Egregio Signor Padre… a te dedico il mio epitaffio

Ferdinando de’ Medici agonizzante si confessa al padre nel lungo e struggente racconto della vita di un figlio incompreso e oberato da aspettative disattese.

Un lungo flashback fa luce sulla vita tormentata e straziata tra repressione e libertinismo del Gran Principe Ferdinando de’ Medici. Nato dalla schizofrenica unione tra Cosimo III, bigotto e religioso ai limiti del patologico, e Margherita Luisa d’Austria, gioiosa espressione in terra toscana del più pieno beau vivre français, Ferdinando non può che essere il fulcro dello strazio tra le opposte tendenze dei genitori. Segue per forza le direttive del padre, sceglie per inclinazione gli insegnamenti della madre, vivendo una vita di piaceri, danzando fra le muse delle arti e le ninfe dei divertimenti. Proprio in un soggiorno nella città, capitale di questi ameni conviti, la colorata Venezia, Ferdinando contrae il male che l’infida Venere non risparmia ai suoi accoliti, quella sifilide impietosa che mostra l’aspetto effimero e miserevole del piacere. In quel momento, picco del libertinismo del Gran Principe, la narrazione comincia percorrendo a ritroso il piano inclinato che lo fece scivolare nell’abisso.

Gli eventi storici e umani così coinvolgenti sarebbero sufficienti da soli a fare lo spettacolo, ma questi sono stati sapientemente intrecciati nella trama di un testo in grado di valorizzare i punti salienti dell’educazione del giovane Ferdinando e di far emergere le emozioni in tutto il loro potenziale.

La risata frivola di Margherita e delle sue compagne che si perde fra le foglie del giardino, rende plasticamente il carattere dell’allegra francesce, mentre i repentini scatti d’ira di Cosimo III palesano le continue pratiche di repressione e frustrazione. Il testo colpisce per la sua capacità di indagine psicologica e per la grande attenzione tributata alla definizione precisa dei caratteri di ogni singolo personaggio, non solo dei protagonisti, ma anche dell’educatore del Gran Principe e della donna che a lui trasmise il fatale “mal francese” o “mal di Napoli” – curioso caso di xenofobia ante litteram, in ogni Paese si cambiava il nome alla sifilide per incolparne della provenienza sempre e comunque gli abitanti di una terra straniera.

Nella climax ascendente dei lati pregevoli dello spettacolo segue la menzione dei costumi a dir poco meravigliosi. Il tripudio di colori, lo sfarzo dei panneggi, l’esagerazione delle acconciature regalano agli spettatori la sensazione di vivere in quel Settecento mondano e capriccioso che sembrava sopravvivere solo nei musei: le immobili e quasi ieratiche maschere veneziane si animano di quella vita che le ha generate, persa nei secoli per abbandonarsi al pallore spettrale che ora conservano.

La location è il definitivo stratagemma per conquistare lo stupore del pubblico: la scena è al centro di un lago artificiale, sovrastato da una ingegnosa costruzione con la stessa pretesa di naturalismo delle opere del Giambologna, e lì i personaggi arrivano a bordo di barconi che si muovono surreali sull’acqua, giungendo dalle viscere del buio e scomparendo di nuovo in quelle – in un continuo e magico alternarsi.

Tutto questo ha un costo: dov’è la bravura degli attori? Sicuramente c’è, anzi tocca ottimi livelli in movimenti spontanei ed espressivi, ma rimane quasi soffocata dal contesto magnifico.

Nel complesso Egregio Signor Padre ha un allestimento di fronte al quale non si può che esclamare: «Chapeau!», con l’unico rammarico di vedere i bravissimi interpreti ridimensionati dall’ambiente, come gli uomini nei quadri di Friedrich.

Lo spettacolo è andato in scena:

Villa Gerini di Colonnata
Viale XX settembre, 259 Sesto Fiorentino (FI)
martedì 26 luglio, ore 21.30

Tedavì 98 presenta:
Egregio Signor Padre
testo Stefano Massini
regia Alessandro Riccio
con Gabriele Giaffreda, Silvia Paoli, Alessandro Riccio, Daniele Bonaiuti e Maria Paola Sacchetti
costumi Dagmar Lise Pedersen
maschere Elena Bianchini
(durata 2 ore circa)