“Di quel sottile scendere di spille”

Teatro-Politeama-viareggioAscanio Celestini, prima volta al Politeama di Viareggio, raccoglie ampi consensi di pubblico e critica. Il prossimo appuntamento con la prosa sarà il 17 dicembre con Pinocchio. Opera Rock.

Piove, perché? Tutto ciò ha, credo, dell’assurdo. Interrogarsi sulla pioggia. Ma ecco… piove. Perché?
Piove, abita al primo piano, è così nevrotico, amabilmente invisibile. Spia il genere umano senza toccarlo, senza parlargli. Crolla la sua dimora di sabbia nell’istante in cui il mondo si accorge di lui. Piove e sono giorni, ormai. L’uomo nevrotico uccide una persona.
Martedì 3 dicembre, Ascanio Celestini è ospite del Teatro Politeama di Viareggio. C’è la guerra e piove. Uomo, la domanda autentica è: perché ne parli?
Dall’appartamento la donna chiama il portiere: c’è una cosa fuori dal portone, la tolga. Impressiona i bambini, è brutta a vedersi. Non si riesce a uscire di casa. Piove.
L’uomo al primo piano, nel frattempo, da sempre innocuo, ha ucciso una persona. Dov’è la bizzarria? C’è la guerra: si può liberarsi dai tiranni, ribellarsi. La guerra civile deglutisce la città. Tutto è lecito quando impazza il disordine. Perché stupirsi se qualche piano più in alto vive un tiratore scelto? Il cecchino apre la finestra, si sporge, spara a chiunque passi. Il suo è un lavoro antidiscriminatorio: sputa addosso ai dibattiti umanitari, agli ipocriti sulle tribune. Una città inzuppata nel latte della morte. Cosa sarà mai una singola uccisione? E lo Stato, dov’è lo Stato? Troppi disoccupati in questo Paese.
Schegge, queste, di Discorsi alla Nazione di Ascanio Celestini. Il drammaturgo e interprete, sempre in prima linea quando si tratti di tematiche civili e politiche, getta sul palcoscenico del Politeama le minacciose fondamenta di una distopia (o anti-utopia), basata su un pungente monologo satirico. Parliamo di scene spoglie, tipiche del Teatro di Narrazione, che pone la fisicità dell’attore a livello d’importanza critico. Ora, la distopia si differenzia dall’utopia, oltre che per il fin troppo palese ribaltamento della situazione immaginata (da terra dei sogni a landa apocalittica), anche per un’altra caratteristica, che è anche la più devastante tra le armi nel suo vasto arsenale: la possibilità. Difficile credere nel Paese di Cuccagna. Ma a Discorsi alla Nazione si crede, eccome. Tanto che alcuni domandano a Celestini se questo incubo è, in realtà, il ritratto dell’Italia. Il regista, che – all’incontro con il pubblico, prima dello spettacolo – inizialmente smentisce, lascia fumar via qualche concetto sibillino: «In Italia non piove così tanto».
Discorsi alla Nazione ha i tratti alienati del 1984 orwelliano, ma è meno raffinata questa terra della morte. Piove da giorni. La pioggia è quasi la traccia musicale dell’intera opera. Sulla ribalta: dei cartoni, un paio di sgabelli, lampadine, piantane sparpagliate alla rinfusa. Si assapora quasi un’idea di casa, con le luci che si abbassano lentamente, un’aura dorata e lattescente attorno al viso di Celestini. Quasi fossimo in una stanza, piccola, soli, con lui che parla, noi che ascoltiamo, e nessun altro.
Ma torniamo alla pièce. Pochi piani separano il cecchino dall’uomo con la pistola. Pensa, quell’uomo, che la pistola funziona, ed è rovente nella sua tasca. Ne ha studiato il meccanismo, ne riconosce il suono e le potenzialità. Non l’adopera, si intende. Non scalfirebbe le carni di una mosca. Ma la possiede, può maneggiarla: sia lode agli dèi. Piove, ma la pistola non teme la pioggia. Tutto funziona alla perfezione, potrebbe uccidere moglie, vicino e barista, se solo volesse. Non lo fa, per scelta. Ma l’idea di poter agire e sbarazzarsi di quella umanità pidocchia lo rasserena. Una città inzuppata nel latte della tirannide. Cos’è mai, qua dentro, un uomo senza una pistola?
