Ritratti d’Autore

Persinsala incontra l’attrice genovese, Elena Arvigo, giovane ma già affermata anche a livello internazionale, poche ore prima della straordinaria trasfigurazione che la vedrà protagonista in 4:48 Psychosis di Sarah Kane, nella produzione dalla Compagnia Teatrale Santarita Teatro, sul palco del Giglio di Lucca.

Quello della Kane è un testo la cui messa in scena può variare molto a seconda della produzione: qual è stata la vostra scelta?
Elena Arvigo
: «Questo è un testo che ho cominciato a comprendere solamente dopo averlo imparato a memoria (cosa che solitamente non amo fare). Con la regista, Valentina Calvani, abbiamo deciso di fare un monologo a una voce sola perché rappresentava al meglio il modo in cui sentivo di poterlo interpretare. Nello spettacolo è come se fossi il protagonista di un film che, nell’istante della propria morte, rivive istantaneamente tutta la sua esistenza: è un’esperienza individuale, intensissima e “completa”».

Come si è motivata a questo approccio, per lei inedito?
E. A.
: «Mi sono accorta che tagliare il testo, come avevo iniziato a fare, era impossibile: ho cominciato a capirne l’intima connessione interna solo dopo averlo mandato a memoria.
Talmente asciutto che, nonostante diverse frasi appaiano apparentamente isolabili senza che nulla cambi (magari riportandole su una maglietta o sulla scenografia), ridondanti (la ripetizione per 7 volte consecutive di “nessuna speranza” ha un effetto ben preciso, anche a livello di respirazione) o formalmente inessenziali (le pagine e le righe vuote nella sceneggiatura) non è in realtà pensabile togliere nulla: sia perché rispetto l’autorialità di chi ha scritto queste bellissime strofe – e non avrei mai accettato di farne un collage per dire altro – sia perché 4:48 Psychosis è poesia. E nella poesia, si sa, tutto è inutile (lo è per concetto), ma anche necessario».

Quali sono le principali difficoltà che ha dovuto affrontare?
E. A.
: «Reinventare e omaggiare ogni volta un testo splendido. Mi affatica profondamente: non basta un coraggio qualsiasi per portarlo in scena, bisogna non aver paura di sentire quello che provoca – con quelle parole e nella situazione in cui sono affermate. Ogni volta che finisco la rappresentazione pensare che l’autrice sia morta (così giovane poi) mi fa male, soprattutto perché, oltre che una grandissima drammaturga, Sarah Kane doveva essere un essere umano straordinario».

Quali le gratificazioni maggiori?
E. A.
: «La sensazione di fare qualcosa che abbia, per me, senso. Quest’interpretazione mi permette di vivere un’esperienza importante attraverso le parole meravigliose di un’autrice che mi piace (e non è poco), di mettermi ogni volta profondamente alla prova come attrice (nel senso di storyteller), di fare – in breve – una verifica di “senso”. Sebbene sembri un paradosso e anche se stancante, fare qualcosa che abbia valore autentico e profondo, a mio modo di vedere è l’unico modo per andare avanti e non farsi mancare le forze».

Secondo lei le problematiche che solleva l’autrice sono attuali?
E. A.
: «Come tutti i grandi testi non invecchia mai, è una poesia senza tempo. La tematica, poi, è universale: accanto alla questione spinosa della cura farmacologica della depressione, emerge quella del suicidio come atto di volontà, “ricerca” della negazione della vita e, forse soprattutto, dell’aiuto psicologico e umano (a una persona, che in Psychosis, imbottita di farmaci, sente con lucidità il proprio spegnersi). Quando si perde la voglia di vivere, “smettere completamente” diventa più facile».

Cosa pensa della situazione attuale in Italia, lei che ha esperienze di teatro, cinema e televisione?
E. A.
: «La mia è una formazione fondamentalmente teatrale, e anche se la situazione non è “ottima”, rispetto alla televisione e al cinema, il teatro mi permette una verifica e un “controllo” più concreto su quanto sto facendo. Certo, la situazione è gravissima, con la continua chiusura di strutture culturali come i cinema (a Lucca è ancora irrisolta la questione del Cinema Italia e del cineforum Ezechiele, ndr), anche perché sono notizie che passano un po’ in sordina, quando non sono proprio manipolate. Ma vivendola in prima persona è evidente che la situazione sia davvero critica».

Consiglierebbe ai giovani di intraprendere il mestiere di attore o li “inviterebbe” a coltivare la propria passione semplicemente come tale?
E. A
.: «Si tratta di un discorso di necessità. Il mio è un mestiere difficile, ma dopotutto di facili non ce ne sono. Condivido Strehler quando diceva che la vocazione si vede “dopo”: ossia, se dopo circa 20 anni, nonostante i disagi, le difficoltà e i dolori, sono ancora qua e resisto (e non saprei dirle esattamente perché sia proprio la recitazione a resistere), allora significa – forse – che c’è un’inconsapevole necessità in tutto ciò. Consiglierei sicuramente di provare, con determinazione e passione, per non rischiare di rimanere a metà o con il rimorso di non aver tentato: se non sarà la strada giusta, ci sarà sempre il tempo per smettere e cambiare».

Il Teatro Valle occupato (a cui lei contribuì con la lettura di Amaro teatro di Flaiano) sta facendo incetta di premi (non ultimo lo Speciale UBU): come giudica questa esperienza?
E. A.
: «Onore a chi ha scelto di impegnare un periodo della propria vita in questo modo – per inciso, per ragioni professionali che mi portano sempre in giro, io sono satellitare rispetto a questa esperienza. La reazione che c’è stata è il sintomo di una situazione di malessere che non vuole essere metabolizzato. A chi li critica dicendo che fanno un discorso più politico che artistico, rispondo: anche fosse una semplice trasformazione del Teatro Valle in un bar “teatrale” dove fare “esperienza” (assistere a spettacoli gratuitamente, conoscere chi fa questo mestiere), sarà sempre meglio che andare al bingo! Certo, poi dipende dalla prospettiva… Quello che sta succedendo è un tentativo forse goffo, forse non centratissimo e criticabile, ma è comunque un tentativo di promuovere la cultura sul territorio. Non è poi quello che dovrebbero fare tutti gli stabili?»

Progetti per il futuro?
E. A.
: «In primavera, un film con la regia di Vittorio Moroni insieme a Beppe Fiorello, poi porterò avanti due progetti per il teatro, Antigone e Il Bosco (quest’ultimo già in scena al Teatro lo Spazio, ndr)».