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Pietro Dattola e Flavia Germana De Lipsis raccontano a Persinsala il loro sogno diventato festival, Inventaria – La festa del Teatro Off.

Come nasce Inventaria, la cui caratteristica assoluta gratuità lo rende un unicum nel panorama dei festival romani e, forse, nazionali?
Pietro Dattola: «Inventaria nasce essenzialmente dopo una deludente esperienza in un contesto simile e dalla voglia di sporcarsi le mani, ma non l’anima. Ci siamo chiesti: è possibile fare di meglio? E, soprattutto, è possibile farlo uscendo dalle piccole logiche delle amicizie e di interessi preesistenti?».
Flavia Germana De Lipsis: «Con Inventaria ci rivolgiamo a compagnie teatrali indipendenti provenienti da tutta Italia, che non gravitino stabilmente intorno a circuiti istituzionali. Inventaria offre loro una visibilità e un riconoscimento utili a trovare o consolidare un proprio spazio anche nella o a partire dalla capitale per allargarsi – ci auguriamo – a tutto il territorio nazionale».
PD: «Col tempo, il festival si è anche evoluto nella sua ragion d’essere. Se inizialmente l’obiettivo era semplicemente quello di proporre un cartellone all’altezza, col passare degli anni è emersa la possibilità, la volontà e infine una vera e propria esigenza di proporre al pubblico la più ampia gamma di linguaggi scenici possibile. Questa eterogeneità, unità alla freschezza delle proposte (come del resto suggeriscono i vari significati della parola Inventaria), ci hanno poi permesso di sottolineare l’aspetto festoso di questo incontro, in cui ciascuno può trovare un angoletto in cui sentirsi a casa – da qui il sottotitolo, ormai divenuto ufficiale, “La festa del teatro off”, cui abbiamo intenzione di dare sempre maggiore rilevanza, pur mantenendo Inventaria la sua natura di concorso».

Ricevete finanziamenti pubblici?
FGDL: «È un grosso impegno il nostro; non riceviamo alcun tipo di finanziamento pubblico e questo rafforza sia l’autonomia della manifestazione sia l’eroicità dell’impegno che c’è dietro. È un modo sano ed onesto di costruire una rete artistica, di conoscere e farsi conoscere e in un periodo di frequenti scetticismi ed energie distruttive è una risorsa preziosa».

Inventaria propone un’offerta artistica su più fronti: drammaturgia, fotografia, produzione, distribuzione e, ovviamente, il festival, ognuno dei quali si accompagna a un concorso. Qual è il fil rouge che unisce questa pluralità? La semplice esigenza di un’offerta capace di incontrare il pubblico più ampio possibile o le motivazioni sono altre e specifiche?
FGDL: «Come realtà piccola e indipendente, ci siamo occupati sempre di tutto in prima persona, siamo abituati a seguire un lavoro teatrale in ogni fase, dalla drammaturgia alla produzione, alla messa in scena, alla documentazione video e fotografica, alla distribuzione, alla burocrazia necessaria. Abbiamo maturato una nostra piccola esperienza – e molta altra ancora ne vogliamo maturare – che vogliamo condividere con il pubblico perché aiuta a capire meglio chi siamo e in cosa consiste il lavoro dei teatranti. Oltre le quinte e i costumi, c’è un mondo enorme, spessissimo sconosciuto, che sa fare e deve saper fare tante altre cose oltre stare sopra un palco. E l’occasione di Inventaria è la vetrina adatta per comunicare “tutto quello che sappiamo a oggi sul teatro” agli addetti e ai non addetti».
PD: «Vorrei solo aggiungere che, nel nostro piccolo, vogliamo premiare la qualità tra chi ritiene di avere ancora troppo poco spazio. Non siamo gli unici, per fortuna, ma sono tutte delle opportunità che per esempio a noi, nella nostra fase di formazione e definizione identitaria, sono fondamentalmente mancate, o perché inaccessibili o perché poco pubblicizzate o perché esose».

