Bartolini/Baronio, il teatro dello stupore

IdraUn uomo e una donna. Una vita insieme. Una scena. Anche un interno. Di casa. Di pelle. L’arrivo in palco sommesso, sordo, d’attitude. Con l’espressione disincantata, dell’età passata per sentirsi ribelli e mai approdante alla maturità riconosciuta. Riconosciuta pubblicamente. Perché c’è bisogno d’essere riconosciuti, per essere. Nell’epoca dell’esserci, con le etichette in fronte

L’espressione disincantata di chi porta il volto scoperto e ne fa da specchio, per noi, dall’altra parte a non volere essere terzi.
Il dire, in scena, è crudo, non intermittente, un ratatouille vocale drammatizzato. L’individuo emancipato dalla sua collocazione intima per incarnare memoria collettiva. Il corpo che s’abita di corpi. Ci vuole una tenuta scenica non indifferente. Gli anni di Baronio e Bartolini a calcare palchi, i palchi di periferia, con il pubblico vero, non giurati e critici ammiccanti, non prezzolati o amici di turno, i palchi quelli non organizzati dalle cricche, i palchi “democratici”. Dove la parola teatrale ancora risuona per dire del vero fingendo di fingere…
Il perimetro scenico è vuoto. Qualche seduta. Attorno oggetti, cianfrusaglie, disordine. La predisposizione a suggerire senso. Significanti non resi icone. Mezzi comunicativi. Dal quotidiano. Dal caos oggettivo.
L’interno prende forma. Disvelando tempi e soluzioni. Lasciando intravedere il processo, non pianificato, reale, non immaginifico, ma di quel linguaggio che non sovrappone immediatamente la scena al vissuto. Quel linguaggio che non informa, persuade. O dissuade, a seconda delle circostanze, della libertà partecipativa alla visione. Quel linguaggio che crea relazione. L’interno prende forma, la conoscenza si fa ravvicinata (vengono interpellati tutti i sensi, anche l’olfatto). Atti quotidiani non sono solo guardati, interiorizzati. L’azione non solo meccanica, bidimensionale. Non si fa vedere, si lascia intendere.
Se c’è una storia, è una storia comune. Di ciò che rimane da cosa si permette di avere. Di recinti, di case, di uomini e donne dentro i loro corpi che sfidano i confini. Si uniscono, danno vita ad altra vita, eccedono dai tracciati dei loro corpi. E ne rendono, in dialogico mai di stile o performativo. Nell’evitare virtuosismi registici ed ispirarsi alla ricreazione materica dall’idea. Alla privazione del tono, stabilendo strutture rintracciabili, vicine.
Prima del finale – da meravigliarsi, stupirsi ancora della dolcezza delle trovate semplici, senza stucchi – il disordine si fa d’immagine, attualizzando il bombardamento visivo di questi tempi: proiezioni a scena immobile sul fondale dilatano l’attenzione concentrata prima sulla dialettica. Se ne sarebbe potuto fare a meno, e lasciare il disordine, esteriore e interiore, al vedere edificarsi sul palco una città di costruzioni di bambino. Una scena bellissima. Uno spettacolo umano.

Lo spettacolo è andato in scena:
Residenza Idra

Via Moretto, 78 – Brescia

Bartolini/Baronio presentano:
Dove tutto è stato preso
di e con Tamara Bartolini/Michele Baronio
drammaturgia Tamara Bartolini
scene e paesaggio sonoro Michele Baronio
regia Tamara Bartolini/Michele Baronio
collaborazione al progetto, assistente alla regia, foto e grafica Margherita Masè
suono Michele Boreggi
concept video Raffaele Fiorella
collaborazione artistica Fiora Blasi, Alessandra Cristiani e Gianni Staropoli
produzione Bartolini/Baronio | 369gradi
coproduzione Teatri di Vetro Festival/Triangolo Scaleno Teatro
con il supporto di Residenza IDRA (Brescia) e Armunia (Castiglioncello) nell’ambito del progetto CURA 2017
progetto vincitore del Bando Progetto CURA 2017