Peccato capitale

metastasio-pratoTre giorni di sold out al Metastasio di Prato per la Divina Commedia secondo Eimuntas Nekrošius.

In sala sono palpabili l’attesa e l’aspettativa per la messa in scena del testo fondamentale della letteratura italiana di un regista – definito “leggendario” nelle note di presentazione – al cui nome è ormai associata una indiscussa capacità “visionaria” e “prospettica”; qualità, quest’ultime, apparentemente ideali per “incontrare” la Divina Commedia – cantica magnificamente sfaccettata e metaforicamente polisemica.
Interminabili, come noi del Bel Paese ben sappiamo, sono le parafrasi e le interpretazioni (a volte anche alternative, per esempio sul valore interamente allegorico o meno dei personaggi citati) del capolavoro dantesco, una sorta di divertissement tra “dotti” che, senza sminuirne la portata storico-artistica, appassiona e impreziosisce il dibattito culturale.
La sfida raccolta da Nekrošius non è indifferente né all’obiettivo (mettere in scena i primi due canti della Commedia con originalità scenica e, contemporaneamente, aderenza di significato), né alla platea (il pubblico con il quale si confronta è, infatti, non solamente italiano ma – a Prato – precisamente toscano). Siamo consapevoli, dunque, che al regista lituano si chieda di portare a termine un'”impresa titanica”, rispetto alla quale il “talento fantastico” che gli si attribuisce è, di sicuro, una tra le carte vincenti in suo possesso.
Venendo allo spettacolo, se l’inizio frenetico conferma da subito la cifra stilistica di Nekrošius (il grande dinamismo attoriale), è lo stesso regista a “dichiarare”, con la presenza di un narratore-messaggero interno a supporto della “comprensione” di ogni canto appena terminato (nello specifico, un improbabile postino), come il riferimento non sia affatto quel pubblico italiano bene o male smaliziato nel confronti dell’opera del sommo poeta, ma uno spettatore “generico” sostanzialmente a digiuno della sua epopea attraverso i regni dell’oltretomba.
Una scelta, questa, netta e progettuale in direzione della semplicità e della cifra “scolastica” su cui, inevitabilmente, andranno a “(ri)cadere” anche aspetti ben più sostanziali dell’incedere narrativo dello spettacolo, creando condizioni di criticità tali da condizionare tutte le quasi quattro ore di messa in scena – quali le infelici scelte relative all’accompagnamento musicale, alternativamente dal vivo e registrato, genericamente scontato, e l’assenza di una caratterizzazione forte delle atmosfere specifiche delle Cantiche, costantemente declinate nell’asettico e nel “didascalico”.
Sul palco vediamo così alternarsi un nutrito gruppo di attori – i 14 membri della compagnia Meno Fortas (fondata dallo stesso regista, di cui porta in scena le produzioni in giro per festival, senza avere una sede fissa), la cui recitazione, pur in ossequio alla ricerca di snellezza “plastica” e profondità simbolica chiesta da Nekrošius, sembra fin da subito inadeguata sia nella resa vocale (eccessiva e urlata), sia nell’organizzazione degli spazi “coreografici” (confusa tanto quanto la presentazione in ordine sparso dei Canti scelti del Purgatorio).
La stessa resa simbolica lascia perplessi con alcune figure costrette a un collocamento tanto inedito quanto improponibile. Se Beatrice (Ieva Triskauskaité), fuoriluogo nell’essere muta e bella come una Barbie (è al contrario un “im-bambolato” Dante che, in Vita Nova, non ha il coraggio di risponderle perché “Tanto gentile e tanto onesta pare | la donna mia, quand’ella altrui saluta | ch’ogne lingua devèn, tremando, muta”), mostra buon eclettismo nel canto, nel violino e nella danza, l’elegante e sbarazzino Virgilio (Vaidas Vilius), strappato dal ruolo di “salda” allegoria della ragione che Dante esalta nell’imitatio e nell’emulatio, è “convertito” in guida priva di lucidità e maestro “isterico” incapace di ascendente nei confronti del proprio prescelto.
La stessa rappresentazione delle anime dei dannati o dei peccatori in fase di redenzione, nella forzata coerenza scenografica e dei costumi (la prima rimane assurdamente la stessa nonostante il cambio di Cantica, i secondi variano impercettibilmente e per lo più nei caratteri cromatici di Beatrice), lungi dal costruire una comunanza simbolica tra il dolore dei vivi e la nostalgia dei morti, sembra essere epifenomeno drammaturgico di uno spettacolo privo di ritmo e variazione.
Se il finale con Dante e Beatrice sul soglio del Paradiso – e, quindi, vicinissimi ma distanti – converge visivamente – e inopportunamente – con il drama delle telenovelas (i baci che i due non riescono a darsi direttamente, nonostante la loro volontà favorevole, sono trasportati tramite l’intromissione di un terzo personaggio), lo spettacolo, per “concetto” inopinatamente orfano del fascino metrico e stilistico dell’opera originaria (la formula di terzine incatenate di versi endecasillabi chiamata, non a caso, terzina dantesca), sconta complessivamente l’essere “vittima” di una sostanziale e ricercata complessità registica che poi risulta, paradossalmente, elementare e impersonale (per questo didascalica) nei suoi rimandi semantici e visivi.
Sorge spontaneo, a questo punto, un interrogativo, nel caso di simili naufragi drammaturgici, soprattutto essendo alle prese con un personaggio di livello planetario i cui lavori sono – giustamente – considerati pietre miliari del teatro contemporaneo; ovvero, quanto l’interpretazione di tali esiti possa dipendere da una mancanza “ermeneutica” del critico e/o quanto da una effettiva “caduta” del regista. Il dilemma rimane ovviamente irrisolto, ma il fatto che tale regista sia lo stesso di capolavori poliedrici e impegnativi come Amleto induce (chi scrive) a pensare che il fatto di chiamarsi Nekrošius costituisca una responsabilità maggiore, un motivo in più di rivendicazione di qualità da parte dello spettatore. Spettatore che non potrà che rimanere – giustamente – disorientato di fronte alla superficialità di questa Divina Commedia, spinta a un livello di scolasticità tale da disperdere l’omogeneità stessa dei canti danteschi.
Ingiustificabile.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Metastasio

via B. Cairoli, 59 – Prato
21/24 marzo
orari: feriali, ore 20.00 – festivo, ore 16.00
spettacolo in lingua lituana con sopratitoli in italiano

Spettacolo in esclusiva per la Toscana
Divina commedia
di Dante Alighieri
regia Eimuntas Nekrošius
scene Marius Nekrošius
costumi Nadežda Gultiajeva
con Rolandas Kazlas, Vaidas Vilius, Darius Petrovskis, Simonas Dovidauskas, Marija Petraviciuté, Beata Tiškevic, Julija Šatkauskaité, Ieva Triškauskaité, Milda Noreikaité, Pijus Ganusauskas, Vygandas Vadeiša, Paulius Markevicius, Audronis Rukas, Remigijus Vilkaitis
una produzione Compagnia Meno Fortas
con la co-produzione di Teatro Pubblico Pugliese, International Stanislavsky Foundation, Moscow Baltic House Festival, St. Petersburg Lithuanian National Drama Theatre
in collaborazione con il Ministero della Cultura Lituano e Aldo Miguel Grompone