Una strana danza

Due donne che ballano in scena, in esclusiva per la Toscana, al Teatro Manzoni di Pistoia. Regia di Veronica Cruciani per due interpreti d’eccezione, Maria Paiato e Arianna Scommegna. Carte in regola però qualcosa non torna.

Se uno spettacolo teatrale è un testo e una tessitura di segni – di elementi significanti – la cui composizione offre al pubblico un’interpretazione di un’opera, una storia o, comunque, delle emozioni, la messinscena di Due donne che ballano, presentata questo fine settimana a Pistoia, risente di qualche mancanza (resa ancora più evidente dal fatto che stiamo parlando di uno spettacolo che può rientrare nella categoria del teatro di parola e di tradizione).

Ecco molto in breve la trama: a una donna anziana che vive da sola (interpretata da Maria Paiato) la figlia ha imposto la presenza di una giovane (Arianna Scommegna) che la aiuti per le faccende di casa e per farle anche un po’ di compagnia. Il rapporto inizialmente è conflittuale, aspro e turbolento. L’anziana, da un lato rifiuta l’aiuto della sconosciuta, dall’altro è incuriosita da questa misteriosa, silenziosa ma anche scorbutica presenza. Man mano che si frequentano e si conoscono, la relazione delle donne evolve – fino al punto che le due si ritrovano accomunate dallo stesso desiderio e destino.

Innanzi tutto, è opportuno notare che già il testo del drammaturgo catalano, Benet i Jornet, presenta alcune caratteristiche discutibili. Scritto da un uomo, racconta la storia di due donne. Le quali hanno altresì una caratterizzazione ambigua, né maschile né femminile – risultando poco credibili in entrambi i casi. Sembrerebbero, infatti, possedere testa e cuore maschili in corpi muliebri – compresi l’utero e la possibilità di procreazione.

Riguardo alla vicenda narrata, il dramma non sembra particolarmente efficace. Molti tra gli snodi fondamentali sono prevedibili. E questo fattore, nel prosieguo dell’azione, lascia perplessi – aldilà del generico piacere che può provare il pubblico nell’anticipare, intuire o comprendere.

Rispetto alla messinscena, diretta da Cruciani, altri sono gli aspetti che suscitano dubbi. Una serie di incoerenze nella gestione degli oggetti di scena, in primis, e una resa del personaggio interpretato da Scommegna, in secondo luogo, che, non soddisfacendo già dal punto di vista drammaturgico, meriterebbe maggiore profondità da quello interpretativo.

Ma torniamo all’uso degli oggetti di scena. Queste, alcune esemplificazioni. Scommegna pulisce gli scaffali tenendo lo spray per mobili in mano ma facendo soltanto finta di spruzzarlo. Dopodiché, porta all’anziana un bicchiere vuoto, parlando al contrario di un bicchiere di succo di frutta (che, fra l’altro, si dovrebbe versare sul tavolo). La richiesta implicita nei confronti del pubblico è che si consideri un bicchiere vuoto come pieno. Accettiamo il gioco del finto/vero teatrale. Nell’ultima scena, tuttavia, compare una brocca piena d’acqua che le due interpreti bevono realmente. Qualcosa non torna. Naturalismo sì, naturalismo no: l’importante è rimanere coerenti. Alcune scelte possono essere più o meno condivisibili: fingere di bere o di spruzzare, utilizzando però elementi dell’universo oltre la quarta parete, è, appunto, una scelta – discutibile, magari non condivisibile, ma rispettabile. L’acqua dell’ultima scena, al contrario, inficia l’assunto. In un tema, potremmo definirlo un errore di grammatica.

Veniamo alla scena drammatica dei fumetti. Paiato, presa dallo sconforto e dall’ira, li getta via. Scopriamo così che si tratta di “bellissime” scatole di cartone scenografate, che sono spinte oltre lo scaffale per essere poi recuperate, già imballate in grandi cesti, e buttate via (e nemmeno tutte). Tuttavia, se si opta per una scenografia naturalistica, la stessa non può essere utilizzata in modo inadeguato allo stile prescelto (mostrando, anzi, che la parte posteriore dello scaffale non esiste, e pretendendo che il pubblico accetti la presenza di un salto temporale che avrebbe permesso al personaggio di imballare i fumetti). Inoltre, le scatole di cartone, che dovevano sembrare all’inizio veri e propri fumetti (ecco, di nuovo, l’intento naturalistico), in questa scena si scoprono elementi posticci e “scenografati”, che il pubblico deve accettare come se si trattasse di singoli volumi.

Si respira, in breve, una certa aria confusa, dell’incoerenza, forse un pressapochismo o casualità nelle scelte operate. Laddove ci si aspetterebbe dalla regia un uso chiaro, ben definito, coerente e corretto dei segni. Se si sceglie un determinato stile per la messinscena (che include i costumi, le scene, gli oggetti, il tipo di recitazione: il tutto di impronta piuttosto naturalistica), lo stesso deve essere rispettato nella sua globalità.

Purtroppo, anche l’interpretazione dei personaggi fa dubitare dell’impostazione registica. In molti abbiamo visto Scommegna in Ritorno a casa di Pinter per la regia di Peter Stein ed era semplicemente perfetta. In questo spettacolo, al contrario, si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un carattere da fiction.

Doveroso dire che il pubblico, comunque, non è sembrato accorgersi di nulla e ha applaudito con gusto.

Lo spettacolo è andato scena:
Teatro Manzoni

corso Gramsci, 127 – Pistoia
venerdì 19 e sabato 20 febbraio, ore 21.00 – domenica 21 febbraio, ore 16.00

Due donne che ballano
di Josep Maria Benet i Jornet
traduzione Pino Tierno
regia Veronica Cruciani
con Maria Paiato e Arianna Scommegna
una produzione Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano