Il sentimento della rovina di Davide Livermore

Il Teatro alla Scala propone un cinematografico e atmosferico Don Pasquale donizettiano. La regia di Davide Livermore si ama o si odia. Dal nostro punto di vista essa appare convincente e affascinante, visionaria in una trascendenza prettamente decadente.

Il Don Pasquale immaginato da Davide Livermore in questi giorni in scena al Teatro alla Scala, si apre su di una nerissima scena iniziale che coincide con gli ultimi scampoli delle esequie della defunta madre del personaggio eponimo. La sinfonia iniziale è l’occasione, per il regista torinese, per presentare ed riassumere, iconicamente, la due diverse anime, quelle di Don Pasquale e quella del nipote Ernesto. Ed ecco che la disperazione dello zio viene contrastata dalla gioia vitale del nipote e dell’amata Norina, presi da spensierate occupazioni di coppia che vengono costantemente smorzate ed interrotte dall’intervento muto della nobile e vecchia zitella inviata dallo zio.

Se la sinfonia sussume i temi dell’opera, le immagini introducono al tortuoso percorso di questo dramma buffo che rappresenta uno dei vertici dell’opera donizettiana. Riconosciamo immediatamente la patte di Livermore e dello studio Giò Forma che avevamo già apprezzato a Saint-Etienne, grazie alle strutture nerissime, funebri che, nonostante un aspetto monolitico, si aprono spaccandosi e mostrando interni polverosi e dark. Mortifera è infatti la villa di Don Pasquale che accoglie tirchieria e profitto personale, accumulo e una drammatica mancanza di vita. La villa si palesa essere una struttura centrale girevole, intelligente e particolarmente efficace, che concretizza la circolarità delle beffe e che tocca il suo punto culminante durante la rivoluzione casalinga (e gravida di vita) della fresca moglie.

La visionarietà di Livermore fa assumere a questa produzione un fascino spiccatamente cinematografico, con palesi riferimenti all’estetica del cinema italiano degli anni Cinquanta e Sessanta, tra neorealismo e commedia all’italiana. Le architetture dipinte dalla polvere del tempo si aprono su sfondi cinematografici e atmosferici (curati dal Video Design D-Wok), acuendo il gradiente inquietante delle scene (pensiamo qui, in particolar modo, alla stazione ferroviaria tipicamente fascista del secondo atto drammatizzata dalle immagini meteorologiche del fondo). Scurissimo de Chirico, Livermore attiva collisioni temporali che giungono al parossismo nella scena settima dell’ultimo atto quando la notte post-apocalittica accoglie rovine romane in via di ristrutturazione, infiltrazioni cinematografiche a stelle e strisce, brandelli di periferia e di stazioni di rifornimento in disuso. È fortissimo il sentimento della rovina che Livermore inietta in questo Don Pasquale, ma senza che questo diventi completamente mortifero. Il regista sembra avvicinarsi all’immagine di una Roma colpita dai bombardamenti ma intrinsecamente immortale. Roma non cadrà mai. E se ciò mai avverrà, il mondo la seguirà. Quando cadet Roma, eadet et Mundus.

Côté chanteurs, luci ed ombre. Ambrogio Maestri è un Don Pasquale inizialmente un po’ troppo debole. Se la voce risulta non particolarmente convincente durante il primo atto e fatica a lasciare il segno, ciò che non può passare inosservato è il suo fare irascibile, costantemente occupato a distruggere e a ribaltare tutto ciò che trova sul suo cammino. La performance di Maestri è un progressivo crescendo, che assume corpo e carattere per giungere, infine, ad una chiara promozione. Insomma, un lungo corteggiamento riconosciuto da intensi applausi.

René Barbera è un Ernesto elegante e sentimentale. Il suo Sogno, soave e casto risulta particolarmente commovente e la sua voce è in grado di conquistare e di traportare lontano. Barbara è la voce del sentimento senza che questo assuma sembianze esasperate.

Norina è interpreta da una bravissima Rosa Feola, capace di conquistare fin dalle primissime battute. Dotata di grande personalità e di un raffinatissimo apparato vocale, la Feola illumina l’opera con interventi perfetti e leggeri, che evitano ogni pericolo di personalismo. Costante, regolarissima, puntuale, nonostante sia sollecitata da più parti e si ritrovi in più occasioni svolazzante in scena, il soprano casertano resiste a tutto dimostrando una sprezzatura straordinaria.

Ottimo anche Mattia Olivieri nei panni del dottore Malatesta. Elegantissimo, egli riluce immediatamente nel confronto iniziale con Pasquale, apparendo un protagonista indiscutibile dell’opera. Corposo, costante, brioso, il baritono modenese interpreta perfettamente il ruolo del dottor, ben più di una spalla funzionale alla buona riuscita dell’obiettivo, vera e propria forza dell’opera.

Lamentiamo, purtroppo, una blanda omogeneità dei personaggi, e ciò va a discapito del piacevole godimento dell’opera. En revanche, il direttore Chailly è apparso straordinario e profondamente appassionato, probabilmente il più appassionato dei suoi. Puntuale ed elegante come sempre, il Nostro eleva l’orchestra magnificando la partitura di Donizetti.

Spettacolo visto venerdì 6 aprile 2018

Lo spettacolo va in scena:
Teatro alla Scala
Via Filodrammatici, 2 – Milano
orari: martedì 3, venerdì 6, mercoledì 11, sabato 14, martedì 17, giovedì 19, martedì 24, sabato 28 aprile e venerdì 4 maggio 2018 ore 20

Il Teatro alla Scala presenta:
Don Pasquale
dramma buffo in tre atti
libretto di Giovanni Ruffini
musica di Gaetano Donizetti
nuova produzione Teatro alla Scala
direttore Riccardo Chailly
regia Davide Livermore
scene Davide Livermore e Giò Forma
costumi Gianluca Falaschi
luci Nicolas Bovey
video Video design D-wok

Don Pasquale   Ambrogio Maestri
Norina Rosa Feola
Ernesto   René Barbera
Dottor Malatesta   Mattia Olivieri
Un Notaro   Andrea Porta

coro e orchestra del Teatro alla Scala
maestro del coro Bruno Casoni

durata: 2 ore e 35 minuti incluso intervallo

www.teatroallascala.org