Qual è l’esito di questa sesta edizione? Quali sono state le vostre sensazioni sugli allestimenti in scena e quali vi hanno colpito più favorevolmente?
PD: «Artisticamente parlando, il bilancio è estremamente positivo. L’obiettivo della pluralità di linguaggi è stato ottimamente raggiunto, con spettacoli estremamente interessanti capaci di “rappresentare” i filoni più disparati. Le proposte che ci giungono non sempre sono corredate da video, a volte integrali – il bando è molto permissivo in questo senso, perché ci sembra che uno dei compiti di un festival come il nostro sia anche quello di “scoprire”, oltre che di “diffondere” qualcosa di già scoperto – e pure in questo senso le scommesse sono state, nel complesso, ampiamente vinte».
FGDL: «In particolare quest’anno la sezione Monologhi/Performance ha visto un interessante e inedito ex aequo tra due lavori diversissimi (una performance e uno spettacolo di teatro danza) di alta qualità e profondo spessore che hanno colpito tutti e ben riassumono l’indole stessa della categoria che li ha ospitati: monologo, cioè una persona sola ad operare, e performance, ossia un processo creativo tangibile che travalica la semplice struttura, si appoggia all’improvvisazione e combina generi differenti».

Inventaria compie sei anni: un bilancio complessivo sul quanto fatto?
PD: «Guardando indietro, mi piace considerare l’evoluzione del festival, che come dicevo da semplice concorso adesso può dire di aver maturato una natura ibrida, tra festa e concorso, che mi sembra un punto d’arrivo desiderabile. Il concorso in quanto tale è uno stimolo in più, la festa è necessaria perché questo mondo è già troppo competitivo, anche negli aspetti più piccolo-umani, di suo. Allora è come un personaggio che abbia completato il suo arco, il che è sempre fonte di grande soddisfazione».
FGDL: «Inventaria continua ad essere un’esperienza positiva che non finisce di fare proseliti, e di questo siamo riconoscenti; il Festival non finisce di stupirci, farci crescere e farci imparare; ci vengono proposte e di rimando proponiamo molte cose diverse provenienti dalle realtà più diverse che ci danno fiducia, e che con orgoglio portiamo nel bellissimo teatro dell’Orologio. Soprattutto laddove non sono romane, facendo respirare all’affollatissima capitale accenti, tendenze e realtà differenti, al di fuori dei nomi che anche nel nostro fitto sottobosco alla fin fine si conoscono sempre. È quindi una sfida sempre aperta, un confronto reale e continuo».

Avete riscontrato un’omogeneità di linguaggio nelle candidature?
PD: «I linguaggi scenici sono i più svariati per scelta della direzione artistica e per la disperazione delle giurie, che si trovano a comparare cose molto diverse. Un nostro motto potrebbe essere “la ricchezza nella diversità”. Questo è stato uno dei principi fondamentali del festival sin dall’inizio, che nasce anche da una nostra esigenza personale come teatranti, visto che noi per primi non ci perdiamo un solo spettacolo del festival: imparare, assaggiare, respirare cose nuove. Come direttore artistico, non capisco che gusto possa esserci nell’organizzare un festival o una rassegna del già noto: sarebbe come andare all’estero e cercare sempre un ristorante italiano. Per questo spesso e volentieri ci siamo presi e continueremo a prenderci dei “rischi”, selezionando anche su progetto e non su video e restando estremamente aperti a nomi e formazioni non note (poi, naturalmente, si seleziona in base al materiale che arriva)».
FGDL: «In questa ricchezza sta il fascino del teatro e la maggior probabilità di incrociare i gusti di un pubblico occasionale, magari scettico o semplicemente poco abituato al teatro e che invece può riscoprirlo in pochi giorni, riaffezionarsi a questo rito, alla sua bellezza multiforme, ritrovare un’emozione sopita o fidelizzarsi verso un gruppo di artisti che ha avuto modo di vedere. È già successo e speriamo succeda sempre più spesso».

Pensando alle precedenti edizioni, notate una evoluzione della proposta artistica?
PD: «Per fortuna la crescita del festival è stata accompagnata da una crescita non solo della quantità, ma anche della qualità media delle proposte giunte innanzitutto e di quelle selezionate soprattutto. Le punte di eccellenza ci sono quasi sempre state, ma poter presentare un cartellone in cui è molto difficile vedere qualcosa di poco interessante mi rende e ci rende davvero orgogliosi. Significa, tra l’altro, che sempre più artisti ci danno fiducia, non so se anche per effetto del passaparola».
FGDL: «Il festival è anche un’opera di educazione. Per questo motivo la qualità è fondamentale. Nel nostro piccolo cerchiamo ogni anno di migliorarci, di alzare la posta componendo un cartellone di qualità sempre crescente, a volte già comprovata, a volte no, dando fiducia anche a chi ha fino a ora non l’ha avuta, ma ha tutti i numeri per conquistarsela: lavori validi da più punti di vista, eterogenei, maturi e meritevoli di essere condivisi. Questo vale sia per le proposte in concorso che per i nostri speciali fuori concorso».

Quale sezione implementare nel futuro: avete mai pensato a proporre spettacoli per ragazzi?
PD: «Ci piacerebbe organizzare una sezione dedicata alla stand up comedy, che dall’America sta ormai pian piano affermandosi anche qui in Italia, formando un gruppo di comici specializzati e un pubblico devoto che ama sentirsi raccontare la realtà in modo irriverente e intelligente. È un linguaggio che trovo molto interessante».
FGDL: «Sugli spettacoli per ragazzi, settore importantissimo, che ha grande richiamo e merita ampia attenzione, stiamo studiando se e cosa è possibile fare: probabilmente si richiede un’organizzazione a parte, totalmente dedicata e al momento abbiamo le forze contate. Ma possiamo ragionarci».
PD: «Un discorso simile si potrebbe fare per gli studi da una ventina di minuti. Lì però avrebbe senso poter assegnare un premio di produzione o una residenza, che al momento va al di là delle nostre possibilità. Se ci sono realtà in ascolto interessate a una collaborazione in tal senso, noi saremmo ben lieti di cooperare».

Quali sono le maggiori difficoltà nella selezione degli spettacoli e dei corti?
FGDL: «Probabilmente per i corti la cosa più complessa è proprio la realizzazione stessa, sia che lo si immagini ab origine come corto, sia che lo si estrapoli da un lavoro più lungo. Il problema è la coerenza nel suo complesso, la compiutezza, la sua necessità, il valore e la curiosità che può ispirare, tutto concentrato in massimo quindici minuti. Non è compito semplice. È tanto immediato mancare il bersaglio, quanto è forte la valida riuscita. È sempre una bella sfida».
PD: «Io dico sempre: datemi un teatro e con un bando del genere riempio una stagione coi fiocchi. Per sei spettacoli o sei monologhi selezionati, ce ne sono almeno altrettanti che certamente non avrebbero sfigurato e molti altri interessanti o scommesse che sulla carta convincono solo a metà ma che, avendo un’intera stagione a disposizione, faremmo volentieri. Alla fine però, almeno per quanto mi riguarda, il criterio sta tutto nel nome del festival e nei suoi significati: difficilmente selezionerò due proposte molto simili. La vera difficoltà, piuttosto, è il tempo che occorre per vagliare le proposte, quest’anno complessivamente circa trecento. Una valutazione serena la dobbiamo anzitutto alle compagnie, ma anche e soprattutto a noi stessi, che siamo quelli che investono e firmano il programma».

Le ultime domande riguardano la vostra Compagnia. Qual è la vostra metodologia di lavoro e come selezionate i testi su cui lavorare e gli interpreti?
FGDL: «La nostra metodologia non segue un sistema unico o rigido, prende ciò che serve da diversi metodi e diverse esperienze selezionando quello che risulta via via efficace in base a ciò che mettiamo in scena o in base a chi sta in scena. I testi su cui lavoriamo sono nostre produzioni autoriali o i vincitori del Bando di drammaturgia DCQ-Giuliano Gennaio cui spetta in premio la messa in scena e che, già per essere vincitori, hanno una scintilla non solo o non sempre drammaturgica che fa eco nei nostri interessi».
PD: «Per adesso possiamo dire di aver consapevolmente privilegiato lo sviluppo di una storia (cosa non scontata, nel teatro contemporaneo). Anche quando ci siamo trovati, per via del Premio di drammaturgia, dinanzi a testi più vicini alla performance (per esempio Doris Every Day), nella messa in scena li abbiamo sempre ricondotti nell’alveo di una storia. A questo ci hanno portati le nostre diverse (ma convergenti) formazioni».
FGDL: «I nostri attori li conosciamo preferibilmente in scena altrimenti, se proprio necessario, in incontri-provini, con una preferenza per chi ha più arte che mestiere a disposizione».
PD: «A chi mi manda cv o richiede incontri, io dico sempre: fammi sapere quando sei in scena (a Roma, ovviamente). Nella nostra esperienza, uno spettacolo è il modo migliore per individuare le caratteristiche di un attore».

Come definireste i vostri allestimenti?
FGDL: «I nostri allestimenti sono semplici, agili, poveri potremmo dire, emotivamente forti, ben strutturati e d’impatto interpretativo mai secondario; registicamente essenziali, tematicamente ancorati a necessità attuali e universali».
PD: «Dal punto di vista registico e drammaturgico, l’intento è quello di non inserire nulla di inutile o inutilizzato, nulla che sia bello in sé ma non in funzione della storia o del tema. Qualcuno, volendoci fare un complimento, ci ha detto che guardando i nostri spettacoli in successione non si direbbe che siano stati fatti dalla stessa compagnia: il tono, lo stile, sono diversi, perché tutto è in funzione della storia. Ed è proprio così. Gli ornamenti servono, appunto a decorare. A noi interessa esplorare il nocciolo».

Il vostro cantiere è, dunque, sempre aperto?
FGDL: «Così come costruiamo i testi, li decostruiamo, li manipoliamo e ne facciamo sempre e comunque una storia da affidare ad interpreti diversi. Siamo dei mastri raccontatori e vogliamo diventare altro».
PD: «Sì, sta maturando in noi l’esigenza di abbandonare i lidi noti. Sicuramente in tutto questo c’è lo zampino di Inventaria, che ci ha fatto apprezzare molto da vicino e in maniera concentrata molti approcci nuovi, magari allo stesso tema o argomento, tutte caratterizzate da una fondamentale scarsità di mezzi».

Vincitori Inventaria 2016
MIGLIOR SPETTACOLO
Compagnia ZiBa di Prato
La tana
drammaturgia collettiva Laura Belli, Lorenzo Torracchi e Marco Cupellari
regia Marco Cupellari
con Laura Belli, Lorenzo Torracchi
tecnico luci Chiara Nardi

MENZIONE SPECIALE ALLA DRAMMATURGIA
Òyes di Milano
Vania
di drammaturgia collettiva
regia Stefano Cordella
con Francesca Gemma, Vanessa Korn, Umberto Terruso, Fabio Zulli
disegno luci Marcello Falco
costumi e realizzazione scene Stefania Corretti e Maria Barbara De Marco
organizzazione Giulia Telli

MIGLIOR MONOLOGO/PERFORMANCE: EX AEQUO
Teatro dei Naviganti di Messina
Inossidabile miele
scritto, diretto e interpretato da Domenico Cucinotta
collaborazione artistica Sumako Koseki
tecnico luci e audio Mariapia Rizzo

we were monkeys di Bologna
Immota manet
di e con Luigi Guerrieri

MIGLIOR CORTO TEATRALE
Compagnia Sasiski di Roma
A vostra completa disposizione!
scritto, diretto e interpretato da Alessandro Blasioli
supervisione artistica Giancarlo Fares
cast tecnico Davide Mattei

Scene da una fotografia
Sonia De Bonis con il progetto fotografico Hamlet – la Prima