Battezzata nel sangue

teatro-verdi-pisaDon Giovanni apre il cartellone lirica del Teatro Verdi di Pisa. Un sold out che fa ben sperare per l’intera Stagione.

Si ricomincia, puntuali all’incontro. La Stagione attende, le braccia da amante dischiuse.
E che amante. Don Giovanni è il primo, poi si vedrà.
Sabato 11 ottobre, tutto esaurito al Teatro Verdi. C’è un tale clamore che a stento si sosta per i corridoi, mentre ogni possibile strato sociale si accalca verso la sala gremita. Tutto risplende, la notte ribolle di aspettative e, preso il nostro posto in questo firmamento di gioielli e schermi di portatili, non possiamo asserire che tutte siano state soddisfatte. Certo, nessuno si è smentito: ci hanno promesso arte e arte abbiamo avuto, e delle più sublimi. Ma procediamo con ordine.
Come già detto, Don Giovanni: imperituro, dibattuto, irrefrenabile personaggio, il cui mito affonda le radici nel lontano 1630, quando la sua voce ancora non si scioglieva nel canto. Dalla Spagna affocata fino alla Francia di Molière, passando per le piazze italiane, l’ambigua figura ha sfilato sotto il fuoco incrociato di ogni sorta di pubblico – moralista o dissoluto, sprezzante o ammirato, andando ora verso il pentimento, ora verso la morte sdegnata che tutti conosciamo bene. Dunque, applausi in partenza: confrontarsi con un simile colosso non è facile.
Nulla da eccepire sull’esecuzione musicale, né sulle voci che si sono prestate all’impresa. La sua ouverture, i primi colpi di corda che la musica dà al Don Giovanni, è qualcosa di eloquente, sebbene sussurrante nel suo dire: parliamo della dicotomia tra re minore e re maggiore – per un profano un niente, per un devoto tutto. Perché nel 1787, quando quel motivo scaturisce per la prima volta e facce incipriate si piegano in avanti sventolando piume, allora tutti capiscono, proprio tutti: è chiaro come un guizzo di pesce sul limitare dell’acqua, chiunque decodifica dentro di sé quel tono greve ed esitante. Quel re minore parla e pronuncia morte. Questo Don Giovanni che si appressa all’uomo seduto in sala senza parlare, senza porgere mani né saluti, mostra un foglio d’invito: ma a un funerale. Il Don Giovanni ha per ouverture una marcia di morte. E poi così, quasi a tradimento, ecco esplodere la vita – ecco il re maggiore. Era forse un sogno? Applausi all’orchestra.
I personaggi – questo crogiolo umano dal quale si potrebbe estrarre, col gesto del prestigiatore, ogni brandello di mondo – sono ben caratterizzati. Il maggiore apprezzamento, a sentire le gradazioni dell’applauso, va ad Andrea Concetti, quel Leporello che è forse, dopo il nostro licenzioso eroe, la più complessa figura psicologica del dramma. Obbediente alla gerarchia impostagli dalla regola, il servitore di Don Giovanni occupa, assieme a Masetto e Zerlina, il gradino più basso della scala ed è relegato al ruolo di personaggio buffo. Ma nessuno, in quest’opera, è semplicemente quello che dovrebbe essere. Tutti, a loro modo, inseguono una pretesa di trasgressione. Abbiamo, quindi, un Leporello che sdegna il padrone, sebbene lo ami. Mai si potrà negare la sua partecipazione emotiva a ogni vicenda, a ogni ostentazione, a ogni beffa mal riuscita. Limpido, edonista, più presente dello stesso protagonista, Leporello si mostra come il lato opposto della luna, una luna che pare tagliata in due, amputata, con un lato che non può abbandonare l’ombra confortante. Una simbiosi inspiegabile lega il frenetico, malato eroe al suo servitore, l’uno trasmutante, capace di inserirsi in tutti i registri, senza limiti gerarchici: ora il tragico di Anna e Ottavio, ora il comico dei ceti bassi; e l’altro, l’autentico pubblico, l’unica vestigia di tante glorie. Forse anche più di un testimone interiore, quasi coscienza o subconscio dello stesso protagonista. Se altri non gli parlassero, si potrebbe giurare che Leporello esiste soltanto nella mente del suo padrone. Calorosi applausi per entrambi.
Altra interprete di spicco è Agata Bienkowska, alias Donna Elvira. Sedotta e abbandonata, Elvira è a tratti personaggio patetico, a tratti feroce. I suoi ingressi, sempre brutali e destabilizzanti, sono supportati, oltre che da una voce incredibilmente potente, anche da un’interpretazione intensa, statuaria, capace di catalizzare su di sé lo sguardo del pubblico. Un suo gesto, anche minimo, provoca l’effetto di un manrovescio. Difficile distogliere gli occhi dalla sua mano protesa.
A livello scenografico, al contrario, notiamo alcune problematiche. Innegabilmente bellissima la composizione della scena attira, nei primi minuti, per l’accuratezza del dettaglio, l’eleganza della scalinata e dei pilastri, regalando la sensazione di essere di fronte a una finestra spalancata sull’incanto. Troppo. Sebbene sia accattivante, l’apparato scenografico è poco funzionale. Anche a livello semantico, la scelta non convince: dramma vorticoso e frenetico, Don Giovanni richiederebbe una scenografia altrettanto cangiante. In arte determinate scelte si presentano e il regista ha preso la sua decisione: il risultato è esteticamente valido, ma difficilmente comprensibile per il pubblico che, a tratti, non riesce a raccapezzarsi sull’ubicazione degli eventi: che dire, ad esempio, della scena in cui Zerlina, che a sentire il libretto dovrebbe trovarsi nel giardino di Don Giovanni, asserendo di volersi nascondere tra gli alberi, sul palcoscenico non trova nulla di più adeguato dell’onnipresente colonna laterale? Non è realistico – né giustificabile da una prestazione attorale antinaturalistica – sentir definire “arbore” un pilastro. Ancora una volta: bellissimi i dettagli, ma decisamente ingombranti.
Avvolgenti i giochi di luci, anche se i colori dei costumi scompaiono alla vista e si confondono – per fare un esempio: gli abiti dei contadini irrealisticamente troppo chiari, in un’atmosfera pallida e assolata, non spiccano a sufficienza nella scena. Molto suggestivi, al contrario, i costumi di Donna Elvira e il rosso mantello che Don Giovanni e Leporello si scambiano nel secondo atto.
Ardita, infine, e da dibattere la comparsa della statua del Commendatore. Laddove la tradizione è solita disporre l’effige inanimata del nobile ucciso, il regista cerca di infrangere le regole servendosi fisicamente dell’interprete: “con tutti i rischi di caduta nel ridicolo che porta con sé una statua che si muove, cammina e parla” (M. Lippi). D’altronde una presenza umana può conferire a questa figura, già di per sé tremenda, un ulteriore pathos. Ma quale concitazione è lecito attribuire a un trapassato? Lasciamo aperto il dibattito, che è troppo ampio per essere liquidato nello spazio di una recensione. Poco felice anche la scelta drammaturgica di far rovinare l’eroe (rovina nel senso letterale, spaziale del termine) verso l’alto, anziché verso il basso. La bocca dell’inferno, i cui echi sono evidenziati dai getti di vapore e da colpi di lampo improvvisi, è posta in cima alla gradinata. Questo significa che Don Giovanni è costretto a salire, trascinato da un Commendatore che, a tratti, sembra quasi aiutarlo nell’ascesa, per poi ridiscendere. Ne comprendiamo la funzionalità, vista la scenografia – e lo possiamo anche considerare espediente valido per uscire dal trito cliché – ma nell’insieme il risultato lascia perplessi e semanticamente non convince.
Ultimo canto. Sipario. Applausi calorosi per l’opera e per l’apertura della nuova Stagione teatrale.

