Quando il mito si fa moderno

Al Sala Uno di Roma una storia d’amore contemporanea, tra dramma e commedia, ispirata al mito greco di Ero e Leandro.

Il giovane Leandro amava la sacerdotessa Ero – che viveva sulla costa opposta – e attraversava ogni sera lo stretto a nuoto per incontrarla. Ero accendeva una lucerna per aiutarlo a orientarsi, ma una notte una tempesta ne spense il fuoco e Leandro, disorientato, morì tra i flutti. È il regista stesso a raccontarci il mito. O meglio, un suo giovanissimo alter ego (Gabriele Granito).

Il testo dello spettacolo, costituto da monologhi (come ci anticipa il regista in scena), prende però solo spunto dall’antico mito. Agli attori l’arduo compito di presentarsi come Ero e Leandro, spogliarsi di quei ruoli e vestire i panni dei due nuovi personaggi che Ennio Speranza (l’autore del testo) ha scelto per loro. Caterina Gramaglia – già nelle vesti di una prostituta moldava – si ricorda di quando “era Ero” e incarna, così, l’archetipo del personaggio femminile: tragico, ucciso, stuprato, spogliato e rapito. Al contrario, Gabriele Sabatini si spoglia letteralmente in scena, rimanendo in mutande, e presentandosi come Leandro. Racconta di essere morto, e si chiede come possa ancora parlare («è evidente», dice, muovendo le labbra – ma la voce è quella del regista – «che qualcuno parla al mio posto»). Così, distanziatisi entrambi dai personaggi del mito, i due attori interpretano i protagonisti di una storia minima (“ma non minimale”, come recitano le note di regia).

Una ragazza moldava resa prostituta dai connazionali che l’hanno fatta giungere in Italia con l’inganno (la promessa di un lavoro come modella) e un ragazzo timido, che presto si innamora di lei. I monologhi di Ennio Speranza sono divertenti – in bilico tra il dramma e la commedia – e indagano sui clienti di lei («vecchi schifosi e giovani imbecilli»), sulle ragioni di un uomo per andare a prostitute, mentre la verve ironica di Sabatini e Gramaglia fa sì ridere, ma per alleggerire una sostanza altrimenti troppo pesante. Così quando la ragazza Moldava racconta quel che i suoi connazionali le fanno se non guadagna ogni sera quanto stabilito (tra schiaffi e sigarette spente sulle braccia), Gramaglia ha come un blocco ed ecco che il regista interviene – costringendola a recitare quelle frasi con violenza, creando un parallelo (sottile e intelligente) tra la violenza degli sfruttatori della prostituta e quella del regista (in teatro).

Entrambi gli interpreti usano delle torce digitali con le quali, quando serve, su un palco immerso nel buio creano scie luminose, illuminando parti del corpo in un complesso gioco continuo – tra buio e luce, racconto e pausa riflessiva – che diventa parte integrante del discorso drammaturgico. Un racconto mediato dall’immaginario collettivo contemporaneo, fatto di canzoni di film (Pretty Woman cantata con un esplicato testo italiano) e di immaginarie interviste (televisive?), nelle quali lui è disposto a svelare più dettagli di quanto lei voglia (e le facce d’intesa o disappunto dei due personaggi sono uno spettacolo nello spettacolo). Un immaginario nel quale quando il ragazzo, che ha deciso di portare via la giovane dal marciapiede, viene a prenderla, si presenta vestito come un eroe greco con tanto di spada, scudo ed elmo, e lo spettacolo torna apparentemente al mito greco. In realtà è solo una proiezione delle fantasie della donna: l’attore e il regista le ricorderanno che il mito di Ero e Leandro: «finisce male».

Ero e Leandro è un piccolo gioiello di drammaturgia contemporanea: intelligente, disinvolto, ottimamente messo in scena e ben recitato (Gabriele Sabatini è bravo, ma Caterina Granaglia colpisce anche solo con l’intensità di uno sguardo, mentre lo zazzeruto Gabriele Granito è un credibile regista in erba), che adopera l’ironia per raccontare una storia d’amore capace di far riflettere su alcune contraddizioni e sordidezze del nostro mondo contemporaneo – proprio come facevano i miti al tempo dei Greci.

Lo spettacolo continua:
Teatro sala uno
piazza di Porta San Giovanni, 10 – Roma
fino a venerdì 22 aprile, ore 21.15

Ero/Leandro
di Ennio Speranza
regia di Marco Maltauro
con Caterina Gramaglia, Gabriele Granito e Gabriele Sabatini
aiuto regia Federico Malafronte