Con disumana bravura Elisabetta Vergani veste i panni di Elektra, nella versione inquieta firmata da Hugo von Hofmannsthal.

Prosegue il progetto di Farneto Teatro dedicato alle eroine del mito, rivisitate da autori moderni. In questo caso l’Elettra di Sofocle, filtrata dalle scoperte psicanalitiche e dalla cifra stilistica di chiara matrice espressionista di Hofmannsthal.

Elektra, quindi, con la k, che volontariamente si degrada allo stato animalesco e, come un cane, ulula il suo strazio di figlia privata del padre, di donna che ha allontanato da sé il proprio destino regale e, più umanamente, un futuro di moglie, amante e madre.

Elisabetta Vergani dà corpo e voce a questo dolore, muovendosi in scena come un animale spaventato e ferito, scandendo con voce feroce e al contempo chiara le sue maledizioni contro la madre, Clytemnestra, e il suo amante Egisto. Lunghi monologhi in cui la vicenda prende vita e si srotola dinanzi agli occhi degli spettatori con tutta la pesantezza delle parole-pietra di Hofmannsthal, che incidono la carne di Elektra rivelando la natura ambigua – forse persino incestuosa – del suo amore per Agamennone.

In quadri successivi, Elektra si confronta con Clytemnestra – interpretata da Angela Malfitano che non possiede né la maestà arrogante del personaggio mitico né il dolore corrosivo del rimorso che vorrebbe inscenare ricorrendo a due stampelle tempestate di pietre preziose – con la sorella Chrysothemi, che dovrebbe impersonare il lato femminile che si ribella alla volontà nichilista della protagonista – ma Martina De Santis, forse anche per scelta registica, con i suoi movimenti pseudo-espressionisti, assomiglia più a una marionetta che all’incarnazione del desiderio di vita di una donna, soprattutto nel confronto con Elektra, quando quest’ultima cerca di sedurla (nel vero senso della parola) all’idea di uccidere la madre. Infine, Elektra incontra Oreste – e Federico Manfredi in abito bianco ricorda più un gladiatore romano che non l’angelo vendicatore inviato dagli dei a esaudire il desiderio della sorella.

Peccato. Perché la Vergani è straordinaria, il testo di Hofmannsthal scabroso e seducente, e la scenografia di Marco Muzzolon particolarmente suggestiva. Il fondale, infatti, è un insieme di lastre tipografiche di dimensioni diverse, incise dalla saldatrice elettrica, in grado di evocare con un intelligente uso delle luci – che creano chiaro-scuri suggestivi – una specie di foresta nella quale si nasconde l’animale Elektra, gli interni gelidi del palazzo dove risiedono i regicidi e nell’ultima scena, simbolicamente, la corazza di Agamennone che, nel finale senza epilogo – grazie al riflesso delle luci rosse – si tinge del sangue di Clytemnestra.

Elektra
di Hugo von Hofmannsthal
progetto e drammaturgia Elisabetta Vergani
consulenza Marina Cavalli
regia Marco Sgrosso
con Elisabetta Vergani, Angela Malfitano, Martina De Santis, Federico Manfredi
scene Marco Muzzolon
costumi Andrea Stanisci
disegno luci Paolo Latini
datore luci Marco Preatoni
produzione Farneto Teatro e Teatro del Buratto