foto di Massimo D’Amato, Firenze

Dida:
>> 1 da sx Panajotis Iconomou (Don Giovanni), Riccardo Ferrari (Commendatore), Andrea Concetti (Leporello)
>> 2 Agata Bienkowska (Donn’Elvira), Panajotis Iconomou (Don Giovanni), Andrea Concetti (Leporello)
>> 3 Silvia Dalla Benetta (Donn’Anna) e Blagoj Nacoski (Don Ottavio)
>> 4 da sx Panajotis Iconomou (Don Giovanni),Andrea Concetti (Leporello), Daniele Piscopo (Masetto), Lavinia Bini (Zerlina)
>> 5 al centro Andrea Concetti (Leporello); dietro, da sx Silvia Dalla Benetta (Donn’Anna), Blagoj Nacoski (Don Ottavio), Agata Bienkowska (Donn’Elvira), Lavinia Bini (Zerlina), Daniele Piscopo (Masetto)
>> 6 Lavinia Bini (Zerlina), Daniele Piscopo (Masetto)
>> 7 Panajotis Iconomou (Don Giovanni), Andrea Concetti (Leporello)
>> 8 Andrea Concetti (Leporello), Panajotis Iconomou (Don Giovanni)
>> 9 Riccardo Ferrari (Commendatore), Panajotis Iconomou (Don Giovanni)
>> 10 Finale

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Verdi di Pisa

sabato 11 ottobre, ore 20.30
domenica 12 ottobre, ore 16.00

Il Dissoluto Punito, ovvero Don Giovanni
musica Wolfgang Amadeus Mozart
libretto Lorenzo Da Ponte

regia Enrico Castiglione
assistente alla regia Lorenzo Maria Mucci
direzione d’orchestra di Francesco Pasqualetti – Orchestra Della Toscana – Coro Ars Lyrica
maestro del coro Marco Bargagna
disegno luci Enrico Basoccu

Personaggi e interpreti:
Don Giovanni: Panajotis Iconomou
Leporello 11 ottobre: Andrea Concetti; 12 ottobre: Andrea Patucelli
Donna Elvira: Agata Bienkowska
Donna Anna: Silvia Della Benetta
Don Ottavio: Blagoj Nacoski
Masetto: Daniele Piscopo
Zerlina: Lavinia Bini
Commendatore: Riccardo Ferrari