Teatro d’ombre

Secondo appuntamento con la danza al Verdi di Pisa. In scena, il teatro fisico dei Kataklò.

Li avevamo visti, sullo stesso palcoscenico, due anni fa protagonisti di Puzzle (produzione 2012). Divertenti, precisi come orologi svizzeri, acrobatici senza virtuosismi fini a se stessi, espressivi e coinvolgenti.
Li ritroviamo, oggi, i Kataklò in una produzione che convince meno sia dal punto di vista qualitativo che per alcune scelte di fondo.

Partiamo da quest’ultima affermazione. Creare una serie di quadri con la compartecipazione del pubblico rende i quadri stessi farraginosi, amatoriali e, in alcune situazioni, il tentativo di far agire simultaneamente performer professionisti e spettatori (come nel quadro dei padroni a passeggio con i cani) risulta palesemente approssimativo. I performer (nei panni dei giocosi animali) cercano in ogni modo di far muovere i loro “padroni” a tempo e li aiutano con un’asta (che simulerebbe il guinzaglio) ad assumere le posizioni sul palco, ma a parte lo spreco di energie fisiche per farlo, si nota come le figure che ne dovrebbero scaturire siano approssimative e il finale scivoli lungo e impreciso. Ora, ci si chiede: a quale scopo? Non siamo di fronte a un’attività laboratoriale che può essere premiata dall’applauso di amici e parenti, siamo in un teatro rilevante, con una Compagnia di professionisti che gira il mondo con le sue performance altamente acrobatiche e sottilmente ironiche, e gli spettatori sono pubblico pagante che pensa di andare a vedere uno spettacolo preciso, puntale e coinvolgente, come è stato abituato in oltre due decenni di attività dei Kataklò. Questo continuo tentativo del teatro di riavvicinarsi al pubblico (nel 2016 ci è capitato più volte di scriverne) utilizzando il pubblico stesso per le performance, continua a non convincerci. E se è vero che il riavvicinamento alle masse occorre, sarebbe meglio – secondo il nostro modesto parere – che questo avvenisse in altre forme, da spettacoli gratuiti a performance in luoghi altri – cortili, piazze o scuole. Mantenendo sempre le figure di attore e spettatore separate, a meno che lo spettacolo non verta proprio su questo per il suo farsi – esemplare in tal senso, Quintetto di Marco Chenevier, dove etica e poetica si sposano alla perfezione.
Per quanto riguarda lo spettacolo più in generale, dal punto di vista qualitativo alcuni quadri si stagliano come le tessere del precedente Puzzle. Fra tutti, quello in palestra, dove l’ironia dei Kataklò si unisce alla maestria tecnico-acrobatica, e la musica fa da contrappunto preciso a ogni gesto o passo. Interessante anche il numero con i capi di abbigliamento e, nel primo tempo, quello con due grossi teli argentati.
Molto spesso, però, si notano imprecisioni nella coordinazione tra i performer – più marcate quando in scena ci sono gli spettatori; i numeri quasi sempre hanno tempi più lunghi rispetto al brano musicale di accompagnamento; le sezioni ironiche, a volte, sembrano quasi inesattezze nell’esecuzione piuttosto che scelte ponderate di movimenti fuori dai cliché; e la decisione di optare per luci molto soffuse e faretti, alla lunga, stanca l’occhio e rende l’intero spettacolo stranamente monotono, con le sue ombre e i suoi neri che si ravvivano solamente in pochi quadri grazie ai colori sgargianti dei costumi (decisamente molto belli e accattivanti, come i brani musicali).
Molte ombre, qualche luce.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Verdi

Via Palestro, 40 – Pisa
venerdì 6 gennaio, ore 21.00

Kataklò Athletic Dance Theatre presenta:
Eureka
ideazione, direzione artistica e coreografie Giulia Staccioli
con Maria Agatiello, Giulio Crocetta, Eleonora Guerrieri, Stefano Ruffato, Marzo Zanotti e cinque comparse del pubblico
disegno luci Marco Farneti
foto di scena Stefano Bidini
produzione Mito Srl