La fine è nel principio, eppur si continua

Dalla commedia a Beckett: l’audace scommessa del Teatro degli Audaci.

All’indomani della catastrofe della Seconda guerra mondiale, un’umanità mutilata riapre gli occhi su un mondo devastato dalle bombe atomiche, dai milioni di morti, dai campi di sterminio nazisti, e ciò che si ritrova davanti non sono che macerie e distruzione. «Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie» sosterrà Theodor Adorno, sottolineando come la letteratura, così come tutta l’arte, non potrebbe non farsi carico di una funzione etica di denuncia e critica della società vigente, di quella stessa società in grado di produrre l’orrore e che, in ogni istante, potrebbe degenerare in sciagura storica.

Il Novecento è stato, infatti, il secolo della degenerazione del razionalismo illuminista: si tratta di quel principio legato al calcolo logico e al rigore scientifico che raggiungendo il suo acme si è capovolto su se stesso, fino a che l’entropia della ragione non ha trasformato quest’ultima in irrazionalismo. Oggi, bisogna portare il caos nell’ordine, e questo compito è assunto nell’arte moderna, sempre secondo Adorno, in maniera paradigmatica, da Samuel Beckett. La produzione di Beckett mantiene ancora oggi un’attualità disarmante e non perché riesca a parlare didascalicamente del mondo o della storia, ma perché il mondo e la storia, nonché la società, vengono trasfigurati esteticamente nella sua opera. Chi parla di irrealtà assurda in Beckett non ha compreso la quintessenza della sua opera: assistere a una sua pièce significa guardarsi allo specchio.

Fino al 22 marzo, in un teatro solitamente poco avvezzo a una drammaturgia di questo tipo, ovvero il Teatro degli Audaci, è possibile assistere a Finale di partita, uno dei capolavori dello scrittore irlandese; seppure abituati a una diversa tipologia di programmazione, legata più che altro alla prosa e alla commedia, il Teatro degli Audaci vince la scommessa di proporre al pubblico questo capolavoro del teatro contemporaneo, grazie a una messa in scena esaustiva, potente nel suo minimalismo e nella sua cupezza. Sul palco uno spazio astratto, una specie di cantina che accoglie i resti postapocalittici di un’umanità straziata: si tratta di ciechi, ritardati, anziani abbandonati in bidoni della spazzatura, tra i quali si ripropone l’eterna dialettica di servo/padrone in una serie di dialoghi frammentati, mai esaustivi, che riflettono tutto il non-senso che caratterizza la società nella quale viviamo. Due finestre campeggiano sulle pareti e un errore è stato fare entrare della luce da quei giacigli perché, come dice il testo stesso, fuori non c’è che grigio ovunque, onde che sono piombo, zero totale. Tuttavia, il disegno luci è perfetto, nel gioco di ombre e nei ritagli che invece esprimono l’oscurità nel migliore dei modi. Poco convincente è anche la colonna sonora, ovvero le musiche struggenti che accompagnano alcune scene dello spettacolo: Finale di partita doveva restare crudo, perché non ha bisogno di ausili espressivi, la sua potenza risiede nella sua essenzialità disarmante e lancinante.

Ha ragione Leonardo Cinieri Lombroso a dirci che un testo del genere mantiene tutto il suo valore perché parla dell’esistenza, ieri, oggi e, senza dubbio, anche domani; Beckett infatti appare quanto di più lontano dal realismo, ma probabilmente nessun drammaturgo è stato più realista di lui. L’interpretazione dei quattro attori è adeguata alla scarnificazione del senso che procede lenta su questo palco e un merito ulteriore va segnalato nella capacità dell’intera compagnia di dribblare il rischio (costante in chi mette in scena Beckett) di piegare il parodismo e la tragicità di quest’opera a una sorta di dimensione clownesca e grottesca. Il passo dal tragico al comico è brevissimo, ma significherebbe storpiare completamente il senso di un capolavoro del genere; qui infatti non si ride, si tratta solo di sorridi smorzati e brevi, gli stessi che ciascuno di noi fa allo specchio ripensando a un’occasione perduta, a una vicenda finita male, a una speranza mai concretizzata. E se dall’esistenza e dal fatto di essere nati non c’è scampo, proprio perché nessuno potrà salvarci, abbiamo il dovere etico di continuare, senza linee guida o direzioni: questo l’insegnamento di Beckett, reso in maniera efficace e fedele in questo Teatro degli Audaci.

Lo spettacolo è ancora in scena:
Teatro degli audaci
Via Giuseppe De Santis 29 – Roma
dal 7 al 22 marzo 2015

Associazione Culturale Compagnia degli Audaci presenta
Finale di partita
di Samuel Beckett
regia Leonardo Cinieri Lombroso
con Flavio De Paola, Enrico Franchi, Maria Cristina Gionta, Emiliano Ottaviani
audio e luci Fabio Massimo Forzato
scenografia Antonio Buttari