Dall’arco isterico alla fusione dei corpi
Vienna tra fine Ottocento e primi del Novecento: un crogiuolo di esperienze artistiche che davano forma e corpo alle intuizioni freudiane. Leonardo Diana prova, oggi, a coreografarne tumulti ed esiti.
EGON – Introspettiva da Klimt a Schiele è un lavoro estremamente complesso, dotato di molte luci ma anche di alcune ombre – o nodi ancora da risolvere.
Essendo coinvolti più linguaggi e discipline bisognerà per forza schematizzare un po’ il discorso e ce ne dispiace perché la performance, nel suo complesso, dovrebbe essere analizzata come un unicum – in grado, per questo, di suscitare riflessioni ed emozioni.
Partiamo, quindi, dalla drammaturgia che sembra tessere il proprio fil rouge dall’uomo irrisolto – costretto da vincoli sociali a vivere le apparenze, dettate da una moralità di facciata che Schiele sembrava voler scalfire con la forza della sua pennellata tagliente (espressione di una rivendicazione degli istinti naturali dell’essere) – e che, da questo uomo ancora informe, perché non consapevole della propria dualità tra io ed es, ci porta a una fusione di anime e corpi, mascolino e femminino, dionisiaco e apollineo. Questo percorso, lastricato di insidie e ostacoli (vedasi le proiezioni che rimandano alla prigionia di Schiele per una presunta violenza carnale su una quattordicenne, mai perpetrata e della quale fu riconosciuto innocente), vede il proprio rispecchiamento nel percorso della donna di fine Ottocento, anch’essa stretta dai vincoli moralistici dell’epoca che, dall’arco isterico (caro anche alla psicanalisi freudiana e finalmente superato) emerge con una nuova consapevolezza dei propri desideri e della propria sessualità (belle le proiezioni, anche sui corpi femminili avvinghiati, che rimandano al Klimt di L’albero della vita).
Altrettanto interessante può dirsi il lavoro di generative art che rispecchia il movimento del danzatore, ne amplifica la portata, ne tesse una mappatura spaziale simile alle rotte di volo, oppure che dialoga con il corpo e con la musica, creando universi di senso ma anche espressioni estetiche caleidoscopiche e ipnotiche. Videoarte supportata da un light designing preciso e, a sua volta, emozionante; e da musiche che sembrano rimandare felicemente sia al Brahms (viennese di adozione) più sofferto e meditativo ma anche poeticamente romantico, sia alle nuove tendenze compositive che si imporranno con la dodecafonia e Arnold Schönberg.
Purtroppo, alcune ombre – in un lavoro peraltro interessante – permangono.
In primis, il lento emergere dell’informe mascolino rimanda, nella sua forza plastica e nelle sue rotondità piene, più ai quadri e ai corpi di Francis Bacon (si veda il Trittico del ’91, soprattutto per quanto riguarda l’emergere delle gambe muscolose dal sipario) che alle figure nervose ed esili di Schiele. Molto più convincente la prova di Leonardo Diana (sia a livello coreografico che come danzatore) quando si confronta con la sua stessa immagine e nel finale, in cui l’iconografia si rispecchia appieno (soprattutto nel movimento delle mani) nell’Autoritratto di Schiele a matita, tempera e acquerello nel 1910.
Ci spiace notare che, al contrario, le danzatrici non sembrano all’altezza di Diana nella gestione di movimento, spazio, gesto ed estetica. In particolare, il quadro in cui la donna “isterica” cerca di liberarsi delle proprie costrizioni appare grezzo nella forma e abbozzato nell’esecuzione. Si notano diverse imprecisioni, i passi – seppur non difficili – causano, a volte, una perdita di equilibrio e il tutto appare più lasciato all’espressione personale che non frutto di un chiaro lavoro di scavo psicologico sulla valenza del gesto (che, al contrario, di rintraccia bene in Diana). Pare di essere di fronte a un vecchio film, come La fossa dei serpenti (con Olivia de Havilland), piuttosto che a un quadro coreografico ma, a nostro parere, il gesto danzato e quello recitato non si equivalgono, così come il parlato comune non coincide con una certa impostazione della voce, del timbro e del respiro che sono indispensabili su un palcoscenico.
Un lavoro nel complesso innovativo che ha bisogno, però, di maggiore tempo per emergere nella sua interezza.
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Cantiere Florida
via Pisana, 111r – Firenze
sabato 28 ottobre, ore 21.00EGON – Introspettiva da Klimt a Schiele
coreografia Leonardo Diana
con Barbara Carulli, Valentina Sechi, Naomi Segazzi e Leonardo Diana
video PROFORMA (Nicola Buttari e Martino Chiti)
musiche Andrea Serrapiglio e Luca Serrapiglio
drammaturgia Filippo Figone e Leonardo Diana
light design Gabriele Termine
scenografia Eva Sgrò
spazialità sonora Luigi Agostini
produzione Versiliadanza