Giovedì 5 ottobre

Tanti spunti di riflessione, e soprattutto di azione, durante la seconda giornata del Festival che si svolge ad Arezzo. Apporti, racconti delle esperienze fatte, ma soprattutto energia in movimento.

Sarà stata l’età media dei partecipanti, sorprendentemente più bassa del solito, o il fatto che tanti contributi riguardassero la partecipazione di quegli stessi giovani. Sarà stato il tema intorno al quale ruota il Festival, ossia lo spettatore; o forse il principio metodologico sul quale si è strutturato il lavoro, ovvero il procedere per tesi e verifica. Fatto sta, che l’energia che circolava ad Arezzo, ieri 6 ottobre, era davvero diversa.
La tesi da sottoporre a verifica negli incontri del mattino era questa: le residenze in Toscana sono un sistema che produce processi virtuosi, con ricadute importanti dal punto di vista sociale, occupazionale ed economico? La verifica ha avuto inizio con l’intervento chiarificatore dell’economista Paolo Venturi, riguardo il modello offerto dalle residenze artistiche come forma di impresa ibrida, ossia attive a un livello sia sociale che economico. Pratiche e concetti, vissuti solitamente in modo empirico dagli operatori, hanno trovato una organizzazione teorica, col risultato di dare nuova spinta alla prassi stessa in termini di consapevolezza ed entusiasmo.
Senza entrare troppo nello specifico, è importante ricordare come Venturi abbia sottolineato la necessità di valutare esperienze e progetti e non solo di rendicontarli, distinguendo i due concetti: rendicontazione (il semplice rendere conto di come sono state utilizzate le risorse a disposizione) e valutazione (ovvero il rendere conto del valore del cambiamento prodotto). Di qui l’invito, anche urgente, a fare chiarezza sui propri peculiari indicatori di valore, in coerenza con natura e vocazione. Un invito altresì a resistere e a difendere i propri valori sì da non essere schiacciati da quelli creati da altri.
Nel pomeriggio, anche in questo caso senza addentrarsi troppo nelle questioni – che meriterebbero ognuna una riflessione e un approfondimento a sé stante – sono emerse alcune tra le tematiche piu urgenti e interessanti.
Partendo dalla constatazione, presentata dal professor Sergio Angori, che il pubblico può avere standard di cultura diversi (o, detto più violentemente, può essere ignorante), ecco che si pone il problema se e come formarlo, educarlo e/o coinvolgerlo. La questione che ci piacrebbe tenere aperta è se il pubblico debba essere educato o coinvolto, e la diversità di fondo tra queste due istanze. Virginie de Croizé, responsabile dei progetti di coinvolgimento del pubblico del Festival di Avignone, ha ricordato che in Francia l’essere responsabili della relazione col pubblico è un mestiere vero e proprio. Tuttavia, se parole diverse riflettono anche concetti e contesti teorici diversi, non è un caso che i progetti di cui si occupa la stessa siano di coinvolgimento e non di educazione. La loro missione è di creare un sentimento di necessità, un desiderio di cultura e del bello, nonché di connettere e generare empatia con l’opera. Lo scopo è far scoprire, ad esempio ai ragazzi, la facilità con la quale si può partecipare a eventi culturali, come può essere uno spettacolo di danza contemporanea, oppure l’avvicinarsi a temi che li conducano in un altrove – facendo loro scoprire che è possibile provare piacere tutti insieme durante la medesima esperienza.
Provocatoriamente (forse neanche troppo), Federico Borreani di Bam! Strategie Culturali ha affermato, nel suo intervento, che partire dal principio che il pubblico deve essere educato è sbagliato. Perché, se il pubblico non va a teatro (o non fruisce di prodotti culturali), è colpa di chi lo fa, dato che non sa come entrare in contatto con lo stesso. Affermazioni in consonanza, fra l’altro, con quanto affermato da De Croizé, per cui se le sale sono piene sarebbe merito della programmazione, se sono vuote la colpa ricadrebbe sul responsabile della relazione con il pubblico. Si può in effetti comprendere come partire dal presupposto e dal pregiudizio che il pubblico manchi di educazione e debba essere formato/educato sia, in realtà, qualcosa che pone un’invisibile barriera, crea meccanismi di resistenza e divide il campo a metà: chi sa e chi non sa. In fondo, molto banalmente, a nessuno piace sentirsi ignorante e ancora meno sentirsi giudicato un ignorante da educare.
Virginie, sottolineando la necessità di creare desiderio, ci ricorda le riflessioni su Eros del Simposio platonico. La conoscenza è povertà, è mancanza, e sappiamo che la massima socratica era di sapere di non sapere. La sfida è quindi un’altra. Come appassionare al piacere della conoscenza, della bellezza e della cultura, vivere la propria ignoranza come fame e sete – ma senza sentirsi giudicati degli ignoranti? Come coinvolgere il pubblico, comunicare i propri valori e standard estetici, aprendo contemporaneamente la porta alla condivisione?

Gli eventi hanno avuto luogo nell’ambito del Festival dello Spettatore:

giovedì 5 ottobre, dalle ore 10.00 alle 13.00
Campus Universitario Il Pionta – Sala dei Grandi
viale Cittadini, 33
CULTURA PORTA – VALORI
L’impatto delle imprese culturali capaci di generare valore economico e sociale
Panel 1: Le Imprese culturali, modelli ibridi che creano valore
Panel 2: L’esperienza delle Residenze Toscane

dalle ore 15.00 alle 17.30
IL PUBBLICO VA FORMATO?
Pratiche e azioni di coinvolgimento del pubblico in ambiti culturali diversi