 anni ha visto lo spoglio del Sud, la guerra al brigantaggio, la rapacità sabauda, la dittatura fascista, e molto altro.
La seconda, i Discorsi alla nazione veri e propri – comizi elettorali per futuri dittatori della sempre verde Repubblica delle banane – intervallati dalle parabole alla Celestini – dall’uomo con l’ombrello a quello con la pistola, entrambi volti dei potenti per i quali, nella nostra democrazia di facciata ma non di sostanza, siamo solo carne da macello o sagome da bersaglio (perché, per chi se lo fosse dimenticato, laddove non esiste democrazia economica reale, e non fittizia soddisfazione di bisogni velleitari, non esiste nemmeno autentica democrazia). Come ricorda Celestini: la differenza tra quest’ultima e la dittatura è che in dittatura si deve temere di esprimere giudizi perché anche i muri hanno orecchie, mentre in democrazia si può parlare liberamente perché nessuno ascolta – e tanto meno si perita di rispondere ai bisogni reali.
Il ritratto che emerge dai Discorsi è devastante. Si ride molto quando si dovrebbe piangere. Un Paese dove il padrone spera arrivino i marziani per fare quella rivoluzione anti-capitalista che i comunisti, così democratici da convertirsi sempre più alle idee di destra, hanno ormai dimenticato – peggio: rinnegato. Un Paese senza alternative praticabili, dove, come dice lo stesso Celestini in un’intervista a Il Messaggero: «Un salario, anziché garantire tredici mesi di stipendio, ferie e maternità, è una specie di paghetta». Un Paese, aggiungeremmo noi, dove ci hanno spogliato di tutto: ideali e sogni, in primis, e poi, a caso: tfr – che deve concorrere a formare, per i pochi fortunati che lo percepiranno, quella pensione che prima sfamava e in futuro sarà obolo elargito; o sanità – che si vuole sempre più privatizzare non tenendo conto di quanto maggiormente pesi sul Pil la sanità privata e altamente discriminatoria statunitense in confronto con quella democratica europea, né del fatto che con 800 euro al mese saltuari è un po’ difficile pagarsi un’assicurazione privata per la pensione, una per la sanità, un po’ di quel mutuo che nessuna banca elargirebbe mai a un precario e, per finire, anche la moltiplicazione di balzelli e l’aggravio fiscale che si sono inventati, negli ultimi 10 anni, per “cinesizzare” sempre più i lavoratori occidentali. Un Paese che sembra richiamare concretamente – e non a caso – le parole Bertolt Brecht: “ci sono molti modi di uccidere un uomo, si può infilare un coltello nella pancia, togliergli il pane, non guarirlo da una malattia, ficcarlo in una casa inabitabile, massacrarlo di lavoro, spingerlo al suicidio, farlo andare in guerra. Solo pochi di questi modi sono proibiti nel nostro Stato.”
Ciliegina sulla torta, il bis: la storiella sul Piccolo Paese dove potenti – laici e cattolici – si risvegliano, una mattina, e si ritrovano senza “fallo”, ossia senza pene – non senza errore. E la battuta che maggiormente affonda nelle viscere di un Paese eminentemente fallocratico – come il nostro – è quella che denuncia l’impossibilità per chi voglia gestire il potere reale di vivere da donna in Italia, dopo che il “gentil sesso” è stato trasformato – aggiungeremmo: con la complicità di quelle donne che credono in un’emancipazione che passa attraverso la coscia lunga e la taglia sesta – a tal punto che la differenza tra una donna e una bambola gonfiabile è che, sulla prima, i maschi possono bellamente spegnere le sigarette, senza tema che scoppi.
Applausi scroscianti: qualcuno avrà capito a chi erano rivolti frizzi e lazzi?

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro dei Differenti
vicolo del Teatro, 1 – Barga
domenica 2 dicembre, ore 21.15

Teatro Moderno
piazza Anna Magnani, 1 – piazza Antonio Gramsci, 4
Agliana (Pistoia)
sabato 1° dicembre, ore 21.30

Discorsi alla nazione
Studio per uno spettacolo presidenziale
di e con Ascanio Celestini