La corazzata Under 25

Federica Guerra, Chiara Girardi, Antonello Cirulli, Daniela Iallorenzi
Ammettiamolo, il sottosuolo culturale romano (e non solo) è in fermento. Un vento innovatore e propositivo investe la capitale e a dare un contributo imponente sono stati il Teatro Argot e il Teatro dell’Orologio, che con la stagione congiunta Dominio Pubblico non solo hanno proposto spettacoli nuovi e (quasi sempre) freschi, ma hanno dato vita a un progetto forse unico nel suo genere, almeno in ambito romano.

Si tratta di Under 25: Persinsala ha incontrato i giovani ed effervescenti ragazzi che partecipano al progetto, occupandosi di ogni aspetto legato alla realizzazione di parte di una stagione teatrale nella durata breve di una settimana: quella dal 14 al 19 aprile che proprio gli Under dovranno interamente e autonomamente organizzare. Da un’intervista strutturata nella canonica serie di domande è nata una chiacchierata emozionante ed entusiasmante, che rivela una gioventù estremamente positiva, propositiva, vogliosa di darsi da fare e di mettersi in gioco ma anche sorprendentemente matura, consapevole e responsabile.
Molti spunti di riflessione sono offerti da quello che ci hanno raccontato quattro di loro: Daniela, Federica, Chiara e Antonello. Proprio con loro inzierà una serie di interviste alla scoperta dell’intera struttura di Under 25.

Per iniziare raccontateci in cosa consiste il progetto a cui state lavorando: come nasce e qual è l’obiettivo finale?
Daniela Iallorenzi: «Il progetto All In – chiamata alle Arti nasce all’interno della rassegna artistica Dominio Pubblico condivisa tra Teatro Argot e Teatro dell’Orologio: ci viene passato il testimone per organizzare in maniera autogestita la programmazione artistica della settimana che andrà dal 14 al 18 aprile. Siamo un gruppo eterogeneo composto da 25 ragazzi che si sono conosciuti qui per la prima volta, veniamo da ogni parte d’Italia e abbiamo una formazione varia: architetti, fisici, attori, ma ci accomuna la passione per il teatro e l’arte in genere. Questa caratteristica ci ha permesso di creare un bando di selezione per gli artisti che prenderanno parte a All In, non restrittivo nei confronti del teatro, ma che comprenda anche il cinema, la danza, le arti figurative, intendendo scoprire quella che è la realtà italiana giovane e nascosta, a noi contemporanea.
L’obiettivo è quello di creare, in quella settimana, una rete di composizione delle arti. Per dare concretezza al progetto inizialmente ci siamo dati delle parole chiave: interazione, scoperta e gioco.
Ѐ semplice, genuino, poco sovrastrutturato perché anche noi, data l’età, siamo poco sovrastrutturati.»

Come e attraverso quali canali siete venuti a conoscenza di questo progetto? Cosa vi ha spinti a partecipare e quali sono le motivazioni (visto che siete un gruppo eterogeneo, composto anche da chi frequenta facoltà scientifiche, a riprova di come tali discipline e quelle umanistiche abbiano bisogno le une delle altre)?
Chiara Girardi: «All’inizio la parte divertente è stata proprio quella di scoprire le svariate provenienze, chi dalla facoltà di fisica, chi dal Dams, ed è stato interessante vedere come poi le diverse esperienze fatte fino ad ora, limitate nella quantità visto che siamo tutti under 25, ci portino a una selezione, a un confronto sempre molto vivaci. Abbiamo gusti molto diversi e lo riscontriamo nel momento della selezione artistica in particolare, ma anche quando andiamo a vedere gli spettacoli e poi ci confrontiamo con le compagnie stesse. Questa – che è una delle possibilità che ci è stata offerta da Dominio Pubblico – è personalmente una delle cose che più mi aveva interessata all’inizio, oltre alla parte creativa e dell’organizzazione teatrale, che mi aveva sempre incuriosita.»
Daniela Iallorenzi: «Il teatro non viene compreso fino in fondo, perché sembra non vada a tangere coloro che prendono strade diverse rispetto a una formazione prettamente artistica. Ma il teatro è ovunque: è lo spazio, la condivisione, il numero, la reazione, non è soltanto la performance a livello attoriale, ma è un insieme di componenti che creano un tutto armonico. Su tutto ciò si può giocare, renderli dei punti di forza e capire come è meglio unire tutte queste arti in un’unica giornata e poi in questa settimana.
Questo è sicuramente un altro aspetto che ci ha spinti a metterci alla prova.»

