Donna di cuori

arte spazio capannoriTra scherzo e tragedia, lo sguardo di Cristina Comencini sul mondo femminile va in scena allo spazio Artè di Capannori.

Donna. Adulto, sessualità femminile: donna giovane, anziana; una donna affascinante. Moglie, compagna, amata, col possessivo a precedere: la mia donna. Lo dice il signor Garzanti, il vocabolario. Tutto fila liscio, non c’è che dire. L’ineluttabile logica
delle definizioni semantiche. Ma se l’essere umano, dall’eterna contraddizione che è, rifugge a qualunque forma di classificazione razionalizzante, ci dica, di grazia, ci dia una sola motivazione per attenerci ai suoi disegni, caro signor Garzanti.
Ma certo: è la logica. La natura umana conviene che ruoti attorno alla logica, volente o nolente. Ma che diamine. Facciamola finita. Chi dà le carte?
Venerdì 16 maggio, allo spazio Artè di Capannori (in provincia di Lucca). Sono le 21.00. Non è immediato inquadrare Due Partite. D’altronde la regia è di Cristina Comencini, sì, lei che è autrice dell’umano dolore, del dramma che affila le lame tra le mura di case senza pace. Costella le sue storie di un’amarezza che non è possibile ignorare. Ecco il motivo della contraddizione, di una commedia acre, intrisa di una sofferente resa al corso degli eventi, ma brillante come un prisma in ogni sua sfaccettatura.
Questa è scuola di vita. Attorno a quel tavolo, uno spazio esiguo nel quale pretende la logica universale che la donna consumi il proprio vivere, attorno a quel tavolo, come sul quadrante di un orologio, le lancette misurano un percorso reiterato. E l’uomo è assente e al contempo onnipresente, suggerito da un copione avvelenato con le fattezze non dissimili da quelle di un cancro. In un tripudio di considerazioni amare, la donna è ingabbiata dalla sua stessa fisionomia, costretta – pazzesco a dirsi – a ritirarsi nel proprio utero, a implodere, a fagocitarsi da sola.
E poi c’è l’amicizia, questa sorellanza quasi mistica che porta quattro esistenze a vivacchiare senza rumore nell’intera settimana, fino a concentrare l’inespresso in quelle partite, attorno al solito tavolo quadrato («Che comunque è brutto», dice una delle quattro). Ma apriamo alla speranza: il futuro sarà migliore. Quella speranza vagheggiata su un pezzo di carta, la voce di un uomo, uno dei quattro grandi assenti. Speranza delusa, o confortata, ai posteri l’ardua sentenza.
E ancora, ci sono le figlie: più libere, ma certo. E cosa vorranno queste figlie libere? Uomo. Casa. Prole. E il circolo nietzschiano si sigilla con la capitale indissolubilità di una fede nuziale. Questo il destino? Un altro eterno ritorno? Non ci è dato saperlo, a noi, voyeuristi, che spiano attraverso il buco di una porta brandelli di esistenza vissuta da altri. Ma nulla che la donna media non sappia, nulla che non possa pessimisticamente aspettarsi. E ridiamo, scherziamo sul consueto relitto sventolando bandiera bianca. In noi è da millenni lo spirito dell’annegato. Meglio finirla. Eppure, ecco tornare quel brano. Perché la speranza è l’ultimo dono: la speranza sbatte gli occhi confusa sul fondo del vaso.
Ecco, questa era Due Partite, opera umile e sagace al contempo. Ma forse ne abbiamo abbastanza di sentirci ripetere del destino, dell’affanno del nostro destino, della miseria del nostro destino. Oppure è quel dito, quel dito che rigira se stesso nella piaga, che non vogliamo proprio suturare, a turbarci?
Donna. Adulto, sessualità femminile: donna giovane, anziana; una donna affascinante. Moglie, compagna, amata, col possessivo a precedere: la mia donna. Fine della partita, signor Garzanti. Chi ha vinto?

Lo spettacolo è andato in scena:
Artè – Capannori (Lucca)
venerdì 13 maggio, ore 21.00

Due partite

di Cristina Comencini
progetto collettivo per mise en espace in due atti
con Greta Alberici, Alessia Coselli, Lisa Franceschini e Sara Nomellini
collaborazione artistica Moreno Petroni