La tragedia dell’individuo e quella dei popoli

Dal 1887 rappresentato solo 8 volte a Genova, il Carlo Felice propone al suo affezionato pubblico una grandiosa coproduzione del Don Carlo di Giuseppe Verdi, con un’apprezzata regia tradizionale di Cesare Lievi. Come il teatro ha dedicato questa messinscena al grande soprano Daniela Dessì prematuramente venuto a mancare, sembra giusto anche a noi dedicare a lei – interprete in passato del ruolo di Elisabetta di Valois sotto la direzione di grandi maestri – questa recensione.

Successo di applausi e acclamazione assoluta per il Grand-Opéra del Bussetano composto tra il 1864 e il 1865 su libretto di Joseph Méry e Camille du Locle tratto dalla tragedia di Friedrich Schiller. Ambientazione storica per il dramma che colpisce il giovane Don Carlo, vittima delle vessazioni della Spagna aristocratica e cattolica di fine cinquecento.

Nell’antefatto (presente come atto I nella versione del ’65 ma eliminato nelle revisioni successive, poi culminate nella soluzione del 1884 ridotta di un atto, passando da cinque a quattro complessivi) Don Carlo, infante di Spagna, incontra Elisabetta di Valois a Fontainebleau e subito se ne innamora corrisposto. Il re di Francia, tuttavia, concede la mano della donna al padre di Carlo, il re di Spagna Filippo II.
Il sipario si alza e ci proietta in un’atmosfera cupa e grave, con la visita di Carlo (Aquiles Machado, tenore) alla tomba dell’omonimo antenato, scenario ricreato grandiosamente e con tale semplicità da rendere elegante e raffinato un luogo di culto come questo: pareti di marmo grigio, corona d’alloro, epigrafe d’oro e pochi inginocchiatoi. Sin da questo momento, l’importanza del coro nell’ottica verdiana di stereofonia (contrasto esterno-interno) è evidente: possiamo sentire lo spirito del radicale cattolicesimo spagnolo dalle voci dei frati che pregano alle spalle dell’avello regale dell’Escorial.
Nel primo atto incontriamo i quattro protagonisti: Carlo, Rodrigo (Franco Vassallo, baritono), Filippo II (Riccardo Zanellato, basso) e Elisabetta (Svetla Vassileva, soprano). Alla vista di quest’ultimi, Carlo è abbattuto dallo sconforto e insieme all’amico Rodrigo decide di far sapere all’amata che il sentimento verso di lei arde ancora. Nella seconda parte siamo proiettati nei giardini in cui sta per giungere Elisabetta. Ci introduce in questo luogo la maestosità del coro femminile con Sotto ai folti, immensi abeti tra cui spiccano la voce della principessa Eboli (Giovanna Casolla, mezzosoprano, che da qui in avanti ci ipnotizzerà con gorgheggi e un perfetto canto immediato de Nei giardin del bello saracin ostello) e quella di Tebaldo (Marika Colasanto,soprano). Il coro è tutto in scena, le dame sono vestite di nero e, come se avessero dei fari atti a dar luce, portano tra le mani dei fiori bianchi. Giunge la regina che, di lì a poco, verrà raggiunta da Rodrigo e da Carlo i quali, duettando Io vengo a domandar grazia alla mia Regina, organizzeranno nei giorni successivi un incontro tra i due amati.
Nel secondo atto la trama si infittisce poiché Carlo ha un incontro con una dama nel duetto Sei tu, bella adorata in cui crede che essa sia Elisabetta ma, invece, è la principessa Eboli, innamorata di lui, la quale, venuta a conoscenza dei veri sentimenti dell’infante, decide di vendicarsi.
Arrivato Rodrigo nel tentativo di placare le ire con la donna nel duetto Che disse mai! Egli delira, la scena si conclude con un complesso e ben orchestrato terzetto Al mio furor sfuggite invano. Ma siamo ormai alla conclusione dell’atto, arrivano Filippo, i ribelli fiamminghi, i frati ed il popolo e in un’eccellente e ipnotica coralità, cantano d’insieme Spuntato ecco il dì d’esultanza (il popolo), quindi Il dì spuntò, dì del terrore (i frati), Schiuse or sieno le porte del tempio! (l’araldo con il coro). E nel finale, dichiarato Rodrigo duca dal re, Filippo, Elisabetta, Rodrigo, Carlo, Tebaldo, i frati, i fiamminghi e il popolo faranno calare il sipario tra tinte rosse di fuoco e d’inferno con Nel posar sul mio capo la corona.

Con il terzo atto, la grande capacità vocale del re viene espressa nella scena Ella giammai m’amò!… Quel core chiuso è a me e,  soprattutto, da uno tra i più commoventi cantabili del repertorio operistico, Dormirò sol nel manto mio regal, come dimostra lo scrociare di applausi che segue la conclusione del pezzo.

L’atto si svolge in rapidità con l’arrivo dell’Inquisitore, la scoperta dell’amore tra Carlo ed Elisabetta per colpa di Eboli Gelosa, l’arresto di Carlo considerato sovversivo e la sua scarcerazione grazie all’amico Rodrigo che nella conclusione verrà assassinato morendo poiché Per me giunto è il dì supremo, tra le braccia del fraterno amico.
Ultimo atto, il quarto, chiude l’opera con una soluzione degna di una tragedia. Dinanzi al sepolcro del defunto re Carlo, si ritrovano in una conclusione circolare tutti i personaggi.
Elisabetta prega, Carlo le annuncia che si recherà in Fiandra per affermare gli ideali di libertà, Filippo e il Grande Inquisitore irrompono, credendo i due amanti colpevoli di adulterio accusandoli Per sempre! e con la richiesta di Filippo Io voglio un doppio sacrifizio!. Carlo sta per essere arrestato ma la tomba dell’avo si apre e trascina con sé l’infelice infante.

È senza dubbio un’opera davvero complessa, ma il pubblico risulta affascinato dalla regia attenta e precisa che si sviluppa grazie alla coordinazione delle incredibili e ben progettate scene. C’è precisione descrittiva in ogni elemento, c’è ricchezza di dettagli e coscienza filologica come dimostrano i costumi di Maurizio Balò, espressione della Spagna cinquecentesca. Il cromatismo è il punto focale di costumi, di scene e luci: c’è perfetta attenzione nelle creazioni di contrapposizioni di colori, di luci e di ombre.
Ai cantanti tutti vanno fatti applausi sia per doti canore che per capacità recitativa: tutti i singoli sanno perfettamente muoversi nel vuoto delle scene (presentano tutte infatti ampi spazi di movimento). Per quanto concerne il canto, nulla da sottolineare se non la bravura e la precisazione di tutti i protagonisti, mentre grandiosa la direzione musicale del Maestro Valerio Galli che non sbaglia un colpo (di bacchetta).

«Dormirò sol nel manto mio regal quando la mia giornata è giunta a sera, dormirò sol sotto la vôlta nera là, nell’avello dell’Escurïal»
Filippo II re di Spagna Atto III, Scena I

Lo spettacolo continua
Teatro Carlo Felice

Passo Eugenio Montale 4, Genova
fino al 2 maggio, ore 15.30

Don Carlo
di Giuseppe Verdi
Grand-Opéra in 4 atti su libretto di Joseph Méry e Camille du Locle
regia di Cesare Lievi
con
Riccardo Zanellato – Filippo II
Aquiles Machado – Don Carlo, Infante di Spagna
Franco Vassallo – Rodrigo, Marchese di Posa
Svetla Vassileva – Elisabetta di Valois
Giovanna Casolla – La principessa Eboli
Marco Spotti – Il Grande Inquisitore
Mariano Buccino – Un frate
Marika Colasanto – Tebaldo
Didier Pieri – Conte di Lerma
Silvia Pantani – Voce dal cielo
Ricardo Crampton, Ettore Kwanghyun Kim, Roberto Maietta, Enrico Marchesini, Stefano Marchisio, Daniele Piscopo, Stefano Rinaldi Miliani – Deputati fiamminghi
direttore d’Orchestra Maestro Valerio Galli
assistente alla regia Ivo Guerra
scene e costumi Maurizio Balò
assistente ai costumi Marianna Carbone
luci Andrea Borelli
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice
Maestro del Coro Franco Sebastiani
in coproduzione tra Fondazione Teatro Carlo Felice, Fondazione Teatro Regio di Parma e Auditorio de Tenerife Adán Martìn
durata 210′ con intervallo