Come organizzate il lavoro in gruppo: vi autogestite in tutto? Avete periodici incontri di auto-valutazione o valutazione esterna di quanto state facendo?
(TUTTI) «In linea di massima tutti ci impegnamo ad acquisire competenze in tutti i settori, questo emerge particolarmente per quel che riguarda la selezione degli spettacoli: ognuno di noi ci tiene a dare il proprio contributo personale, amalgamandolo a quello degli altri. Per ottimizzare i tempi, però, ci siamo dati una divisione dei compiti che non è mai rigida. Si crea così una formazione per noi che investe ogni settore, e possiamo prendere sempre spunto un dall’altro.
L’impegno che richiede un lavoro di questo tipo ci vede coinvolti in almeno un paio di incontri a settimana e deve essere condiviso da tutti: per ogni decisione si lavora in team ed è necessario il confronto fra tutti i componenti del gruppo. Siamo partiti in cinquanta e ora ci ritroviamo in circa venticinque: c’è stata una sorta di “selezione naturale”, coloro che hanno deciso di non proseguire si sono ritenuti non adeguati al progetto semplicemente perché non potevano assicurare un costante impegno fisico e soprattutto mentale, che ti coinvolge anche al di fuori dei singoli incontri.»

Nella formazione siete stati affiancati dallo staff sia del Teatro Argot che del Teatro dell’Orologio. Vi hanno guidato, consigliato rispetto a tutte le figure (per intenderci dall’ufficio stampa al marketing, dalla promozione alla comunicazione)? 
Antonello Cirulli: «Tutti i direttori dei due teatri ci hanno affiancato e sostenuto dandoci i loro contatti, permettendoci comunque di partire da una base piuttosto solida. Sono sempre presenti soprattutto per la parte tecnica vera e propria, ma mai invadenti. Ci hanno fatto quasi da genitori, sono stati d’appoggio e per le necessità ci hanno aiutato, ma hanno voluto lasciarci liberi: proprio come nella vita di tutti i giorni, il concetto è che arrivato a una certa età poi vai avanti da solo.
La gran parte attiva del lavoro però l’abbiamo fatta noi, contattando sponsor e non solo, telefonicamente, via mail, e abbiamo presentato il nostro progetto, che ha suscitato molto interesse. Ci autofinanziamo e cerchiamo di trovare quel minimo almeno per assicurare un rimborso spese alle compagnie che parteciperanno.»

A proposito delle compagnie, quali sono i criteri di valutazione che avete utilizzato sia per la costruzione del bando che per la selezione vera e propria?
(TUTTI) «Nelle votazioni siamo sempre molto attenti a non avere delle implicazioni personali per mantenere il più possibile un criterio di oggettività, la stessa che vorremmo poi ritrovare anche nella vita di tutti i giorni, in ambito universitario, lavorativo e non solo.
Trattandosi di una rassegna rivolta a far emergere i talenti under 30, il limite anagrafico è l’unica vera restrizione che ci siamo imposti, oltre poi a valutazioni di ordine tecnico basate sia sulle caratteristiche di adattabilità dello spettacolo alla particolarità di due teatri come l’Argot e l’Orologio, che sul tipo di pubblico che di solito frequenta queste realtà, ovvero spettatori abituati a trovare sempre il nuovo, il diverso, che non si accontentano facilmente.
Non solo gusto estetico quindi ma anche di sostanza.»

