Edipo non ricicla

Dopo Real Lear Caterina Simonelli si cimenta nella regia e drammaturgia di una nuova tragedia, quella di Edipo. Family Affair va in scena in anteprima al Teatro Colombo di Valdottavo.

Family Affair si confronta col mito di Edipo, partendo dalla profezia che lo riguarda e dalla sua nascita (con un parto disgustoso e disturbante, di prole portatrice del male – il nero che dà alla luce Giocasta) fino alla morte di Giocasta, e passando attraverso un insieme di scene in cui sono rappresentati o raccontati i vari episodi: la profezia di Tiresia, la scelta di Laio di mettere a morte il figlio, il responso dell’oracolo di Delfi che fa allontanare Edipo da Corinto, la sfida alla Sfinge, l’incontro con Creonte e Giocasta, la nomina a re, la peste, la scoperta della sua colpa.
Si ha, però, uno spostamento di attenzione non solo su ciò che accade prima del ritorno a Tebe, ma anche sul rapporto con Giocasta, personaggio che assume un peso importante, soprattutto se si pensa che la messinscena si apre e si chiude con lei.

Dalla messinscena alcune suggestioni/stimoli ci arrivano molto forti.
Avere a che fare con una tragedia antica, conosciuta, stranota e consumata dalla psicanalisi è sempre un’avventura, ed è importante prima di tutto riconoscere che lo spettacolo, nonostante presenti diversi problemi, ha una forte carica e risulta molto coinvolgente.
Dopo Freud e tutte le nostre interpretazioni del mito come archetipo di una situazione psicologica, Family Affair ci restituisce semplicemente la storia di un uomo che si trova a uccidere il padre e a giacere con la madre. Nel fuggire il destino vi si lancia a capofitto. E come lui, così Laio prima di lui. Ci arriva una storia vera, la storia di un ragazzo: non è proiezione, non è mito astratto e lontano (forse anche per l’atmosfera in cui è immersa la vicenda?), è vissuto.
Altro stimolo che arriva molto forte, ce lo regala la scena “al buio blu”, in cui le due ombre danzanti si profilano dietro il fondale trasparente. Figure mitologiche ci raccontano della lotta di ognuno per vivere la propria storia, il proprio destino e la propria avventura, e della ricerca del sé, che solo per una casuale e temporanea prossimità incrocia e attraversa quella di un altro. Ognuno è un mondo. Due mondi vicini sono due polarità che lanciano scintille di tensione. La tensione fra Giocasta ed Edipo è, in effetti, molto forte (la sottile energia che gli attori – seppure acerbi – riescono a tessere e a dipanare in scena merita di essere sottolineata), sia in questa scena al buio sia, subito dopo, quando dal piano eterno, ancestrale, si passa a quello quotidiano, alle schermaglie di ogni giorno, ai diverbi, alla stanchezza, alla noia, alla fatica di stare sempre vicini e di dover affrontare sempre tutto insieme.
Per entrambi i piani, per entrambe le scene, lo spettatore gode della lontananza necessaria per accorgersi di queste dinamiche e riesce a vedere tutto in prospettiva, cogliendo ciò che lo riguarda.

Come detto, però, ci sono anche alcuni problemi.
Lo stile del testo oscilla fra estremi, dal verboso vagamente barocco – ma non aulico e non ricercato – a un poetico contemporaneo e provocatorio, con tanto di parolacce (un esempio su tutti quello della scena della Sfinge). Belle le parti in danza e le musiche (in particolare, la scena del labirinto iniziale, sulle voci preregistrate che raccontano la decisione di Laio di mettere a morte il figlio: bel cortocircuito su destino e libertà; e la scena in cui esseri striscianti come larve umane invadono il palco – terminato il flagello della sfinge, è iniziato quello della peste), che però terminano dopo metà spettacolo, quando si entra nella fase in cui si scopre la colpa di Edipo. Qui l’atmosfera cambia, l’andamento diventa molto più uniforme (spezzando, fra l’altro, per contrasto la disomogeneità iniziale), mentre il clima si fa serio e vagamente melodrammatico (volgarmente detto) – a fronte di una prima parte che è collage di atmosfere che vanno dal pop, all’antico ammantato di mistero, variegate talvolta con venature comiche e provocazioni.
Nel complesso lo spettacolo risulta ancora acerbo. Ha bisogno di evolvere e maturare, soprattutto in termini di definizione e pulizia, di chiarezza su intenzioni e direzione, delle singole scene come dell’intero (la stessa scena al buio blu, per quanto suggestiva, risente fortemente di questa mancanza di direzione).

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Colombo

piazza Tricolore, 30 – Valdottavo (LU)

Family Affair
liberamente ispirato al mito di Edipo
rielaborazione drammaturgica Caterina Simonelli
con Davide Arena, Alessandro Balestrieri, Silvia Bennett e Lorenzo Torracchi
coreografia Silvia Bennett
regia Caterina Simonelli
produzione IF Prana
con il contributo di Regione Toscana