I, Iago – Yukonstyle – Sogliole a piacere

Anche quest’anno il NOpS Festival, allestito da un’instancabile Ilaria Manocchio e il gruppo di Nogu Teatro, è giunto al termine dopo un vivace percorso di due settimane.

La nostra rivista è stata ancora partner di un evento che ormai fa parte del panorama off romano. In questa cronaca parleremo di tre lavori della sezione Compagnie che accoglie produzioni già concluse. Andrei Zagorodnikov presenta I, Iago, una rilettura in forma di monologo del dramma shakespeariano, recitata in inglese. L’interprete gioca più personaggi sui quali incombe la presenza inquietante di Iago, con il quale Zagorodnikov gioca un corpo a corpo molto fitto, testimoniato dalla presenza di oggetti di scena (acqua e una pasta collosa) che fanno pensare a un contagio, a una malattia dell’anima.

Il rischio del monologo è quello di rigirarsi in un compiaciuto esercizio di stile in cui ciò che viene a mancare è l’Altro, non solo inteso come polo dialettico, ma come Altro del linguaggio. Per non compiacersi, l’attore dovrebbe usare un linguaggio teatrale irto di handicap allo scopo di sgambettarsi, di crearsi da sé l’impasse della scena, per fare così di questa il vero nucleo drammaturgico.

Zagorodnikov vi riesce a tratti, soprattutto quando fa risuonare significanti inglesi (handkerchief, per esempio) come veri e propri oggetti (allude al fazzoletto dell’inganno ma – mettendo l’accento sulla lettera k – anche a una lama con la quale cerca di tagliare il cordone con il personaggio). Il male – sembra mostrare Zagorodnikov – è qualcosa di simile a un tumore che invade il corpo di parola, per rendersi alfiere di una verità di cui pur dobbiamo fare mortificante esperienza.

Yukonstyle di Sarah Berthiaume è il tentativo della compagnia BiTquartett di misurarsi con un testo inedito in Italia. Gli inserti musicali di chitarra e voce tradiscono l’ambizione di piegare il testo al ritmo narrativo della ballata, tuttavia i quadri narrativi risultano di difficile transizione, in un ambiente naturale – lo Yukon – che dovrebbe essere reso come il vero protagonista dell’opera, ma la cui spersonalizzante natura fredda e selvaggia quasi mai riesce a far venire la pelle d’oca.

La regia sconta forse un’eccessiva fiducia nella percepita profondità del testo reso in maniera lineare, non sfondato nelle sue parti molli per investire come una tempesta di neve il corpo dell’attore e del pubblico. La scrittura a volte risulta ridondante, soprattutto negli inserti in cui i protagonisti escono dal personaggio per commentare ciò che accade, rischiando di fornire spiegazioni che dovrebbero esser già contenute nell’azione scenica.

L’esperimento tuttavia risulta coraggioso. Se come ci si augura la compagnia investirà su questo spettacolo, non sarà arduo immaginar di poter assistere via via a una sempre più estesa padronanza, tutta da mostrare nell’abbandono a un territorio che sta tra il testo e il desiderio vivo dell’interprete.

Sogliole a piacere è di fatto un’apologia per dire a sé stessi che non è possibile imputare il proprio fallimento a chicchessia, tanto meno a chi ci ha generato, colpevole solo di averci amato come ha potuto. Non resta che spendere bene i propri insospettati tratti di genialità per essere nient’altro che sé stessi, ossia il fallimento di un sogno ideale.

L’interprete riesce a sostenere da sola uno spettacolo che ha tutta l’aria di stare in piedi come un castello di carte. Al di là di una grande immediatezza espressiva, si ravvisa una ingegneria drammaturgica da meccanica cronografica, capace di condensare e rilasciare il tempo di una vita come si gonfia e sgonfia un palloncino. Il ritmo è forsennato, sostenuto da inserti video con i quali si innestano sempre nuove azioni teatrali. Tutto ciò permette la narrazione di una vita sciapa, incolore, ma che sul palco appare con una dinamica sorprendente per essere di fatto solo un monologo.

Al cospetto di Giacobini è possibile apprezzare la dissociazione artistica tipica del teatro, quella di guardare la propria vita con una tale intensità da arrivare a scorgere la parola dietro ogni parola, la donna ferita dietro una silhouette irreprensibile. Tra Jacques Tatì (a tratti ci sembra di vedere un monsieur Hulot al femminile) e Walter Chiari (perdonateci gli arditissimi accostamenti), Giacobini possiede del primo l’impaccio del corpo, del secondo la pulsione locutoria in grado di fare epos del più piccolo e anonimo «filo di paglia in un pagliaio». Il comico sorge sempre da una ferita, la quale, seppure suturata a fatica, si riapre sempre, offrendo a noi la grazia di lenire le nostre col balsamo depensato (citando Carmelo Bene) di un sorriso.

Gli spettacoli sono andati in scena all’interno del NOpS Festival 
Teatro Tor Bella Monaca
via Bruno Cirino, Roma
da domenica 17/6 a domenica 1/7/2018

Martedì 19 giugno ore 21
I, Iago
di e con Andrei Zagorodnikov

Sabato 23 giugno ore 21
Yukonstyle
di Sarah Berthiaume
traduzione e regia Gabriele Paupini
con Marianna Arbia, Marco Canuto, Benedetta Rustici, Lorenzo Terenzi
aiuto regia e luci Francesca Zerilli
costumi Benedetta Rustici
BiTquartett/Teatro Studio Uno

Domenica 24 giugno ore 18
Sogliole a piacere
scritto e interpretato da Gloria Giacopini
regia di Gloria Giacopini e Valeria Tomasulo
video di Valeria Tomasulo