Da quando avete iniziato, quali sono state le difficoltà più complesse da gestire, considerato anche che siete anche molte teste da mettere d’accordo?
Antonello Cirulli: «La difficoltà grande non è tanto nelle singole cose pratiche da svolgere, perché quelle alla fine si riescono a fare, anche se non vi nascondiamo che inizialmente l’idea di dover scrivere un bando ci ha messi in crisi. Ma ci siamo documentati, ne abbiamo letti altri e man mano che lo scrivevamo emergevano le differenze tra le nostre formazioni: il matematico attento alle statistiche, la fisica più scrupolosa, l’architetto che puntava più sulla parte estetica e la cosa bella è il risultato finale che raccoglie il contributo di tutti. La parte in effetti più complessa è stata iniziare a creare un rapporto tale da poter arrivare a lavorare in gruppo e non avere solo i singoli. La soluzione viene anche in automatico, nel dover affrontare questioni problematiche e nel dover prendere decisioni: è in questi momenti che si capisce che questo è un progetto che serve per far vedere quale sia la linea generale della nostra generazione, e non per far emergere il singolo. Quando emergono opinioni differenti dal gruppo si cerca anche di capire perché il gruppo la pensa diversamente e questo porta a una crescita personale, quindi il grosso è stato il dover evolvere all’interno del gruppo stesso.
Avevamo bisogno di capire dove volevamo andare, cosa volevamo da questa settimana e quindi trovare delle parole chiave che ci accompagnassero per tutto il percorso e anche nella selezione. Partendo da idee singole, le abbiamo smussate secondo l’interesse generale, dobbiamo tener conto di un ideale di gruppo.»

Dunque visto che ce ne state parlando, la domanda è d’obbligo: dove volete andare come gruppo?
Daniela Iallorenzi: «Siamo stati molto fortunati ad avere questa grande possibilità con due fra i teatri più importanti a Roma, ed è anche una grande responsabilità. Credo di poter dire che la stiamo gestendo al meglio perché da singole individualità siamo diventati un gruppo armonico, con tutte le discussioni del caso giustissime e sane, ma adesso sappiamo che ci stiamo muovendo tutti verso uno stesso obiettivo, quello di passare il testimone a qualcun altro, in fondo la stessa opportunità che abbiamo avuto noi la diamo ai nostri coetanei. È una forma di riconoscenza e di fiducia nei confronti della nostra generazione. D’altra parte chi meglio di un “under 25” può sapere e comprendere il disagio e la voglia di fare di un coetaneo?»
Federica Guerra: «Ricevere il materiale che ci è stato inviato dalle compagnie teatrali, così come da cantanti e ballerini, ci ha dato una forte emozione e ci ha fatto capire che potremmo realmente scoprire nuovi talenti che altrimenti non riuscirebbero a trovare uno spazio adeguato per dar voce alla loro “urgenza”. Vedi i sogni delle persone e ti rendi conto che non esistono solo i “grandi vati”, ma tanti giovani talenti. È una visibilità forse più pulita rispetto a quella che possono offrire, ad esempio, i canali televisivi: c’è un rapporto diretto col pubblico e quindi un riscontro meno filtrato.»

Dopo questa esperienza, pensate di continuare a collaborare con gli altri, di dare continuità a quanto state portando avanti in gruppo o sapete già che procederete individualmente?
Antonello Cirulli: «Non abbiamo un vero e proprio termine perché visto il rapporto che si è creato, anche una volta esaurita l’esperienza della rassegna, sicuramente molti di noi andranno avanti insieme anche se a piccoli gruppi. Nulla toglie che si possa ripetere l’esperienza negli anni futuri.
Già una ragazza del nostro gruppo ha trovato lavoro come organizzatrice teatrale per una compagnia emergente. Ma questo è soltanto l’inizio!»

Uncut: considerazioni finali di una chiacchierata.
Antonello Cirulli: «Spesso ci si lamenta che c’è poco teatro, in realtà ci sono pochi teatri grandi, mentre il grosso del fermento lo devi andare a cercare nel sottosuolo, ma quando lo trovi è una grande soddisfazione. Forse uscire dalla realtà del “piccolo” in parte nuoce all’arte, iniziano i problemi dei costi e delle responsabilità e non è facile con tutti i problemi burocratici che ci sono riuscire ad ottenere una grande produzione, ci riesce qualcuno però tantissime buone idee restano confinate nell’ombra perché manca l’impalcatura per andare oltre.»