Fil rouge della nuova stagione il rapporto tra generazioni. E ancora teatro in lingua inglese anche contemporaneo, temi scottanti e ospiti d’eccezione come Renato Sarti, Moni Ovadia, Paolo Poli e la Compagnia Ricci/Forte.
La prossima stagione dell’Elfo Puccini corre su due binari – come due sono le persone coinvolte nel rapporto generazionale – ed è declinata in tre prime nazionali, dal teatro classico di Il racconto d’inverno a quello contemporaneo con The history boys e Red. Se il primo è un “late romance” firmato Shakespeare: una tra le ultime produzioni dell’autore di Stratford-upon-Avon, sorta di favola romanzata incentrata sull’amore tra due giovani – dove Perdita è una Miranda ante-litteram della successiva Tempesta – e sulla gelosia, il rancore, ma anche la sofferenza poetica di Leonte – il vecchio re, precursore del mago Prospero; il testo di Alan Bennett è al contrario incentrato su un must dell’educazione British: l’esame di ammissione alle prestigiose università di Cambridge e Oxford e sul dilemma comune anche alla nostra società: essere o apparire. Cosa conterà di più per entrare a Oxbridge? Essere ferrati in storia e onesti nei giudizi critici o esporre con originalità le teorie più astruse? Al pubblico l’ardua sentenza. Infine, il viaggio artistico e umano di Red pone a confronto il pittore Mark Rothko con il suo giovane assistente: un percorso dal quale nessuno dei due potrà più tornare indietro.
Torna un piccolo gioiello firmato Steven Berkoff, Il Natale di Harry, per l’ottima regia di Ida Marinelli e l’altrettanto valida interpretazione di Luca Toracca. E, a maggio, due testi di Tennessee Williams, tra i più dolenti e intensi: Improvvisamente l’estate scorsa e La discesa di Orfeo, drammi già portati sul grande schermo da Hollywood. Il primo, nel 1959, per la regia di Joseph L. Mankiewicz e l’adattamento firmato da Williams e Gore Vidal, costretti dal famigerato Codice Hays a censurare qualsiasi riferimento all’omosessualità del protagonista, che non ha nemmeno volto né voce – uno dei pochi a subire questa sorte, accanto alla mitica Rebecca De Winter di Hitchcock, che non a caso era un’impudente e fiera adultera. E il secondo, in originale The Fugitive Kind (Pelle di serpente) del 1959, interpretato da Marlon Brando e dalla matura e volitiva Anna Magnani – dove Orfeo è il prototipo di quella generazione ribelle alle convenzioni e alla società razzista e machista statunitense, che pagherà con la vita la sua “perversione”. (Ed è curioso come il mito di Orfeo torni nella prossima stagione teatrale anche in un altro spettacolo, che Lella Costa riproporrà al Carcano di Milano: Ragazze – Nelle lande scoperchiate del fuori, una lettura volutamente tendenziosa e femminista della scelta di Euridice di allontanarsi da Orfeo e di quest’ultimo di non riportare con sé l’amata nel mondo dei vivi – e se vi sembra uno spettacolo noioso, non avete mai visto recitare Lella Costa).
Molti anche gli ospiti eccellenti per la prossima stagione. Tra questi, Renato Sarti che ripropone il suo Chicago Boys, sicuramente uno tra gli spettacoli più interessanti del 2009, prodotto dal Teatro della Cooperativa – che da anni fa un ottimo lavoro sul territorio, operando in un quartiere come quello di Niguarda – tratto dal libro culto di Naomi Klein, Shock Economy – uno di quei testi che dovrebbero essere studiati in Bocconi, accanto a quelli di Milton Friedman, giusto perché qualche economista smetta di parlare di economia come di un assoluto al di sopra dell’uomo e della storia e torni a parlarne in termini dialettici e politici – ossia di controllo dei mezzi di produzione e ridistribuzione della ricchezza da parte della polis, cioè di tutti noi.
E siccome la realtà dello spettacolo dal vivo, a Milano, è più vitale che mai con i suoi 50 teatri, e l’Elfo da sempre fa parte di questa esperienza artistica che sa essere insieme istituzionale e controcorrente, centrale e periferica, da 40 a 500 posti a sedere, ecco che arrivano sul suo palcoscenico esperimenti diversi come quelli firmati dalla Compagnia Ricci/Forte e da Paolo Poli, oltre a Shylock, il mercante di Venezia in prova con testo e regia di Roberto Andò e Moni Ovadia.
E infine, il ritorno di Giuseppe Battiston (dopo il successo di Orson Welles’ roast) con un testo quanto mai attuale: 18 mila giorni. Il pitone. Riflessioni di un uomo di 50 anni che perde il lavoro. Il lavoro come diritto costituzionale e umano, come elemento imprescindibile per la dignità personale, come utopia storica concreta in una società che ha perso i lumi della ragione rincorrendo la falsa modernità cinese e imponendo la precarietà a vita in cambio di lauti dividendi azionari.
Ma gli spettacoli sui quali scrivere sarebbero ancora molti, oltre alle iniziative multiculturali – come i concerti di Sentieri selvaggi e le collaborazioni con la Fondazione Cineteca Italiana e Careof per l’arte contemporanea – e, a dire il vero, poco conta scriverne, conta andare a vederli, perché il teatro resta uno spazio libero e liberato dove è possibile affrontare temi che ormai non sembrano interessare più nessuno – nemmeno i telegiornali che preferiscono dedicare spazio a gossip e cronaca nera – e che invece toccano quotidianamente tutti noi: la vita e la morte ma, soprattutto, quello che sopravvive tra i due estremi.