Più in alto, ultimo piano – anzi: attico. L’uomo con l’ombrello esce dal palazzo. Caritatevole, lui, fragrante come il pane. Pietà, tanta pietà per chi non abita in cima al grattacielo – Il condominio di Ballard insegna. In strada si aggira lo sfortunato, quello senza ombrello. «Avanti, dammi il numero della tua associazione. Donerò due euro, io, perché io ci tengo a voi sfortunati. Certo… non puoi pretendere il mio ombrello, io il mio ombrello me lo sono guadagnato…». Un sound tagliente ammorba l’aria, le luci cambiano. Pensandoci bene, lo sfortunato può ripararsi sotto l’ombrello dell’uomo. Ma non accanto a lui, bensì sotto i suoi piedi. Così come può cibarsi con le sue briciole: basta che gli lecchi le scarpe. Non è colpa tua, che non hai l’ombrello, ma neppure sua – dell’uomo. Così vuole la gerarchia naturale. E intanto continua a piovere. Anche questo è naturale, qui.
Una pioggia che rende grigio l’uomo e intorpidisce l’azione, che non lascia uscire il portiere. La donna chiama di nuovo: che tolga la cosa, dannazione! Perché deve dirgli cos’è? Non si può dire, no? Ebbene, sia. È un cadavere. Adesso vuole toglierlo, sì o no? No? Ha paura? Di chi, c’è da domandarsi. Il precedente custode l’avrebbe fatto. Usciva sempre a togliere ciò che ingombrava il passaggio. E infatti, spiega il nuovo portiere, l’ha fatto per l’ultima volta. Il cadavere là fuori è il suo.
Incubatrice, questo palazzo, di razze umane disparate: il succube che erompe, il freddo assassino, l’impotente che vive in perenne possibilismo, il ricco tiranno nascente. Arriverà finalmente lui, il despota? Verrà a riportare l’ordine? Ed eccolo, quasi invocato: il prossimo despota sale sulla pedana, sorridendo benevolo: «Cittadini! Lasciate che vi chiami cittadini anche se tutti sappiamo che siete sudditi, ma io vi chiamerò cittadini per risparmiarvi un’inutile umiliazione». Acclamato dal popolo attraverso lo schermo, il tiranno sorride da spazi temporali distanti, cristallizzati. Non conosce il dolore dell’uomo comune. Ne elogia le idee, i termini, le azioni. «Ma», aggiunge: «Come mai, a dispetto di tutte le vostre teorie e utopie, siete ancora qui, a spezzarvi la schiena per servire un anonimo padrone? Non siete voi che avete scelto me, sono io che ho scelto voi. E dire che avreste le chiavi per aprire le porte della libertà: ma è la vostra natura a imporvi la sottomissione.»
Il popolo applaude, la guerra è finita. Un nuovo tiranno ha occupato il trono vacante. Il despota balla, si profonde per il popolo in numeri da saltimbanco, prendendosi gioco di lui. Tutti applaudono. Questo è il miglior discorso alla nazione. La guerra è finita. E poi, cosa più importante, sta smettendo di piovere.

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foto: © Iacovelli – Zayed / Spot the Difference

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Politeama
Lungo Molo del Greco – Viareggio
martedì 3 dicembre, ore 21.15

Discorsi alla Nazione
Uno spettacolo presidenziale
di e con Ascanio Celestini
suono Andrea Pesce

Il prossimo appuntamento con la Stagione di Prosa del Comune di Viareggio è:
c/o Teatro Politeama
martedì 17 dicembre, ore 21.15
Giorgio Pasotti in:
Pinocchio. Opera Rock
scritto e diretto da Giovanni De Feudis
musiche di The Doors, The Beatles, Queen, Deep Purple, Pink Floyd e Radiohead