Esplosività del degrado

Romexpo Roma Fringe Festival Castel Sant angeloAl Roma Fringe Festival l’audace e originale Fäk fek fik – le tre giovani – Werner Schwab.

Amaro, eppure divertente, tagliente, sicuramente inusuale, Fäk fek fik – le tre giovaniWerner Schwab nasce dove l’opera Le presidentesse di Werner Schwab termina, grazie a Dante Antonelli, che gestisce la regia ridando valore al testo e ai sensi cavillosi del drammaturgo austriaco. Per Schwab, infatti, la parola è un mezzo fondamentale, necessario per manifestare il radicato disagio dell’umanita; e l’eccessività con cui viene usata tende esattamente a rappresentare, anche linguisticamente, lo spietato essere dei fatti della vita. Se l’essenza di qualcosa è degradata, inutile creare vuoti e vani giri di parole che rischiano di allontanarci dalla comprensione dell’elemento in questione. La parola impiegata deve essere una bomba a orologeria, rischiosa e esplosiva, anche spietata, che non scende a compromessi nel censurare la violenza e il cinismo del reale e delle situazioni marginali, perché lontane dallo splendore indotto del sistema. E così sarà anche la rappresentazione del testo, che da deragliata e priva di nesso, segue, in realtà, uno schema e un percorso ben preciso. Parole sfacciate rendono quindi il senso. «Pochi euro per un cancro!» oppure «Mangiami, io sono in tavola!»

«La patria ideale dei personaggi di Schwab non è la scena, ma il linguaggio […] le parole, date a prestito per scatenare l’evento teatrale servono a soffrire, a vuotare l’anima e tutto quello che ci sta dentro: il corpo» così si esprime Roberto Menin, curatore dei Drammi fecali di Schwab. La potenza della parola non surclassa il modo di far teatro, la specificità di una messa in scena. È volontariamente osceno lo spettacolo, di un osceno non banale, dato che, a teatro e altrove, anche ciò che dovrebbe destar scalpore, si riduce spesso a fonte di sbadiglio.

Nel caso di Fäk fek fik – le tre giovaniWerner Schwab , il tentativo della parola di prendere a braccetto il teatro non è fallimentare, perché lo slancio verso l’inusuale viene ripreso con semplice naturalezza e l’oscenità ricercata divene semplice e d’impatto, mentre la parola, anch’essa estrema, si rende complice di una drammaturgia fisica, movimentata e singolare. Il «lavoro autorale e interpretativo» viene rappresentato da tre giovani attrici capaci di una forza sfacciatamente dinamica, trasmessa al corpo e allo spirito della scena, e di comunicare la tragicità della vita con sferzate ironiche, grottesche e pungenti.

Su un palco spoglio, carico solo della loro presenza, una performance bizzarra costituta da contorni illusori, che si alternano al dramma del reale, attraverso parole ilari e attente, segno di un occhio vivo su un mondo in decadimento che non vuole, però, assurgere ad alcuna morale. Le tre donne incalzano con parole e gesti, si raccontano freneticamente e con tono esasperato, ma vivo, accelerano e mostrano una lucida follia, una consapevolezza del reale, manifestano diverse situazioni problematiche e conflittuali, inzialmente poco chiare che, man mano, diventano sempre più nitide. Si denudano completamente, spogliano i propri corpi come ad aspettare un ricongiungimento con un’identità sopita, finita in letargia; svestono la carne, che è solo epidermico rivestimento di qualcosa di più sotterraneo e profondo, dove sedimentano moraleggianti condizioni sociali, etichette, pesantezze, restrizioni, pregiudizi, condizionamenti, routine, esibizioni e immagini degli altri su di sé. Ma anche privazione di identità e di ricerca di quest’ultima, che sembra comunque inesistente o persa.

Fäk fek fik – le tre giovaniWerner Schwab concentra l’originale visione di Schwab, scrutatore minuzioso, quasi chirurgico del reale e disseminatore di segnali di minaccia per l’dentità dell’uomo, che, sbeffeggiando e ripudiando quasi la sporcizia umana, non per questo crede in una qualche forma di purezza sotto la maschera. Eppure la nudità dei corpi giunge come un respiro, una flebile, ma comunque dissacrante e decisa speranza. Identità (o rappresentazione), qui è mescolata e l’attualità del messaggio viene resa viva anche da una contemporaneizzazione del testo. Per esempio, con la figura di un Papa chiamato Francis o Francisco.

Intanto la creatività elettrizzante continua a turbinare, tende al surreale perché il tutto continua a muoversi con fare vorticoso e apparentemente sconnesso, senza filo logico. In realtà, continua a essere crudamente razionale e veritiero, violento, eccessivo, esasperato, schietto e tagliente come il quotidiano. In crescendo, le tre attrici mostrano potente fermezza che a tratti si scioglie in tenerezza.

La meccanicità delle vite, la miseria che porta a crolli di nervi, le delusioni e i fallimenti, il consumismo, le relazioni, le dosi d’alcol, i dispiaceri, le piccole nevrosi, l’esistenza tendono ferocemente all’abbandono di se stessi. Rimangono sempre quelle forme nude, però, che giungono nella loro dissacrante semplicità, come una frecciata di speranza che il pubblico coglie, decretando il successo di uno spettacolo che speriamo di rivedere in altre e molte occasioni.

Lo spettacolo è andato in scena
Roma Fringe Festival 2015
Parco Adriano, Giardini di Castel Sant’Angelo
sabato 20 giugno ore 22.30 palco B

Fäk fek fik – le tre giovani – Werner Schwab
dal progetto laboratoriale SCH.LAB
con il sostegno di Teatroavista – Centro di formazione e produzione teatrale
con il patrocinio di Forum Austriaco di Cultura Roma
regia Dante Antonelli
con Martina Badiluzzi, Giovanna Cammisa, Arianna Pozzoli
drammaturgia Dante Antonelli, Martina Badiluzzi, Giovanna Cammisa, Arianna Pozzoli
ambiente scenico Francesco Tasselli
ambiente sonoro Samovar
costumi Nina Ferrarese
gestione progetto Annamaria Pompili
organizzazione Giorgia Buttarazzi
ufficio stampa – Marta Scandorza
foto Silvia Garzia, Gabriele Savanelli 
video Francesco Tasselli
progetto grafico Serena Schinaia